Se le fake news entrano in azienda. Guida semplice per (con)vivere bene con questi nuovi colleghi

Acqua, acqua, acqua in ogni dove. E non una goccia da bere. Questo scriveva il poeta Samuel Taylor Coleridge all’interno di una delle sue poesie più famose e memorabili, The Rime of the Ancient Mariner. Vita dura, quella del marinaio, costretto a dimenarsi in un mare di acqua non potabile. A ben pensarci, metaforicamente, il […]

Acqua, acqua, acqua in ogni dove. E non una goccia da bere.

Questo scriveva il poeta Samuel Taylor Coleridge all’interno di una delle sue poesie più famose e memorabili, The Rime of the Ancient Mariner. Vita dura, quella del marinaio, costretto a dimenarsi in un mare di acqua non potabile.

A ben pensarci, metaforicamente, il disgraziato marinaio di Coleridge mi ricorda molto te, me, i nostri colleghi: ovvero, qualsiasi professionista costretto oggi ad agire in un mare di fake news. Così come l’acqua salata, le fake news sono infatti golose ma pericolose. Tutti ne parlano, ma si guardano bene dall’avvicinarcisi. Anche perché in pochi sanno davvero che cosa siano.

Faccio subito chiarezza: le fake news esistono da quando esistono gli esseri umani e i sistemi organizzativi. Non è stato certo il Web a inventarle, anche se ne ha accelerato la produzione e la diffusione. A questo proposito:

  • Donald Trump ha da poco annunciato (tra le critiche) la creazione dei suoi personali Fake News Awards, che mirano a mettere sul piedistallo della vergogna giornalisti e media rei di avere diffuso notizie sul suo operato giudicate o dimostrate inesatte.
  • Facebook ha annunciato profondi cambiamenti negli algoritmi che governano la visibilità dei contenuti in piattaforma, anche a favore dell’impegno a contrastare le fake news. Una notizia che ha subito diverse critiche dagli analisti – per esempio Wired ed Engadget.

Le fake news spostano l’opinione pubblica in merito a orientamenti politici e gattini: pensa quale pericolo rappresentano per il benessere di un’organizzazione, se non si capisce in che cosa consistono. Le stesse organizzazioni, infatti, possono essere (e di fatto sono) continuamente oggetto di flussi informativi generati sia al loro interno, che nell’ecosistema esterno. In quanto lavoratori in un mondo sempre più digitalizzato, diventa allora importante capire che cosa sono queste fake news per poterci convivere al meglio. Un po’ come i robot e le altre innovazioni tecnologiche di cui ci stanno ingombrando la testa, insomma.

Dopo l’articolo “zero” di lancio il 24 gennaio 2018, ho trovato l’argomento davvero rilevante per la rubrica Passaporto Digitale che curo qui su Senza Filtro, tanto da chiedere lumi ad Andrea Fontana.

Autore, saggista e sociologo della comunicazione e dei media narrativi, Andrea Fontana è il maggiore esperto italiano di Corporate Storytelling: ha introdotto nel nostro Paese il dibattito sulle scienze della narrazione applicate al mondo aziendale. Insegna Storytelling e Narrazione d’Impresa all’Università degli Studi di Pavia, dove è anche direttore didattico del primo Master universitario in Italia in Scienze della Narrazione (M.U.S.T.). Amministratore delegato del Gruppo Storyfactory, lavora con grandi aziende e con diverse istituzioni pubbliche e private per perfezionare i “racconti” dei loro brand, prodotti o servizi. È Presidente dell’Osservatorio Italiano di Storytelling nonché, di recente, autore di un libro molto interessante sul tema fake news, dal titolo esplicativo (e che ti consiglio caldamente, se il tema è di tuo interesse): #IoCredoAlleSirene. Come vivere (e bene!) in un mare di fake news.

Ti cito alcune parole della mail con cui abbiamo iniziato la chiacchierata, esplicative del valore di quanto stai per leggere:

Per il prossimo mese avrei piacere a intervistarti sul tema delle fake news: come impattano la quotidianità lavorativa? Come riconoscerle, difendersi o meglio destreggiarsi?

Buona lettura. Ci risentiamo alla fine.

Fake news 101

Buongiorno Andrea, benvenuto su Senza Filtro. Partiamo dai fondamentali mai banali: oggi tutti ne parlano, ma che cosa si intende veramente con il termine “fake news”?

Buongiorno Alberto, e buongiorno alle lettrici e ai lettori. Con il termine “fake news” di solito intendiamo le “false notizie” che circolano online (ma anche offline) su media diversi. Ma se ti dicessi che le false notizie sono una fake news?

