La terza età dell’Italia: necessità e mancanze

Una società sempre più anziana: questo è il quadro che emerge dai dati ISTAT. Si stima che al 1° gennaio 2017 la popolazione ammonti a 60 milioni 579 mila residenti, con un’età media di 44,9 anni. Le persone di 65 anni e oltre superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di […]

Una società sempre più anziana: questo è il quadro che emerge dai dati ISTAT. Si stima che al 1° gennaio 2017 la popolazione ammonti a 60 milioni 579 mila residenti, con un’età media di 44,9 anni. Le persone di 65 anni e oltre superano i 13,5 milioni e rappresentano il 22,3% della popolazione totale; quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni (il 6,8% del totale) mentre gli ultranovantenni sono 727 mila, l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17 mila.

La natalità tende invece a diminuire: il livello minimo delle nascite del 2015, pari a 486 mila, è superato da quello del 2016 con 474 mila. La vita media per gli uomini raggiunge 80,6 anni (+0,5 sul 2015, +0,3 sul 2014), per le donne 85,1 anni (+0,5 e +0,1). L’Italia però è lenta a innovarsi e tendenzialmente conservatrice. Molti settori faticano a rispondere in modo adeguato alle nuove esigenze, sebbene si facciano passi avanti. Abbiamo fotografato due ambiti fondamentali per la terza età: la sanità e il turismo.

Sempre più anziani ma pochi geriatri

Nonostante la società italiana invecchi sempre di più, in Italia manca una vera e propria offerta geriatrica: i geriatri sono pochi e molti di essi sono assorbiti in ambiti della medicina più generali e non specifici. Se è presente il pediatra di base, manca sul territorio la figura del geriatra di base. Ne parliamo con Nicola Ferrara, Ordinario di Geriatria della Università “Federico II” di Napoli e presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria.

“La mancanza di geriatri è evidente: in Italia ci sono circa 40 scuole di specializzazione, dalle quali si specializzano all’anno circa 180 geriatri. Il problema sta nel fatto che molti geriatri spesso sono poi assorbiti nelle medicine interne, negli ambulatori o nei presidi di pronto soccorso, anche in virtù della loro conoscenza della complessità del malato. Manca, quindi, una vera offerta geriatrica sul territorio. Se è importante incrementare i posti nelle scuole di specializzazione in Geriatria, ancora più fondamentale è definire il ruolo del geriatra negli ospedali e sul territorio. Per esempio, in ogni ospedale c’è il reparto di Pediatria ma non in tutti c’è quello di Geriatria; esistono ospedali che si dedicano esclusivamente ai bambini ma sono rari quelli a orientamento geriatrico. Avere più geriatri da formare interessa nella misura in cui la loro formazione sarà orientata a coprire esigenze geriatriche sul territorio.”

Su questo punto Ferrara è chiaro: “Noi come geriatri vogliamo che si incrementi la cultura geriatrica e che si diffonda una rete in grado di rispondere alle nuove esigenze”.

Il pronto soccorso geriatrico

Nicola Ferrara è favorevole anche a un modello geriatrico d’urgenza nei presidi di pronto soccorso, oggi presente in poche realtà (per esempio, l’INRCA IRCCS nell’area di Ancona): “Un anziano potrebbe avere risposte più adeguate e veloci in un pronto soccorso dedicato, con persone formate per affrontare le varie e complesse necessità, piuttosto che in uno generico”.

Il geriatra è visto come una sorta di figura di sintesi che potrebbe venire incontro alle esigenze degli anziani: “Le persone di una certa età spesso devono recarsi da vari specialisti per tenersi sotto controllo. Invece, ci vuole qualcuno che abbia la capacità e la responsabilità di decidere le priorità, che comprenda le esigenze dell’anziano nella sua complessità e che abbia l’umiltà e la capacità di confrontarsi con gli specialisti”. Tutti questi temi saranno affrontati al 62° Congresso nazionale SIGG che si terrà a Napoli dal 30 novembre al 2 dicembre.

