Musei di arte contemporanea: l’Italia punta alle periferie

Ci sono territori legati a doppio filo all’arte contemporanea. Centri lontani dalle metropoli e dalle città d’arte per eccellenza, dove questa disciplina – e i musei che la accolgono – diventano un tassello significativo della loro identità, della loro attrattività, della loro agenda sociale, economica e culturale.   Prato, laboratorio urbano Il Museo del Castello […]

Ci sono territori legati a doppio filo all’arte contemporanea. Centri lontani dalle metropoli e dalle città d’arte per eccellenza, dove questa disciplina – e i musei che la accolgono – diventano un tassello significativo della loro identità, della loro attrattività, della loro agenda sociale, economica e culturale.

 

Prato, laboratorio urbano

Il Museo del Castello di Rivoli di Torino e il Centro Pecci di Prato sono i primi due musei di arte contemporanea in Italia; il Pecci è il primo aperto in uno spazio appositamente realizzato. Nascono, non a caso, in due città industriali vocate a intercettare gli input del presente in ottica futura.

«Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci incarna un’idea di nuovo, di innovazione, con la quale Prato vuole rappresentarsi» commenta Cristiana Perrella, dal 2018 – anno del trentennale dell’istituzione – alla guida del museo fondato negli anni Ottanta dal Cavaliere del lavoro Enrico Pecci, e donato poi alla città di Prato in memoria del figlio Luigi scomparso prematuramente.

L’edificio originario progettato dall’architetto Italo Gamberini è stato pensato, ricorda Parrella, come una “fabbrica di cultura”, fabbrica in quanto «elemento familiare nel panorama pratese che mette in stretta relazione visiva la produzione culturale con quella materiale». L’ampliamento firmato da Maurice Nio, con il quale il Centro Pecci ha riaperto nel 2016, prende il nome – sempre non a caso – di Sensing the Waves, con un’antenna che spicca sul tetto a ricordare la funzione dell’istituzione quale sonda degli umori culturali e degli sviluppi per il futuro.

Veduta del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato. Foto Fernando Guerra

«In questi trent’anni di attività del Centro – continua la direttrice – Prato è cambiata profondamente dal punto di vista sociale, politico ed economico, con la crisi del settore tessile e l’affermarsi della matrice cinese sul fronte produttivo. Queste trasformazioni hanno reso la città un laboratorio ancora più interessante per lavorare con l’arte contemporanea». Arte che assurge a strumento di lettura critica del presente. «Il Centro Pecci è oggi una piattaforma di riflessione sui nodi della contemporaneità e sulle tensioni sociali che attraversano il territorio. Inoltre, grazie alla capacità anticipatrice dell’arte e degli altri linguaggi creativi che proponiamo, resta una fonte di ispirazione per il tessuto produttivo». Mondo produttivo che, del resto, ha contribuito negli anni Ottanta alla nascita del museo stesso.

Il Centro punta a essere «una piazza, uno spazio familiare e riconosciuto della città», che con una proposta multidisciplinare intende sempre più includere pubblici diversi: non solo mostre, ma anche concerti, proiezioni nell’auditorium–cinema, conferenze, incontri e presentazioni di libri, attività didattiche e di formazione. Senza dimenticare il ristorante dello chef Angiolo Barni, il bistrot e il teatro all’aperto. Il pubblico resta prevalentemente locale, ma il museo – e Prato – hanno le potenzialità per accrescere l’appeal turistico. «Solo attraverso un’identità forte e radicata di quello che è stato e che potrà essere, si diventa interessanti a livello globale. Altrimenti si corre il rischio di essere piccoli cloni di qualcosa che viene fatto sempre meglio altrove”, conclude Cristiana Perrella.

Centro Pecci, interno. Foto Fernando Guerra.

 

L’Umbria dei musei di arte contemporanea

Proprio in concomitanza con un evento come il Festival dei Due Mondi, che ha chiuso i battenti il 14 luglio, la Galleria d’Arte Moderna Giovanni Carandente di Spoleto ha inaugurato il 29 giugno il suo nuovo allestimento a Palazzo Collicola.

«La Galleria rappresenta la storia, il presente e in qualche maniera il futuro dell’arte moderna e contemporanea di Spoleto, l’unico e il più importante museo in questo senso dell’Umbria», afferma il neodirettore Marco Tonelli, arrivato a febbraio con le idee chiarissime sul processo di rinnovamento da attuare. A distanza di quasi vent’anni dalla sua inaugurazione quale sede della Galleria d’Arte moderna di Spoleto, Palazzo Collicola vede la collezione permanente traslocare dal piano terra al secondo piano per conservare, valorizzare e comunicare in maniera più efficace il patrimonio del museo e della città: i grandi nomi italiani e stranieri, la celebre mostra evento del 1962 “Sculture in città”, a cui presero parte i più importanti scultori dell’epoca, le varie edizioni del Premio Spoleto (1953-1968), le donazioni del curatore e storico dell’arte Giovanni Carandente, i lavori degli artisti spoletini, dal Gruppo dei 6 a Leoncillo.

Il neo Direttore di Palazzo Collicola, Marco Tonelli.

