Ayrton Senna, la F1 e la sicurezza: ora va sano anche chi va forte

Un’indagine sull’evoluzione della sicurezza in F1 da Ayrton Senna in poi, con gli interventi del giornalista sportivo Roberto Chinchero e del direttore dell’autodromo di Imola Pietro Benvenuti.

È stata Imola la sede della seconda tappa del festival Nobìlita 2021, ospitato dall’autodromo Enzo e Dino Ferrari negli spazi del museo multimediale Checco Costa. Una cornice prestigiosa quanto suggestiva, ma non fine a se stessa: il motorsport è rientrato attivamente nel programma del festival, grazie a un monologo di Diego Alverà dedicato alla storia umana e professionale di Ayrton Senna e tratto dal suo libro Il predestinato (Giorgio Nada Editore). Il fuoriclasse brasiliano, tre volte campione del mondo di F1, trovò la morte proprio sul circuito del Santerno il 1°maggio 1994 durante una tragica edizione del GP di San Marino, già funestata il giorno precedente da un altro incidente mortale in qualifica occorso al pilota austriaco Roland Ratzenberger.

La loro morte può definirsi un incidente sul lavoro? La domanda non deve suonare provocatoria, in quanto la F1 (come ogni altra categoria) è un ambiente di lavoro chiamato a garantire la sicurezza di chi vi opera a ogni livello: piloti, addetti ai lavori e personale del circuito. Una tutela da estendere anche al pubblico su prati e tribune.

Come e quanto ha inciso il drammatico fine settimana di Imola ’94 sulla cultura della sicurezza in F1?

Roberto Chinchero, giornalista sportivo: “In F1 le cose sono cambiate dopo le morti dei numeri uno”

Per comprenderlo al meglio è necessario un veloce quadro storico. Ci accompagna in questo excursus Roberto Chinchero, giornalista che scrive di motorsport dai paddock dal 1992 per la maggiori testate dedicate (Autosprint, Rombo, Quattroruote, La Gazzetta dello Sport) e attualmente collaboratore di Sky Sport e del network motosport.com.

“In F1 nel corso degli anni c’è stata un’evoluzione della sicurezza, voluta, cercata, resa obbligatoria con alcune misure tecniche. Parallelamente, è stata dettata da uno sviluppo tecnologico dei materiali. I progressi maggiori, che vediamo ancora oggi in pista, sono stati due: la fibra di carbonio e gli effetti della lotta contro il fuoco.”

Uno snodo importante nell’evoluzione della sicurezza è il 1982, che ha un punto di contatto importante con i fatti del ’94: la morte in pista del pilota più popolare in quel momento storico, Gilles Villeneuve. Chinchero fa notare un aspetto amaro, ma significativo: “Purtroppo quando muore un pilota semisconosciuto non c’è lo stesso impatto emotivo di quando succede a un numero uno. Se accade a un pilota delle ultime file, anche non in modo coscio, c’è elaborazione: si tende a pensare che, non essendo la squadra di primo livello, possa non aver lavorato bene, oppure si dà peso all’inesperienza del pilota. Quando invece a morire è il numero uno, che di solito è al volante di un top team, non si può più liquidare così la faccenda. Si deve prendere atto che c’è qualcosa di strutturale che non va”.

Dopo la tragedia del canadese, seguita da quella di Paletti in Canada e dal gravissimo incidente di Pironi, si reagì con l’abolizione dell’effetto suolo e l’introduzione del fondo piatto. Giungiamo così agli anni Novanta: “Ci fu un’evoluzione in termini di sicurezza, complici i freni in carbonio e le scocche ancora più rigide, e si è arrivati a un punto in cui si credeva che fosse un obiettivo raggiunto.”

Com’è cambiata la F1 dopo la morte di Ayrton Senna?

Nel ’94 un cambio regolamentare spoglia le auto dall’elettronica, ma lascia le performance intatte quanto ingovernabili. I piloti faticano a controllare le vetture; le avvisaglie estreme di pericolosità non mancano sin dai test prestagionali. A Imola ci saranno due morti in due giorni e una sequela di incidenti gravi, alcuni con coinvolgimento del pubblico in tribuna e dei meccanici ai box.

