Chi cercasi non trovasi: l’Europa affronta il Grande Turnover

L’eurozona registra un record di posti di lavoro scoperti: sono il 3,1%. Merito di un fenomeno che dà più potere e più scelta ai dipendenti, e che sta ridisegnando la fisionomia del lavoro in diverse parti del continente

Grande turnover: delle porte girevoli da cui entrano ed escono lavoratori

La buona notizia è che i lavoratori europei non hanno mai avuto così tanto potere. Quella cattiva è che l’inflazione sta corrodendo i vantaggi economici che hanno ottenuto negli ultimi anni.

Il dato è netto: in Europa c’è un record di posti vacanti. Nel terzo quarto del 2022 Eurostat registra il 3,1% di posti di lavoro scoperti; nel 2021 erano al 2,6%; nel 2019 al 2,2%. Tra le nazioni più colpite dal fenomeno c’è l’Olanda, in cui ci sono 123 posti ogni 100 disoccupati, la Germania, dove una pletora di lavoratori ha abbandonato il settore pubblico (specie la sanità) e lo scenario della ristorazione è desertificato, e la Francia, in cui il 67% delle aziende del settore industriale ha dichiarato difficoltà nel trovare candidati, quando negli anni scorsi la media era del 31%.

In Italia le imprese cercavano mezzo milione di lavoratori a gennaio, e la percentuale di difficoltà nel reclutamento si è alzata al 45,6% rispetto al 38,6% dell’anno scorso. Nel dettaglio, le problematicità dichiarate variano: 55,8% nell’assunzione di lavoratori specializzati, 47,8% per gli operatori di impianti e macchinari, 47,4% per le occupazioni tecniche e 47,2% per il management.

Chiariamo una cosa: gli articoli di tanta stampa italiana riguardanti gli imprenditori che non trovano candidati rimangono bufale nella stragrande maggioranza dei casi; basta dare un’occhiata ai dati sull’occupazione per rendersi conto della situazione effettiva di certi proclami a mezzo stampa. No: il fenomeno di cui si parla, che qualcuno ha già ribattezzato “Grande Turnover”, riguarda le offerte di lavoro regolareretribuito in modo adeguato e offerto tramite i canali appropriati. Offerte che sempre più lavoratori tendono a disertare.

Il “Grande Turnover” figlio delle Grandi Dimissioni: un fenomeno europeo

I dati provengono da un’inchiesta di Alternatives Economiques per l’European Data Journalism Network, un aggregatore di testate di settore, e fotografano una situazione diffusa in tutto il continente.

Il nuovo fenomeno affonda le radici nelle Grandi Dimissioni, che in Europa hanno spinto più di 3,5 milioni di lavoratori a lasciare l’impiego nel 2022. Un’onda lunga partita dagli Stati Uniti, rispetto ai quali oggi si nota un’ulteriore differenza: mentre negli U.S.A. si è registrato un calo della popolazione attiva, nei Paesi UE se ne osserva un incremento pari a 1,6 punti percentuali, che salgono a 1,8 per le donne. In parole povere, l’Europa sta sperimentando un dinamismo maggiore nel suo mercato del lavoro e una ricollocazione più efficace della manodopera, con un effetto traino anche sulla popolazione che nel periodo pre-pandemico era esclusa dal mondo professionale.

Ecco perché si parla di Grande Turnover: secondo l’analisi del ministero del Lavoro francese, è in corso “uno spostamento del potere a favore dei dipendenti”, che con una maggiore offerta possono permettersi di essere più selettivi, lasciando scoperte le posizioni percepite come meno convenienti.

Ma che cosa significa “conveniente” in una situazione come questa?

Gli stipendi non bastano. Che cosa cercano i lavoratori

La risposta non sta solo sul lato economico, per colpa dell’inflazione. Secondo la Banca Centrale Europea, i salari dell’eurozona sono cresciuti in media del 2,2% (ma non in Italia), mentre i prezzi sono aumentati dell’8,4%. Il potere d’acquisto, quindi, è più basso. Allora che cosa fa la differenza nella scelta di un posto di lavoro?

Una spiegazione parziale, ma interessante, la fornisce l’economista Eric Heyer: “Di norma, davanti a una crescente difficoltà di assunzione, si tendono ad alzare i salari reali. Oggi è vero il contrario: le difficoltà di assunzione causano perdite di produttività e tagli ai salari, probabilmente a causa dell’inflazione. È come se i dipendenti non negoziassero aumenti stipendiali, ma migliori condizioni di lavoro”.

Questa interpretazione troverebbe conferma nei dati sui contratti a tempo determinato, in diminuzione rispetto a quelli a lungo termine in diverse zone dell’UE. E spiegherebbe anche le scelte di alcuni governi quando costringono chi cerca lavoro a essere meno selettivo: si tratta di ridare potere a chi già ne aveva, in un momento storico che invece favorirebbe chi non ne ha avuto per troppo tempo.

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