Non esistono le false notizie. Perché non abbiamo una definizione condivisa di fake news, soprattutto a livello legislativo europeo.

Per cui credo che oggi la domanda da farsi sia un’altra. E cioè: che cosa è il “falso” in una società che vive e lavora in comunità misinformate? In sodalizi sociali dove l’informazione viene deformata dagli stessi utenti che la fruiscono e poi la ri-diffondono?

In una giornata quanta verità o falsità postiamo, fotografiamo, commentiamo?

La maggior parte delle notizie che oggi circolano in rete sono “false”, perché deformate da tutti noi e dal continuo commento dei pubblici. La foto con il filtro, il commento con l’hashtag personale, il link con la news ri-condivisa senza leggerla a fondo e pubblicata con errori…

Per cui il problema non sono le false notizie, ma i modi in cui tutti noi oggi leggiamo, produciamo e condividiamo la conoscenza.

Dobbiamo allargare la nostra consapevolezza intorno al concetto di fake news. E capire che le notizie oggi sono un prodotto che contribuiamo a creare, e come tale possono essere:

  • deformate;
  • manipolate;
  • falsate;
  • ostili.

Ora, ti chiedo io, tra queste quali sono le false notizie?

Noi confondiamo spesso le notizie false con le notizie ostili, quelle che attaccano reputazioni aziendali o personali. Ma le fake news in realtà sono le notizie deformate, falsate e manipolate da noi tutti.

Il bello, poi, deve ancora venire, e sarà costituito dalle strange news: notizie diffuse dalle agenzie stampa e dai grandi media che saranno così strane e clamorose da non sapere come giudicarle. Tipo quella sulle ricerche svolte dalla Difesa USA sull’esistenza degli UFO, diffusa dall’ANSA e rilanciata da tutte le testate giornalistiche nel dicembre 2017.

Non parliamo di un sito complottistico o satirico, ma di un’agenzia nazionale. Come facciamo a capire, sapere, distinguere questo tipo di notizie? Benvenuto e benvenuti nel mondo del vero-finto.

Se le fake news entrano nella testa delle persone (e nelle organizzazioni)

Questi miti, gossip e leggende che impattano sulla nostra percezione del mondo esistono da quando esistiamo noi. Secondo te però perché l’interesse dell’opinione pubblica verso il tema è cresciuta nell’ultimo periodo?

Senza dubbio le fake news hanno raggiungo la massa critica di diffusione anche grazie ai media digitali. Ma quello che per me è davvero interessante oggi è proprio capire perché ci sia tutta questa voglia di finzione, contro-reale, immaginario.

Come mai l’immaginario, la simulazione, la finzione sono diventati la componente “vera” del reale e non più l’oggettività razionale novecentesca?

Mi spiego. Prendiamo un nostro profilo social. Quanta verità nuda e cruda c’è lì dentro? E quanto immaginario, fantastico o racconto? Nella foto di Linkedin dove ci mostriamo professionali, sorridenti, competenti, quanta verità c’è? Un professionista della comunicazione ti risponderebbe: nessuna. C’è autenticità, ma non verità; il paradosso che contraddistingue da sempre la comunicazione. Una foto, un testo, un oggetto comunicativo non può essere “vero” nel senso oggettivo del termine, perché essendo un prodotto è sempre un oggetto artificiale, costruito, e quindi realizzato ad arte. Tuttavia una foto, un testo, etc., possono essere autentici e credibili anche se artificiali.

Oggi siamo entrati in una fase storica in cui la simulazione e la contro-fattualità stanno prendendo il sopravvento, e diventano più reali del reale proprio per questa dinamica in cui, per certi versi, può essere più rilevante la nostra foto su un social media che la nostra presenza reale a un evento.

Pensiamo poi che fra poco vivremo con device che ci permetteranno di “aumentare la realtà” attraverso simulazioni e narrazioni mirate della realtà stessa.

Per cui, credo che la vera accelerazione della diffusione delle fake news non sia dovuta solo a una questione di media digitali, ma anche a una sorta di “attivazione cognitiva” dell’umanità. Un’attivazione cognitiva che ci rende indispensabile comprendere la realtà come un mix di vero-finto; oggettività e finzione positiva.

Entriamo in azienda. Lavoro nel marketing: quando le fake news diventano una risorsa organizzativa, e quando invece un pericolo per il brand?