Chinchero tocca punti nodali: “I grandi cambiamenti sono sempre arrivati dopo momenti drammatici che hanno reso evidente un problema che non si è potuto, o voluto, vedere prima. Credo che questo sia applicabile non solo in F1, ma a tutte le problematiche riguardanti la sicurezza sul lavoro. Non ci si può passare sopra, e il motorsport non l’ha fatto. Dopo la tragedia di Senna, il presidente della FIA Max Mosley lanciò una vera e propria campagna per la sicurezza con un percorso sia immediato che di lungo respiro. Si capì che non era più possibile intervenire solo dopo delle tragedie, semplicemente perché avrebbero portato alla morte della F1 stessa. La società non era più disposta ad accettare uno sport in cui un potenziale incidente mortale era possibile in qualsiasi momento”.

Il primo approccio fu quello di intervenire sulle piste, non potendo cambiare il progetto tecnico delle monoposto a stagione in corso: “La priorità fu cercare di ridurre la velocità, specie delle curve più rapide, e ampliare le vie di fuga. Si pensò anche a migliorare la tecnologia delle barriere: all’inizio parve un lavoro di nicchia, ma con il tempo ha portato a risultati pazzeschi. Le barriere Tecpro, infatti, hanno una capacità di assorbimento di energia molto elevata grazie a strutture e materiali innovativi (polimeri di polietilene, N.d.R.). Una rivoluzione che ha consentito di raggiungere standard di sicurezza impensabili anche là dove non c’erano grandi vie di fuga.”

Sulle strutture delle vetture si intervenne a partire dalla stagione successiva “in primo luogo con la riduzione della potenza dei motori; poi si protessero collo e spalle del pilota con strutture apposite, le dimensioni dell’abitacolo aumentarono per consentirgli di uscire più facilmente, fu inserita una crash box anteriore potenziata, si introdussero i crash test laterali, fu ridotta la deportanza modificando le ali anteriori e tanto altro.” Negli anni, poi, si arriverà al collare HANS e ad Halo, decisivo nell’evitare il peggio già più volte.

Chinchero ben sintetizza: “La sicurezza ora è un target tecnico che viaggia a pari passo con lo sviluppo della performance. È come se si fosse aperto un laboratorio, operativo h24, che monitora, prevenendo e cogliendo tutti i più piccoli segnali di allarme. La sottovalutazione del rischio non esiste più. La F1 è uno sport che si è evoluto e che ora cattura la fantasia degli appassionati non solo per la velocità massima o quella media stratosferica sul giro, ma anche mettendo al riparo i propri attori da circostanze che, in altri contesti, sarebbero indubbiamente mortali. La sicurezza è diventata un fiore all’occhiello e uno spot per la F1”.

Pietro Benvenuti, direttore autodromo di Imola: “La nostra attività è coordinata al secondo”

Fondamentale è anche il lavoro compiuto sul versante dei circuiti. Ce ne parla Pietro Benvenuti, direttore dell’autodromo di Imola.

“La tragedia di Senna ha voluto dire tanto per la F1 e per tutto l’ambiente, e ha avuto conseguenze anche per quanto riguarda la sicurezza degli addetti alla pista, dove esiste un lavoro che nessuno vede ma che, in un fine settimana di gara, coinvolge anche 1.000-1.500 persone. Adottiamo lo stesso standard di sicurezza per ogni manifestazione. Tutto il personale medico, antincendio, il soccorso di recupero con i carri e i commissari fanno corsi di sicurezza analoghi a quelli nell’industria di medio e alto rischio. Poi continuiamo con una formazione aggiuntiva, garantendo il raggiungimento di un adeguato livello di preparazione.”

“La nostra attività si basa sul coordinamento al secondo: l’errore di uno può fare catena e compromettere tutti, mettendo anche a rischio la vita, quindi la preparazione mira all’apprendimento e al rispetto di regole e comandi. Finché il direttore di gara non dice ai commissari di uscire dalla postazione, nessuno deve farlo. In generale, ogni situazione deve essere gestita a seconda di ciò che si è verificato, quindi non c’è una procedura fissa. Il difficile è applicarne una facendo intervenire le persone adatte nel momento giusto.”