Assistenza domiciliare integrata, Vetrano: “Servizio sottopotenziato”

Altro nodo fondamentale per la terza età è quello dell’assistenza domiciliare integrata (ADI), cioè quel tipo di assistenza che riunisce, secondo differenti gradi di complessità, l’assistenza socioassistenziale e quella sanitaria, coinvolgendo più figure professionali. Con l’aumento dell’età e della complessità del quadro clinico degli anziani, l’ADI diventa fondamentale per garantire la continuità delle cure e uno stile di vita dignitoso vicino ai propri cari. In Italia la diffusione dell’ADI varia da una regione all’altra e – nonostante ci sia un aumento degli assistiti – diminuiscono le ore erogate per caso.

A dirlo è il saggio La Babele dell’assistenza domiciliare in Italia, a cura di Davide Vetrano, medico geriatra del Policlinico Gemelli di Roma e dottorando di ricerca al Karolinska Institutet di Stoccolma, e di Ketty Vaccaro, sociologa del CENSIS. Secondo il report, il numero di anziani assistiti in rapporto agli anziani residenti varia molto nelle regioni: nel 2016 si va dal minimo di 0,4% (assistiti per 100 persone di 65 anni e oltre) in Valle d’Aosta al 4,2% in Emilia Romagna e Veneto.

“Nonostante gli sforzi fatti negli ultimi anni – spiega Vetrano – in Italia l’ADI rimane un servizio sottopotenziato. Durante il 2016 solamente il 2,8% degli anziani ha usufruito di cure domiciliari; una percentuale pari alla metà se non addirittura a un terzo degli over 65enni eleggibili a ricevere tale servizio nel nostro paese. Faccio presente che in Europa vi sono paesi in grado di fare 5-10 volte tanto. Nel corso dell’indagine ADI condotta con Italia Longeva è emersa una realtà dominata da un’estrema eterogeneità. Da nord a sud, dalle aree metropolitane a quelle rurali, si contano una moltitudine di modelli organizzativi, di modalità di erogazione dell’assistenza e di differenti livelli di evoluzione dei sistemi, tale da averci indotto a definirla una Babele. Questa eterogeneità genera un preoccupante divario nell’assistenza offerta dalle diverse regioni italiane, creando inevitabili diseguaglianze tra i cittadini.”

“Da un punto di vista qualitativo, ciò che sicuramente manca in molte regioni è l’adeguata integrazione e coordinazione tra servizi sanitari e servizi sociali. Le ASL e i Comuni sono spesso incapaci di dialogare adeguatamente tra di loro, erogando un’assistenza frammentata, poco efficiente e talvolta inefficace. Ma, come sempre accade nel panorama italiano, vi sono delle eccezioni: realtà virtuose in grado di garantire qualità ed equità dell’assistenza anche nel contesto dell’ADI.”

ADI, in calo le ore per ogni assistito

Altra questione è il calo del numero di ore per ogni persona: “A fronte di un lieve incremento negli ultimi anni del numero di cittadini assistiti a domicilio – prosegue Vetrano – abbiamo riscontrato una diminuzione del numero di ore dedicate a ciascun assistito, passate dalle 27 ore per persona del 2001 alle 18 del 2014, con potenziali ripercussioni sulla qualità dell’assistenza. Questi sono dati medi nazionali: andando nel dettaglio delle singole regioni ci si accorge che nel 2016, ad esempio, c’è chi è stato in grado di garantire 42 ore per assistito, e chi invece solamente 9”.

“Per superare i grossi limiti dell’attuale servizio ADI le istituzioni, sia a livello centrale che locale, dovrebbero sedersi attorno a un tavolo, valutare le pratiche più virtuose presenti sul territorio ed elevarle a standard qualitativo al quale attenersi. La diffusione di strumenti di valutazione dell’assistito e di esiti clinici unici per tutte le ASL, oltre all’adozione di un adeguato e moderno sistema di informatizzazione, rappresentano infine i passaggi obbligatori per raggiungere gli standard a oggi realtà in numerosi paesi europei”.

