Il ruolo dell’allenatore per favorire la disciplina sportiva

Se prendiamo un semplice pallone e coinvolgiamo le persone di etnie differenti la conseguenza è una brillante assonanza di idee che trasforma il pensiero filosofico dei giocatori in un unico momento indissolubile: condividere il divertimento di gioco della partita. Quando analizziamo questa particolarità delle discipline sportive attribuiamo allo sport una ricchezza culturale con un ruolo […]

Se prendiamo un semplice pallone e coinvolgiamo le persone di etnie differenti la conseguenza è una brillante assonanza di idee che trasforma il pensiero filosofico dei giocatori in un unico momento indissolubile: condividere il divertimento di gioco della partita. Quando analizziamo questa particolarità delle discipline sportive attribuiamo allo sport una ricchezza culturale con un ruolo fondamentale nell’educazione dei giovani, perché è capace di favorire una crescita armonica. I valori e gli insegnamenti trasmessi dallo sport sono strategici per aumentare il rispetto nella società, per sensibilizzare una maggiore comprensione delle diverse situazioni sociali, per garantire quella sana socializzazione tra la popolazione.

È utile ricordare che lo sport non è soltanto basato sul movimento e sul tecnicismo perché è una vera e propria disciplina, anche se non strettamente agonistica, da conoscere e da praticare correttamente nella vita quotidiana. I giovani si divertono con lo sport e riescono a socializzare con i loro coetanei, scambiando opinioni per condividere le idee personali. La disciplina sportiva favorisce questa interazione tra i ragazzi, assecondando una sana crescita culturale e sviluppando quel senso di critica che diventa un bagaglio necessario per la vita futura. A promuovere nella giusta dimensione questa disciplina è proprio il ruolo fondamentale dell’allenatore, capace di trasformare lo sport in molteplici valori sociali da tramandare a giovani e adulti.

Katia Serra, responsabile settore calcio femminile A.I.C., ex calciatrice, voce RAI Sport, è appassionata di sport che pratica sin da bambina. La possibilità di misurarsi nella partita è stato un fattore fondamentale per la sua crescita culturale. Soffermiamo la nostra analisi per capire la preparazione degli allenatori, senza tralasciare il coinvolgimento dello sport nel sociale quale fattore di crescita e di educazione per giovani e adulti.

Quali caratteristiche deve avere un buon allenatore per condividere i valori sociali dello sport con il team e quindi essere in grado di fare squadra? C’è un percorso preciso per modellare la sua figura sportiva nei confronti della società?
“Ogni società dovrebbe scegliere l’allenatore in base alla similitudine caratteriale, non solo legandola al progetto squisitamente tecnico. Altrimenti non si crea l’alchimia necessaria per fare squadra. Ritengo che sia indispensabile avere la forza di mostrarsi autentici e trasparenti sin dal primo incontro. Secondo il mio parere non è una questione di percorso ma semplicemente di coerenza: essere sempre se stessi porta a questo, caratteristica fondamentale per rimanere credibili”.

La formazione di un allenatore su che cosa si basa? Quali sono gli insegnamenti da valorizzare per avere una corretta preparazione sociale dove lo sport è l’assoluto protagonista?
“Al centro ci sono sempre i comportamenti. Senso civico, rispetto, educazione, capacità di ascolto, impegno, sacrificio, condivisione, professionalità. Senza questi aspetti anche un’ottima conoscenza tecnico-tattica non risulterebbe efficace”.

Durante la formazione di un allenatore quale aspetto è necessario prendere in considerazione e cosa si deve accantonare?
“In generale, ritengo che sia importante “dimenticare momentaneamente” come si era da atleti per valutare da un’angolazione diversa, al fine di assemblare le due prospettive”.

Durante la formazione tutti gli allenatori raggiungono la medesima preparazione oppure sono da registrare differenze rilevanti da evidenziare?
“Il livello di preparazione raggiunto è individuale. Dipende dall’impegno e dall’approccio: chi partecipa solo per l’attestato e chi affronta l’impegno per ampliare la conoscenza, indipendentemente dalle prospettive professionali. È la dedizione a fare la differenza”.

È riscontrabile, senza scadere in questioni di genere, una preparazione o comunque un approccio diverso durante la formazione tra un uomo e una donna?
“È l’impegno del soggetto a fare la differenza, al di là del genere. Nei corsi allenatori di calcio lo scetticismo che circonda le donne le spinge ad impegnarsi molto per smontare questo luogo comune. La meticolosità le porta molto spesso a essere tra le più brave”.

Come educare allo sport per avere una società più integrata?
“Attraverso la pratica sportiva iniziando dalle scuole. È soprattutto lì che va incrementata l’offerta formativa, sia aumentando le ore di pratica sia sperimentando più discipline sportive per conoscere le valenza di ciascuna”.