La formazione passa da un’imprescindibile e mirata parte pratica: “Il campo contribuisce a tenere allenate le menti. Si prova con i commissari, gli addetti antincendio e, soprattutto, con i medici. Qui in autodromo abbiamo uno chassis di una Dallara con cui ci si allena sulle procedure di estricazione al fine di portar via il pilota nel minor tempo possibile senza creargli ulteriori traumi. Questa scocca di una formula Indy ha l’Halo e tutte le protezioni: durante i WE di F1, a rotazione, tutti i medici (una trentina fra pista e centro medico) e gli infermieri si esercitano dal mercoledì al sabato”.

L’evoluzione dei team medici nelle piste di F1

Negli anni, il team medico in circuito è divenuto un mix fra locali e dottori che seguono tutto il campionato di F1, come spiega Benvenuti: “È fondamentale, perché i fissi hanno conoscenze più approfondite dei mezzi, delle caratteristiche individuali di ogni pilota e poi apprendono qualcosa su ogni pista. I locali, invece, sanno tutto sulla gestione immediata nel dato luogo, come muoversi e le caratteristiche del centro medico del circuito. Gestiscono i collegamenti con gli ospedali della zona. Noi lavoriamo con trasporto in elicottero al Bufalini di Cesena per gli ustionati e al Maggiore di Bologna per tutti gli altri casi gravi, compresi i traumi alla spina dorsale.”

La presenza di mezzi di soccorso è capillare: “Ci sono postazioni dedicate alle medical car e ambulanze ogni 500-600 metri di pista”. Sono state implementate anche le misure passive e attrezzature: “Le reti per la protezione del pubblico sono state alzate, i muretti a tutela dei commissari prolungati di cinque metri. Per loro sono diventati obbligatori caschetto, guanti, scarpe antinfortunistiche e tute antistrappo (ignifughe per gli addetti antincendio) e poi, negli ultimi anni, dotazioni aggiuntive: tappetino, guanti e stivali di gomma, perché con le macchine ibride esiste il pericolo di scarica elettrica.”

Cruciale anche l’evoluzione dei centri medici dei circuiti: “All’inizio erano degli ambulatori; oggi sono dei veri e propri pronto soccorso con rianimazione e mini sale operatorie per effettuare piccoli interventi al fine di stabilizzare il ferito prima di trasferirlo.”

Le ricadute della sicurezza in F1 sulla sicurezza stradale

Massimiliano Ghinassi, direttore di gara e di pista a Imola, ci spiega come la formazione dei medici in circuito sia risorsa preziosissima anche per la sicurezza su strada.

“Sono tutti medici, anestesisti e infermieri del 118. Su strada, ovviamente, arrivano quando il sinistro è già accaduto. In pista, invece, grazie alla sala monitor in cui registriamo tutto, compresi gli interventi di soccorso, possono rivedere sia la dinamica dell’incidente che il loro stesso operato. Questo, unito alla velocità appresa e messa in pratica, torna utile a livello pubblico, perché creiamo una figura medica professionalmente più avanzata e portatrice di un’esperienza unica. Molti la sottovalutano, ma noi facciamo una formazione importante per la collettività.”

Concludiamo tornando da Roberto Chinchero per altre ricadute della cultura della sicurezza in F1 su quella stradale: “In passato il rapporto era molto diretto. Adesso, invece, il passaggio riguarda i materiali (le supercar e le hypercar sono fatte in fibra di carbonio). Il travaso di conoscenza incide su quali e come si utilizzano e sui coefficienti di rigidità di certi compositi. Ora il rapporto fra F1 e strada è un processo più lineare e lungo, ma che conferma il legame tra le due realtà. Ad esempio, i freni carboceramici sono stati sviluppati in F1 e ora sono anche in macchine di serie, assicurando frenate mostruose. Il presente è il travaso sulla tecnologia ibrida, il futuro quello sui biocarburanti”.

L’articolo prende spunto dal JobX di Diego Alverà “Senna, il predestinato”, che puoi seguire cliccando qui.

Foto di copertina: Diego Alverà durante il suo JobX “Senna, il predestinato” a Nobìlita 2021 – Imola.

Credits: Domenico Grossi

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