Il paradosso italiano, tra assistenza sanitaria e sociale

Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono chiare: è necessario un cambio di rotta. Bisogna potenziare un approccio che metta al centro dell’assistenza le esigenze globali della persona, basandosi sull’integrazione di servizi e percorsi di cura personalizzati, ma anche coinvolgendo l’intera comunità. In Italia però c’è una contraddizione: mentre l’attivazione formale dell’ADI avviene in genere nell’arco di 48 ore, ci possono essere ritardi nell’attivazione dei servizi gestiti dai comuni.

Lo spiega bene Davide Vetrano: “È ormai chiaro che la più grossa fetta dei bisogni dell’anziano fragile assistito a domicilio richiede interventi di aiuto alla persona nello svolgimento delle proprie attività quotidiane, ovvero il mantenimento dell’igiene, la preparazione dei pasti, l’assunzione dei farmaci e in casi più complessi la mobilità e l’utilizzo dei servizi igienici. Tuttavia, in Italia, gli anelli deboli dell’ADI sono proprio l’assistenza sociale e l’aiuto alla persona. Non tutti i comuni, specie se piccoli e con finanze in difficoltà, riescono a garantire questo servizio in maniera efficace. In altre parole, l’anziano assistito a domicilio di solito riceve una puntuale visita da parte dell’infermiere ma rischia di trovarsi in difficoltà nello svolgimento delle attività basilari del vivere quotidiano”.

“Per ovviare a questo importante handicap i distretti socio-sanitari dovrebbero lavorare moltissimo sulla comunicazione tra istituzioni, sullo scambio di informazioni in tempo reale e sull’adozione di strumenti di valutazione moderni e multidimensionali. Infine se l’assistenza sanitaria e quella sociale venissero erogate dallo stesso ente, sia esso pubblico o privato, sarebbe possibile ottenere un livello di integrazione ottimale direttamente al domicilio dell’assistito.”

La cultura geriatrica come priorità

Il concetto prioritario, ribadito sia da Nicola Ferrara sia da Davide Vetrano, è uno e fondamentale: la cultura geriatrica deve entrare a far parte della sanità pubblica con più forza di quanto non lo sia ora e con un maggiore coordinamento fra i suoi attori.

“I pazienti anziani, fragili e con numerose malattie sono quelli che oggi riempiono sia il pronto soccorso sia la sala d’aspetto dei medici di famiglia”, conclude Vetrano. “Questa rappresenta una vera e propria emergenza in sanità pubblica, e l’invecchiamento progressivo della popolazione di certo non aiuterà. La cultura medica va integrata con nozioni di gestione della complessità e le politiche sanitarie dovrebbero mettere al centro delle riforme la fetta di popolazione che nei prossimi anni assorbirà grandi energie e risorse economiche: gli anziani. Con Italia Longeva (network dedicato all’ invecchiamento, creato dal Ministero della Salute, dalla Regione Marche e dall’IRCCS INRCA, N.d.R.) e con il suo presidente, Roberto Bernabei, abbiamo esattamente questa missione: facilitare il processo di modernizzazione della long term care, fornendo evidenze ai decisori, promuovendo l’eccellenza e suggerendo soluzioni vincenti e sostenibili”.

Turismo per la terza età, un giro d’affari di oltre 20 miliardi

Il turismo rivolto alla terza età è sicuramente un settore in forte sviluppo. Ci sono anziani che prenotano vacanze in modo individuale e altri che si affidano a enti, strutture o associazioni che organizzano viaggi.

Non sempre però le strutture rispondono in modo adeguato a criteri di accessibilità specifici per determinate esigenze. Ecco allora che la formazione per i professionisti del turismo diventa fondamentale nello sviluppo di questo settore, in modo che le imprese siano sempre in grado di rispondere alle nuove esigenze. Ne parliamo con Gianfranco Battisti, presidente di Federturismo.

“Quello della terza età è indubbiamente un segmento che, dati alla mano, mostra un mercato potenziale non indifferente e ancora non pienamente sfruttatoIn Italia sono circa 12,5 milioni i viaggiatori senior, in grado di generare un giro d’affari di 19,5 miliardi di euro, che se si considera l’indotto raggiunge i 35 miliardi. È un popolo in movimento, la cui spesa media per un singolo viaggio oltre confine costa, in media 934 euro: la cifra più alta se rapportata sia alla media europea (837 euro) che a quella delle altre fasce d’età. Sono numeri che impongono, a un turismo maturo come quello italiano, di considerare questo segmento come una grande opportunità di crescita per il nostro Paese.”

