Un agronomo livornese crede nell’auto elettrica

Tempi frizzanti per l’industria dell’auto. Marchionne firma un accordo con Google per l’auto senza pilota, Volkswagen ancora si lecca le ferite per il Dieselgate (ultima arrivata nello scandalo, la giapponese Mitsubishi), Apple, Mercedes e BMW si fanno la guerra per l’auto del futuro (elettrica). Tutto questo mentre in Italia uno sconosciuto agronomo, in silenzio, in […]

Tempi frizzanti per l’industria dell’auto. Marchionne firma un accordo con Google per l’auto senza pilota, Volkswagen ancora si lecca le ferite per il Dieselgate (ultima arrivata nello scandalo, la giapponese Mitsubishi), Apple, Mercedes e BMW si fanno la guerra per l’auto del futuro (elettrica). Tutto questo mentre in Italia uno sconosciuto agronomo, in silenzio, in alleanza col colosso dell’industria meccanica cinese Xi Da Yang, sta rivoluzionando un settore che incontra sempre più interesse: il car sharing.

L’abbiamo incontrato: si chiama Emiliano Niccolai, nato a Livorno 42 anni fa,  ex giocatore semiprofessionista di basket, alla fine degli anni ‘90 è stato fulminato (il termine è quello giusto) sulla via dell’auto elettrica. Dopo la laurea in agraria, Niccolai, mentre girava per vigneti proponendo incentivi statali per il fotovoltaico, per caso conosce due Steve Jobs italiani: Alfredo Bacci ed Ettore Chimenti, il primo ex AD Fiat con esperienza in Cina e Brasile, il secondo ex Marketing in Piaggio. Entrambi hanno in testa di sviluppare da zero un’auto tutta elettrica. Si tuffano nel progetto, creano una società dove entrerà a lavorare anche Niccolai e non appena hanno un prototipo volano in Cina dove stringono un accordo con Mr. Bao Wengyang, un trentacinquenne imprenditore che produce motori elettrici per bici.

La svolta arriva nel 2008 quando vincono un bando del governo cinese da 90 milioni di dollari per produrre auto ecologiche, il progetto ZD. Il risultato è Icaro, una quattro ruote, tre porte e due posti, che da fuori somiglia alle minicar dei sedicenni pariolini romani, ma dentro la differenza è abissale. Costruita in 5 fabbriche cinesi su tecnologia e design pensati tra Modena, Pontedera e Livorno, questo quadriciclo pesante (così si presenta alla Motorizzazione) viaggia a batterie di ioni di litio e percorre 130/140 km (max 80 all’ora) con un 1 € di ricarica, il doppio delle sorelle nate a benzina e convertite all’elettrico, tipo Smart.

Ma il progetto, nonostante i 350 milioni di dollari di investimenti, in Italia non decolla: senza incentivi statali (come in Cina) l’auto elettrica non si vende e qua arriva l’idea: buttarsi nel car sharing. C’è bisogno però di ritornare al cuore della filosofia del progetto: non adattare al business le auto esistenti ma produrne una, partendo da Icaro, apposta per le esigenze di noleggio, dedicandogli persino una singola fabbrica a Hinan, nella provincia dello Shandong. Ed ecco che nasce la ZD1: interni lavabili, paraurti sostituibili e non verniciati, chiave d’accensione che non si toglie, computer di bordo nato per chattare con la sala operativa.

Ma non bastava ancora. Occorreva fare un salto ulteriore per evitare, come accade ai pionieri possessori di auto 100% elettriche, di restare ostaggi, al guinzaglio, delle (poche) colonnine di ricarica cittadine. La soluzione sta in un apposito software di gestione e nell’introduzione di una nuova figura professionale: il “logista”. In breve, chi noleggia la ZD1 la lascia dove vuole e quando l’energia sta finendo il computer nel cruscotto avvisa la centrale che manda un incaricato su di una bici pieghevole: caricato il ciclo nel bagagliaio, porta l’auto a fare il pieno di Volt, operazione che può esser fatta anche con un furgone. Share’NGo, questo è il nome della società di cui Niccolai oggi è amministratore delegato, attualmente ha 550 minicar giallo canarino a Milano, 250 a Roma, 200 a Firenze e una app per smartphone con la quale registrarsi, localizzare il veicolo e aprirlo.

È presto per dire se queste “Equomobili” (così le ha chiamate perché il profilo tariffario è basato sulle necessità dei clienti; gratis per le donne la notte) avranno successo ma i presupposti sembrano esserci e l’entusiasmo col quale Niccolai parla degli sviluppi futuri è contagioso. A fare concorrenza ai grandi (BMW, Mercedes, Tesla) neppure ci pensa. La sua parola d’ordine è New Human Mobility.
Immagina il futuro dell’auto elettrica come per i cellulari: non compri più il telefonino ma paghi un noleggio mensile comprensivo di traffico e ti fidelizzi il cliente vendendogli altri servizi, magari geolocalizzati tramite il computer di bordo o guadagnando con la pubblicità esposta nell’abitacolo.

Quando gli chiedo se le sue minicar si evolveranno secondo i progetti di Google (senza pilota), Niccolai a priori non lo esclude ma ho l’impressione che in questo momento a prevalere sia la prudenza mista ad un po’ di sano scetticismo. Ma siccome il futuro è terra incognita (e piena d’opportunità) è bene esser pronti. Per questo si lascia scappare che a breve inizierà le prime sperimentazioni per telecomandare le ZD1 come fossero droni: un logista con un joystick e l’aiuto di telecamere a bordo muoverà le minicar dalla sala operativa. Niente passeggeri: l’idea per ora è di guidarle da remoto alle stazioni di ricarica o sotto casa del cliente, ma in futuro chissà. Del resto, 43 anni fa nel film Il dormiglione, Woody Allen si muoveva con auto elettriche senza pilota. A quei tempi era fantascienza. A quei tempi.

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