Bellissima domanda. Potrei rispondere con una contro-domanda: tu che lavori nel marketing, ascolti i tuoi pubblici che hanno una relazione col tuo brand e segui le costantemente le conversazioni di vita che questi fanno, diversificate sui diversi canali e device rispetto al loro customer journey?

Ecco, se ascolti forse sai intravedere i segnali deboli e forti legati ai loro modi di leggere, costruire e diffondere conoscenza anche intorno alla tua marca, o prodotto, o vita. Altrimenti tutto sarà approccio ideologico: giusto/sbagliato; bello/brutto. Vero/falso, appunto. Un mindset dualista, novecentesco, che oggi un professionista non si può permettere.

Con questo intendo dire che bisogna organizzarsi come aziende, con team che sappiamo monitorare e seguire conversazioni, trend, sentiment, life, sia online che offline, e che al momento opportuno sappiano agire se si crea un attacco aggressivo contro il loro mondo di marca. Soprattutto bisogna organizzarsi con team di analisti, ma anche di esperti di contenuti e di storytelling che abbiamo competenze di pensiero controfattuale (counter-factual thinking), capaci di rispondere ad hoc alle dinamiche di controfattualità e immaginario negativo che vengono create. Si tratta di iniziare a pensare in modo nuovo, e per questo le tecniche di wordbuilding dello storytelling possono essere molto utili.

Contro una falsa notizia non puoi rispondere dicendo: “non è vero, ho ragione io”.

Se fai così rinforzi ancora di più il fake.

Contro un drago devi schierare o un cacciatore di draghi o un altro drago che sa volare meglio.

Continuiamo a esplorare la quotidianità aziendale, con una seconda domanda speculare. Lavoro nella gestione delle risorse umane: quando le fake news diventano una risorsa organizzativa, e quando invece un pericolo per il benessere e il clima aziendale?

Se si lavora nell’HR, penso che esistano due tipi di fake news: quelle che arrivano dall’esterno e quelle che si creano spontaneamente dall’interno. Per quelle esterne vale il discorso di prima.

Per le interne, credo che esista da sempre un’epica aziendale intrinseca che rinforza o indebolisce la cultura o il clima interno: è l’“ho sentito dire che…”. Questo tipo di fake news può crescere e supportare il people engagement, oppure può debilitare il morale.

Per cui, di nuovo, un grande lavoro oggi passa per le attività di osservazione dell’ambiente sociale e di employee intelligence, social intelligence, biographical intelligence… Insomma, bisogna costantemente fare un ascolto mirato delle storie di vita individuali e sociali dei pubblici specifici, per captare umori, tendenze, segnali ed essere pronti a intervenire nel momento giusto.

Un caso epico – o comunque, per te memorabile – di fake news legata a un’azienda.

Ultimamente molte. Quelle che ho trovato più interessanti sono circolate qualche mese fa. In particolare due: una riguarda la Coca-Cola e una sua certa bottiglia di vetro che, secondo questa falsa notizia, procura l’AIDS: se bevi da questa bottiglia contrai la malattia. Un’altra tocca la X-Box che porterebbe i teenager americani al suicidio. Casi di contro-realtà interessanti da seguire.

SOS fake news

Aiutaci. Dacci alcuni consigli finali per vivere bene tutti i giorni sul posto di lavoro in un mare di fake news.

Bisogna capire che ogni informazione oggi è un prodotto, e come tale può essere di qualità o meno, a lunga o a breve scadenza. Dobbiamo diventare consumatori smagati dei prodotti della comunicazione pubblica o privata.

Se sono un individuo, il consiglio più grande che mi sento di dare è di trovare da soli la “verità”, ammesso che ce ne sia una. Cioè:

  • non fermarsi alla prima fonte;
  • non cadere nel bias congnitivo personale (ognuno di noi percepisce subito come vera o falsa una notizia in base alla propria ideological agenda, ma è solo un box culturale);
  • non indugiare sulla prima notizia;
  • mettere in discussione tutto;
  • avere un approccio indiziario al reale: la notizia è solo un indizio o tassello di una realtà molto più grande. Se mi fermo al tassello mi perdo tutta la parete.

Se sono capace di fare questo come individuo a un certo punto mi divertirò molto, perché la comunicazione pubblica diventa una specie di grande novel con cui intrattenersi. E allora quando sceglierò una notizia lo farò con testa, cuore e pancia.

Se invece sono un’azienda, il consiglio più grande che credo di poter dare è: prepariamoci a gestire la contro-fattualità, con team interfunzionali di cacciatori di draghi e draghi volanti che sappiano librarsi meglio degli altri.

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