Uscire dai confini nazionali con il Business English

A partire dalla seconda metà del secolo scorso, l’inglese si è affermato come lingua franca per il mondo degli affari. Già lingua ufficiale del Commonwealth britannico, l’inglese è diventato lingua di riferimento per eccellenza con l’affermarsi dell’egemonia, prima economica e poi culturale degli Stati Uniti, giunta a compimento nel secondo dopoguerra. Anche oggi che l’economia […]

A partire dalla seconda metà del secolo scorso, l’inglese si è affermato come lingua franca per il mondo degli affari. Già lingua ufficiale del Commonwealth britannico, l’inglese è diventato lingua di riferimento per eccellenza con l’affermarsi dell’egemonia, prima economica e poi culturale degli Stati Uniti, giunta a compimento nel secondo dopoguerra. Anche oggi che l’economia mondiale si sta sbilanciando sempre più verso l’estremo oriente, è sempre l’inglese la lingua di elezione per chi vuole condurre affari a livello internazionale.

In Italia scontiamo uno storico ritardo nella diffusione dell’inglese come seconda lingua, e se è vero che nelle consociate italiane delle multinazionali anglosassoni l’inglese si “mastica”, è altrettanto vero che poche aziende e professionisti italiani, ma anche alcune multinazionali hanno mai prestato grande attenzione alla formazione linguistica del proprio personale e management.

In tempi di crisi, l’esigenza di muoversi al di fuori del mercato nazionale sta tuttavia spingendo molte aziende, e non poche associazioni di professionisti – avvocati e commercialisti, ad esempio – a colmare il divario con l’obiettivo di riguadagnare competitività, e quando c’è una motivazione reale – in questo caso di tipo economico – si è maggiormente predisposti a imparare una lingua.

No motivation? No party

La motivazione è la prima e più importante premessa a un apprendimento efficace. Infatti, imparare una lingua straniera è più simile alla pratica uno sport che allo studio di una materia di studio scolastica quale può essere la chimica o la storia. Certo c’è una base teorica – la grammatica e la sintassi – ma c’è anche e soprattutto la pratica della lingua, il lessico e la pronuncia. Le prime si possono studiare e imparare, per le seconde ci vuole tanta pratica e tanto allenamento, e senza motivazione ci si allena male. Dunque da dove la prendiamo la motivazione? Normalmente è più motivato chi ha una necessità concreta e immediata, molto spesso professionale o di carattere personale.

Lavorando, ad esempio con gli Ordini dei Commercialisti di Milano e Como, sono entrato in contatto con professionisti che hanno sempre operato con successo sul proprio mercato locale, ma che sempre più spesso si trovano a dover consigliare i propri clienti in merito a partnership, acquisizioni, fusioni e transazioni commerciali con aziende straniere. Oltretutto, la figura professionale del commercialista non ha un omologo nel mondo anglosassone, dove il ruolo di consulente fiscale o commerciale è normalmente svolto da avvocati, quindi la sfida è duplice: da un lato perfezionare le competenze linguistiche e dall’altro acquisire dimestichezza con l’inglese tecnico, parlato e scritto, dalla classe professionale degli avvocati.

Gli aspetti culturali del business English

Diversa è invece l’esigenza di un’azienda di consulenza aziendale con cui ho collaborato recentemente. Si tratta di una società che opera ad alto livello ponendosi come punto di riferimento di fiducia per amministratori delegati, imprenditori e top manager di imprese italiane che operano all’estero e di multinazionali che operano in Italia. Per i consulenti di questa azienda, l’esigenza era di perfezionare la dimestichezza con il business English, lavorando anche sugli aspetti culturali, oltre che linguistici, in modo da rispondere al meglio alle aspettative degli interlocutori di diversi Paesi del mondo (spaziando dagli Stati Uniti alla Corea del Sud). In concreto, si tratta non solo di esprimersi in un inglese corretto, ma anche di imparare a utilizzare i diversi strumenti di comunicazione – incluse le tanto temute “conference call” – in maniera sintetica, efficace e finalizzata a ottenere risultati concreti.

Perché l’inglese è così difficile da capire?

Un’altra esperienza interessante è stato il servizio di “sportello linguistico” che la Scuola ha fornito a un’importante multinazionale nel settore food. Si tratta di un servizio cui il personale dell’azienda ha potuto fare riferimento quando aveva necessità di una consulenza o un sostegno nella produzione di documenti – presentazioni, contratti, anche semplici e-mail – o nella gestione dei contatti con il team internazionale attraverso conference call periodiche. Di gran lunga il contatto più ostico con una lingua straniera avviene attraverso l’ascolto, e l’inglese è certamente difficile per noi italiani da capire.

Infatti, spesso si dice che gli inglesi parlano “con le patate in bocca”. Questo è in parte vero, ma c’è un motivo: mentre l’italiano ha una cadenza di tipo sillabico (il ritmo della lingua parlata è dato dal susseguirsi delle sillabe), l’inglese ha una cadenza di tipo verbale, dove nel parlato si dà enfasi alle parole che veicolano il significato (il lessico), andando a “comprimere” le parole che veicolano la struttura (la grammatica). Quindi, in una frase come “I will get you a glass of water” si enfatizzano le parole glass e water; tutte le altre diventano “alghètiu”. La soluzione? Concentrarsi sulle parole chiave ignorando il resto.

Come fare dunque?

Se abbiamo detto che imparare l’inglese è come un allenamento, ne consegue che il miglior teacher è un allenatore che faccia da punto di riferimento, mettendo lo studente al centro della lezione, dandogli l’opportunità di dare il meglio di sé e soprattutto rendendo l’apprendimento della lingua un’occasione di divertimento. E l’italiano a lezione? Molte scuole vietano l’uso della “lingua 1” ma a volte utilizzare l’italiano evita di perdere tempo e consente di concentrarsi sull’attività più importante: esprimersi in inglese!

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