“Negli anni il profilo del viaggiatore senior è profondamente cambiato”, prosegue Battisti. “È più informato, dinamico, esigente e predilige vacanze sempre più lunghe, differenziate, frequenti e lussuose. Guarda con grande interesse a città d’arte e appuntamenti culturali, pone molta attenzione a servizi specifici e personalizzati. Nonostante quello dei senior sia il target di domanda che, più degli altri, preferisce la formula del pacchetto turistico all inclusive e si affida a un tour operator o a un’agenzia di viaggi per organizzare la vacanza, negli ultimi tempi sceglie anche di viaggiare individualmente”.

“Il contributo dato dagli anziani all’industria turistica è notevole e andrebbe rafforzato per far fronte al problema della stagionalità, per stimolare la crescita economica e promuovere l’occupazione. Imparare a conoscere la terza età come una risorsa, per la società e per l’economia, è la sfida che dobbiamo affrontare nel prossimo futuro. Nei prossimi anni il progresso non sarà solo di tipo quantitativo; assisteremo a ulteriori cambiamenti e profonde modifiche del modo di fare vacanza.  Saranno richiesti, infatti, anche per i senior più servizi attivi e sportivi, così come crescerà il numero delle vacanze individuali e in genere costruite su misura”.

Accessibilità e formazione del personale: le parole d’ordine del turismo per la terza età

“Secondo l’Osservatorio Europcar sono quasi 10 milioni (il 16,4% delle famiglie) gli italiani che in vacanza riscontrano problemi di accessibilità”, spiega Battisti. “Si tratta di un dato ‘allargato’ che comprende chiunque abbia in vacanza esigenze specifiche: anziani, disabilità fisiche o sensoriali, ma anche ammalati cronici e famiglie con bambini piccoli. Nonostante diverse imprese abbiano intrapreso questa strada si deve comunque tener presente che il miglioramento della accessibilità e l’estensione della capacità di accoglienza a questo tipo di clientela sono un obiettivo sul quale dover ancora lavorare”.

“Il problema non si pone solo in termini di accessibilità ai musei, alberghi e ristoranti, ma anche di monitoraggio della reale esistenza e qualità dei servizi offerti, di formazione degli operatori, intesa non solo come competenza e preparazione per affrontare problemi specifici, ma anche come capacità di fornire indicazioni utili e aggiornate sulla accessibilità di un museo o sulla presenza di uno spazio giochi per bambini nell’albergo, fino ad arrivare alla richiesta di guide specializzate. Oggi una struttura accessibile risulta essere il 10% più appetibile di una che non lo è. Questo determina benefici per gli operatori in termini di maggior numero di prenotazioni e di reputazione.”

“È quindi importante accordare la priorità a interventi che prevedano l’adattamento di un immobile a nuova struttura ricettiva alberghiera, attraverso finanziamenti agevolati che coprano l’investimento ammissibile (lavori di costruzione e ristrutturazione, attrezzature, impianti), in gran parte a tasso zero, e in percentuale minore in fondi bancari. Occorre promuovere e sostenere il turismo accessibile attraverso un’azione culturale che ricomprenda innanzitutto la presa di coscienza di problematiche specifiche e un’adeguata formazione del personale. Sono necessari corsi di formazione per definire un modello di ospitalità tale da soddisfare le condizioni di accessibilità e la qualità dell’accoglienza, così come la formazione di collaboratori che supportino il tour operator e il cliente nel percorso della vacanza.”