«La rinnovata veste della collezione, arricchita di apparati didattici e nuove acquisizioni, si presenta in maniera più competitiva, aggiornata secondo i criteri museologici e museografici contemporanei per facilitare una migliore lettura dell’allestimento. Abbiamo creato una proposta che tiene conto del pubblico», spiega Tonelli, il cui impegno è indirizzato su molti progetti, dalla digitalizzazione dell’archivio Leoncillo (conservato nella Biblioteca Carandente del piano nobile) alla messa in cantiere in cantiere di una serie di interventi relativi a illuminazione, climatizzazione, recupero del piano terra e restauro delle opere. Uno dei frutti di questa operazione di rilancio si auspica essere l’aumento del numero dei visitatori, che «in questi anni si è assestato sui 9-10.000 spettatori, un numero irrisorio se consideriamo il valore della collezione».

Per il prossimo anno Tonelli auspica un’effettiva collaborazione con il Festival dei Due Mondi, con l’organizzazione di una mostra a tema durante il periodo della manifestazione. Tra gli obiettivi anche la costruzione di una nuova rete dell’arte contemporanea in regione. «Per storia e patrimonio, Palazzo Collicola può essere la capofila di importanti realtà dedicate al contemporaneo. Il nostro principale referente è un’eccellenza come la Fondazione Burri di Città di Castello, presieduta da Bruno Corà, membro del neocomitato scientifico di Palazzo Collicola; ma guardo anche alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia diretta da Marco Pierini. La regione non dispone delle risorse che hanno altri territori sul contemporaneo, ma vanta ricchezze ancora nascoste. Una rete che funzioni ad ampio raggio sotto il profilo del reperimento di risorse – penso anche ai bandi europei – della promozione e delle sinergie collaborative potrebbe essere un’occasione da cogliere per tutti».

Intanto, il 14 settembre inaugurerà a Todi il Parco di Beverly Pepper, il primo parco monotematico di scultura contemporanea in Umbria e il primo dell’artista statunitense nel mondo.

Allestimento a Palazzo Collicola.

 

Nuoro, lo snodo culturale dell’Isola

Sardegna, terra antica che abita il contemporaneo. Lo fa attraverso il MAN, Museo d’Arte Provincia di Nuoro, che proprio nel 2019 festeggia il ventennale della sua nascita. Il Museo oggi non è solo un museo di arte contemporanea, ma «un landmark territoriale e un fortissimo attrattore turistico. Il MAN è un’istituzione ormai uscita dai confini della città in cui è di casa, e in tal senso è un’utopia concreta, ma soprattutto un museo che da due decenni produce ricerca e aggrega i cittadini, veicolando conoscenza artistica, innovazione culturale e dibattito sociale sul presente e il futuro della provincia di Nuoro e di tutta la Sardegna», afferma Luigi Fassi, direttore in carica dal 2018.

MAN. veduta esterna per Confini Visivi.

Radicamento nel territorio e al contempo attenzione ai turisti e agli appassionati d’arte. Pubblici molto diversi vivono il MAN, che negli ultimi due anni ha accolto circa 70.000 visitatori. Il programma del museo, che conserva ed espone il meglio dell’arte sarda dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, è articolato in più livelli: dai progetti fotografici presentati in estate – quest’anno la prima retrospettiva museale italiana di Guido Guidi – a proposte di ricerca pura nel resto dell’anno.

“Guido Guidi In Sardegna: 1974, 2011”. Fino al 20 ottobre 2019, la prima mostra in un museo italiano dedicata al protagonista della fotografia del secondo dopoguerra.

Durante la stagione estiva il museo intercetta i corposi flussi turistici in arrivo in Sardegna, «che si aspettano dal MAN il rigore e la professionalità dei musei che frequentano nei loro Paesi di origine, come Germania, Svizzera, Olanda, Danimarca, Francia, Belgio. Questo pone una sfida al museo, che ha fidelizzato con le sue proposte molti visitatori che ogni anno tornano a Nuoro, frequentano le mostre e acquistano i cataloghi».

Nella stagione invernale il pubblico è composto dalle scolaresche di ogni ordine e grado, e dagli appassionati provenienti dal resto della regione e dal continente. Il museo civico sardo ha saputo costruire negli anni un pubblico competente e ambizioso, che chiede di raccontare a Nuoro che cosa accade nello scenario internazionale, senza perdere di vista il rapporto con la collezione permanente. «Ci sono visitatori che hanno cominciato vent’anni fa a vedere le mostre del MAN con i loro genitori e oggi portano i loro figli al museo, e questo è il segno più forte dell’impatto avuto dal 1999 a oggi».

Laboratori e attività didattica al MAN. Foto Archivio Museo MAN.

Per Luigi Fassi fare arte e cultura in Sardegna, un’area periferica rispetto alle principali città d’arte italiane, significa operare con una maggiore attenzione ai contenuti e alle proposte beneficiando di una libertà più ampia. «La regione offre degli elementi molto forti per costruire un programma pensato in stretta relazione con il territorio. Qui si concentrano tantissime urgenze, che sommano alcune difficoltà dell’isola, come il de-popolamento delle aree interne, con l’interpretazione spesso negativa che oggi l’opinione pubblica europea ha del Mediterraneo».

Il racconto del mondo mediterraneo è una delle direttrici dell’attuale programma del MAN. «Gli artisti attivi nel bacino del Mediterraneo, con il loro patrimonio culturale e le loro ricerche, possono aiutarci a recuperare il senso della relazione tra il Mediterraneo e l’Europa». Il museo travalica, dunque, i confini della cittadina che ha dato i natali a Grazia Deledda, instaurando un dialogo con i principali musei italiani, un pubblico nazionale e internazionale e «con gli artisti, a cui cerchiamo di offrire modalità di lavoro e produzione sempre più aggiornate e attente».

 

Foto di copertina: Mario Gianni

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