La cultura in che modo contempla le discipline sportive?
“La cultura italiana trascura il messaggio socio-educativo dello sport. Spesso ci si identifica con il campione o la squadra solo per i risultati che ottengono, non per il percorso formativo che trasmette e che forma il cittadino del domani. Far conoscere l’uomo o la donna, non solo il campione, trasmette vicinanza e rende più comprensibile il valore formativo dello sport”.

Il ruolo dell’allenatore diventa fondamentale come insegnamento da trasmettere ai giovani sportivi, rientrando a pieno titolo come una figura centrale nel percorso educativo. C’è una costante ricerca delle capacità degli atleti da valorizzare nello sport al fine di evidenziare gli aspetti peculiari di uno sportivo. Serve ogni metodo per riuscire a comprendere la squadra mentre le fondamentali azioni restano sempre l’ascolto e la capacità di capire le esigenze del team.

«L’allenatore – racconta Elisabetta Sisti, giovane atleta di livello nazionale della squadra ACSI Italia Atletica, per ben 13 volte più forte d’Italia – non è affatto un ruolo semplice, è una figura che incorpora un insegnante, un padre, un sostenitore. Senza il proprio coach nessun atleta sarebbe ciò che riesce a diventare. La bravura di un allenatore consiste proprio nell’adattare il proprio atteggiamento e le proprie conoscenze alle potenzialità della persona da istruire, che può avere più o meno talento naturale. Ogni allenatore segue una dottrina personale che si adatta più ad alcuni atleti e meno ad altri; è necessario abbassarsi al livello della persona da istruire, conoscerne bene le potenzialità e i limiti: un atleta ben dotato difficilmente diventerà un bravo coach perché troverà più arduo calarsi nelle vesti di un allievo. Eppure essere allenatore richiede un quid in più rispetto alle sole competenze tecniche.

Nella mia esperienza personale sono venuta in contatto con coach validi e sono anche ottimi modelli di umanità. Allenare muscoli e fiato non è sufficiente per affrontare una competizione, una grande percentuale di forza viene dalla mente; in questo percorso aiuta molto un bravo allenatore: non sarei mai arrivata a questo punto della mia carriera se non mi fossi fidata del mio coach, se non mi avesse cercata tutti i giorni in cui non mi presentavo o non mi sentivo bene, se non si fosse fermato a parlarmi ogni volta che scorgeva una lacrima scorrere sul mio volto.
Il periodo che va dall’esame di maturità al percorso universitario è particolarmente duro a livello emotivo, le statistiche lo dimostrano: tanti potenziali talenti mollano intorno ai venti anni, è un momento di grandi cambiamenti accompagnati spesso da paure e da dubbi. Siamo chiamati a fare delle scelte importanti che plasmeranno il nostro futuro, dobbiamo gestire autonomamente le nostre giornate e il campo sportivo segna il limite in cui si smette di giocare e si inizia a fare sul serio: i sacrifici sono più grandi e la nostra coscienza si forma.

Per dare il meglio di sé bisogna avere la mente sgombra e serena, particolarmente difficile risulta a noi donne, spesso dotate di una spiccata personalità, dunque più attanagliate dai pensieri. A questo punto il compito dell’allenatore si complica: senza la dimostrazione della fiducia riposta nell’allievo e senza il suo supporto l’atleta finisce. Molti non riscontrano più risultati anche mantenendo lo stesso allenamento; c’è chi abbandona a malincuore o chi cerca di reagire cambiando allenatore. A mio avviso non è una scelta sbagliata, non si cambia perché non si considera più il proprio coach all’altezza ma per trovare nuovi stimoli per le nuove persone che si è diventati. Nella mia esperienza ho avuto la fortuna di incontrare un allenatore che considero più un padre, il suo scopo è quello di farci diventare persone forti per affrontare la vita a prescindere dalle competizioni.

Chiama il campo sportivo dove ci alleniamo “il giardino di casa”, dove chiunque può passare del sano tempo sereno. Lui è presente tutti i giorni per tutto il pomeriggio, non salta mai un allenamento, con qualsiasi condizioni meteorologiche e fisiche: a volte l’esempio vale molto di più delle parole, la disciplina e la serietà, caratteristiche essenziali di un campione, lui riesce a trasmetterle efficacemente in questo modo. Non tiene conto solo del piano di allenamento di ciascuno di noi ma anche dei nostri spostamenti, di come siamo organizzati per tornare a casa, nonché dei nostri progressi nello studio che, per suo parere, sono strettamente legati alla riuscita nel campo sportivo. Si trattiene con noi a parlare di problemi di cuore o di famiglia, sempre disponibile in qualsiasi momento, più che un allenatore è un punto di riferimento, su cui nelle difficoltà sappiamo di poter contare. Ogni atleta è ben consapevole che ciò che è lo deve a questa straordinaria persona che spende tempo e cuore per lui».

 

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