Al via una nuova figura professionale: il manager in ambiente e turismo intergenerazionale

Intanto, nel panorama turistico si affaccia una nuova figura professionale: il manager in ambiente e turismo intergenerazionale. A organizzare il master multidisciplinare di primo livello è l’Associazione Ricerche Interdisciplinari Psicologia del Turismo – Formazione Ricerca Progettualità (A.R.I.P.T. – Fo.R.P.), costituita nel 2012 grazie ai precedenti sforzi di una rete scientifica fra varie università italiane. Ne parlano con orgoglio sia la professoressa Antonietta Albanese, già docente dell’Università degli Studi di Milano e Segretaria Scientifica Nazionale di A.R.I.P.T. – Fo.R.P, sia la ricercatrice Elena Bocci, del Dipartimento dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, Segretaria Scientifica presso la stessa associazione.

“Si tratta senz’altro di un nuovo profilo professionale che richiede una specifica formazione Post diploma e Post Lauream. Il Manager del Turismo Intergenerazionale è competente in comunicazione e gestione delle risorse umane. È un momento di particolare difficoltà per il mondo del lavoro: solo i giovani laureati con alto potenziale manageriale e buone competenze tecnico-scientifiche comprendono l’importanza di innovativi progetti di formazione che diventano la base per una innovativa imprenditorialità giovanile.”

La figura professionale nasce a seguito delle ricerche di comunicazione intergenerazionale messe in atto con vari progetti, che si concentrano sulla creazione di ponti e trasmissioni di valori tra giovani e anziani, estesi anche al contesto turistico. Concetti fondamentali sono formazioneprogettualitàturismo sostenibile e comunicazione tra le generazioni. Una vera e propria “psicologia del turismo” che ha portato al progetto di turismo intergenerazionale, una forma di vacanza dove giovani e anziani si incontrano, all’insegna del benessere psicofisico e psicosociale.

Il programma prevede escursioni, laboratori informatici, cineforum, laboratori di educazione ambientale e di educazione alimentare, insieme a varie figure professionali: un coordinatore psicologo, tecnici di laboratorio, professori che accompagnano i ragazzi, ricercatori e stagisti che effettuano osservazioni con un monitoraggio continuo.

“Si tratta di un turismo di qualità e di nicchia”, spiegano Albanese e Bocci. “I nostri gruppi sono composti mediamente da dieci ragazzi e dieci anziani per poter meglio seguire le esigenze e i problemi di ciascuno. L’aspetto positivo è la collaborazione delle scuole nella individuazione di studenti motivati e preparati a una innovativa esperienza. Dal 2016 alcune di queste esperienze al Nord Italia sono progetti di alternanza scuola-lavoro per studenti delle scuole superiori scelti dalla scuola per un percorso formativo professionalizzante”.

“L’aspetto negativo è il reperimento di anziani motivati al progetto. Alcuni si sentono inadeguati alle attività di laboratorio informatico (fotografia digitale, uso del computer) nei momenti in cui il giovane insegna all’anziano. Tuttavia, la rete costituitasi con Università della Terza Età, Acli, Caritas di Viterbo, alcuni comuni dell’Area Nord e Centro Italia, e ADA (Associazione Diritti degli Anziani) risolve questa difficoltà. La collaborazione di enti, Istituzioni pubbliche e private è indispensabile. La rete che già si è costituita è stata davvero il motore indispensabile, realizzando lo slogan dei ricercatori: socializzare le generazioni, socializzando le Istituzioni (Albanese e Bocci, 2009).”

“Oltre ai diplomati del Master Post Lauream in Ambiente e Turismo Intergenerazionale di A.R.I.P.T. Fo.R.P., vorremmo citare l’esperienza innovativa di un piccolo gruppo di diplomati dell’Istituto Alberghiero di San Pellegrino (Bg), formati ai temi della psicologia del turismo, che hanno realizzato un’esperienza di cooperativa per un turismo culturale nel territorio locale. Anche piccole realtà locali potranno essere attivate alla conoscenza del territorio nelle sue radici storico-economiche e sociali grazie alla presenza degli anziani residenti, che costituiscono la memoria locale. Essi possono guarire la patologia della società contemporanea, che rinnega e non considera il passato, e pertanto, come la psicologia sociale insegna, non riesce a legare passato-presente per l’individuazione di una progettualità futura”, concludono le studiose.

E forse la chiave, sia per la sanità sia per il turismo della terza età, è proprio questa.

 

CONDIVIDI

Leggi anche