Alberto conosce bene il male di cui parla.
Una quindicina di anni fa, la domenica non gli bastava il pacco con le quaranta copie della Gazzetta dello Sport, così come non gli bastava il pacco da trenta del Corriere della Sera. E parlo di una cittadina di provincia medio-piccola. Fa una sosta mentre parla che non capisco, lì per lì, se cerchi di rimandare indietro la rabbia o di non far uscire un dolore.
«Io questo lavoro l’ho scelto perché ci credevo, e anche le persone credevano nella bellezza di leggere un giornale, si fidavano. Chi compra adesso un quotidiano lo fa solo per inerzia, perché lo fa da venti, trenta, quarant’anni, oppure perché ha sentito nominare un articolo su quel giornale dalla radio o dalla televisione; oggi, per esempio, ho venduto più copie del solito del Corriere, e non so perché, ma quando è così dipende da qualche ripetitore esterno. Certo il digitale ha portato via tantissimo alle vendite cartacee, ma io sono convinto che i lettori si sono anche schifati di quello che gli editori e le redazioni mettono in pagina. Non è sempre colpa della tecnologia o dell’intelligenza artificiale: stiamo attenti a non trovare alibi per nascondere responsabilità.»
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Photo credits: larassegna.it