Sviluppo organizzativo in un distretto

Un bell’intervento di Arnaldo Camuffo ad un convegno mi dà l’ispirazione per questo contributo. Fra i vari spunti proposti si parla dei “two side market” portando, fra gli esempi, quello di Airbnb che propone ai proprietari che affittano appartamenti corsi in cui imparare le nozioni fondamentali dell’ospitalità. Questa considerazioni mi riporta alla questione dei confini […]

Un bell’intervento di Arnaldo Camuffo ad un convegno mi dà l’ispirazione per questo contributo. Fra i vari spunti proposti si parla dei “two side market” portando, fra gli esempi, quello di Airbnb che propone ai proprietari che affittano appartamenti corsi in cui imparare le nozioni fondamentali dell’ospitalità. Questa considerazioni mi riporta alla questione dei confini delle organizzazioni. In un’epoca caratterizzata da outourcing, terziarizzazione, forme di contratti di lavoro sempre più lasche e variegate, quale criterio ci può aiutare a decidere chi sia “dentro” un’azienda e chi “fuori”?

Credo che il tema dei “confini” fornisca uno spunto interessante per ragionare sui distretti. Nei primi anni ’90, all’inizio del mio percorso professionale, ebbi la fortuna di partecipare ad un progetto molto interessante e per l’epoca relativamente innovativo. Grazie ad un accordo fra Confindustria e CNA alcuni grossi committenti industriali parteciparono a corsi sulla qualità insieme ad gruppi di PMI subfornitrici. Il fine era di ridurre sensibilmente i controlli di qualità in accettazione ed i relativi costi, il presupposto di questo progetto era che la formazione congiunta aiutasse i piccoli artigiani a sviluppare capacità e strumenti gestionali adeguati alle necessità del committente.

Questa è fondamentalmente la mia idea sui distretti. Al di là di tutte le considerazioni di tipo tecnico – produttivo, di marketing e finanziarie, c’è, a mio avviso, la necessità di pensare a strumenti di sviluppo organizzativo coerenti con la complessità dei distretti. Anni fa un grosso cliente mi spiegava di essere costretto a cercare fornitori lontani avendo ormai completamente saturato la capacità produttiva dei propri fornitori tradizionali locali. Questo rischia di essere un grosso limite.

Se negli studi organizzativi è prassi considerare i distretti come forme di “quasi organizzazione” meno frequenti sono le esperienze di formazione e sviluppo di un distretto. Sarebbe a mio avviso molto utile pensare al distretto come ad un’unica organizzazione, seppure composta da molteplici aziende indipendenti, pensare quindi a piani di formazione che prescindano dai confini legali e siano mirati allo sviluppo complessivo del distretto/filiera. Negli anni vi sono state numerose esperienze, si pensi ad esempio all’attività svolta per trent’anni dal CITER di Carpi per il settore tessile/abbigliamento, ma spesso concentrate su aspetti legati al prodotto, alla commercializzazione o alla formazione tecnica. Io penso a percorsi di sviluppo manageriale trasversali in cui le persone ruotino in modo programmato attraverso le molteplici aziende che compongono la filiera, a sistemi di valutazione che coinvolgano anche clienti e fornitori, a politiche di gestione delle persone condivise fra le imprese del distretto.

A mio avviso due sono le difficoltà attuali. La prima è normativa. Molte norme, penso ad esempio a tutti i regolamenti per l’uso dei finanziamenti per la formazione, sono decisamente centrate sulla singola entità giuridica. Senza un soggetto giuridico unico (un ente di formazione, un consorzio…) gestire finanziamenti per formare persone del distretto sarebbe impresa titanica. D’altra parte però perché istituzionalizzare queste collaborazioni? Creare soggetti ad hoc porta rigidità e fa levitare i costi, è proprio necessari0? Non si possono definire modalità più lasche di collaborazione che permettano di utilizzare i fondi in modo semplice, peraltro superando il classico limite della massa critica limitata della singola azienda?

La seconda questione è più delicata. Per pensare a soluzioni di questo genere è importante la visione d’insieme, il considerare il sistema nella sua totalità e non come mera somma di imprese. Ora, chi è in grado di portare questa “big picture” del sistema? Probabilmente nessuno dei manager o degli imprenditori, dal momento che ciascuno ha fisiologicamente un punto di vista parziale e soggettivo. D’altra parte forme come consorzi o simili hanno i limiti accennati in precedenza, rischiano di divenire inutilmente costosi e complessi fino all’autorefenzialità. Dunque?

Sarebbe possibile pensare a “manager di distretto“? Ad un piccolo gruppo di persone che opera come fosse lo staff di un’azienda occupandosi delle classiche funzioni di staff: risorse umane, finanza, marketing e comunicazione, ICT.

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