Assegno di ricollocazione: chi tira i dadi?

Sarà capitato a tutti: l’avvocato avrà affrontato le aule di tribunale da imputato o da ricorrente, il medico sarà stato portato in pronto soccorso, l’impiegato del catasto avrà avuto bisogno di una visura e l’insegnante avrà partecipato ansioso alla giornata di ricevimento dei docenti del figlio. Gli altri siamo costantemente anche noi. Talvolta pure con […]

Sarà capitato a tutti: l’avvocato avrà affrontato le aule di tribunale da imputato o da ricorrente, il medico sarà stato portato in pronto soccorso, l’impiegato del catasto avrà avuto bisogno di una visura e l’insegnante avrà partecipato ansioso alla giornata di ricevimento dei docenti del figlio.

Gli altri siamo costantemente anche noi.

Talvolta pure con qualche contraddizione. Così il tassista che protesta contro la concorrenza anomala di Uber probabilmente in vacanza sceglierà la sistemazione privata di un airbnb che è meno costosa, e l’albergatore  che chiede regole più stringenti per l’airbnb suo diretto concorrente troverà vantaggiose le tariffe variabili di Uber quando non vuole usare la sua automobile. E ancora, il consumatore che sceglie il supermercato che vende ai prezzi più stracciati di tutti, poi, come genitore, si lamenterà per la normativa che consente ai datori di lavoro di pagare il personale (in questo caso il figlio) con voucher, in un circolo poco virtuoso che si alimenta esponenzialmente.

Così vanno le cose in una società destrutturata e modulare.

E sulla destrutturazione del mondo del lavoro nel corso degli anni si è sviluppata una singolare vicenda – che in questi giorni sta esplicando i suoi effetti paradossali – culminata il 28 febbraio con l’Unemployed Day, una giornata della disoccupazione proclamata per richiamare l’attenzione sulla propria situazione da parte di coloro che, con contratti precari, da anni sostengono l’attuazione delle politiche attive per conto del Ministero del Lavoro.

Dove nasce l’Unemployed Day

La vicenda in breve. L’Anpal Servizi – precedentemente Italia Lavoro e ora Società partecipata dell’Agenzia Nazionale per le Politiche attive del lavoro istituita dal decreto legislativo 150/2015 – si avvale, nel suo organico, di circa 800 operatori con contratti non standard tra collaborazioni e tempi determinati. Tale organico “flessibile”, nel corso degli anni è stato contrattualizzato – perché in possesso di alte competenze specialistiche in materia di organizzazione del lavoro, formazione e relazioni industriali – non per attività temporanee o marginali della Società bensì per attività strategiche del Ministero del Lavoro: potenziamento dei centri per l’impiego, progetti di inclusione sociale, intervento Garanzia Giovani, Accordo Stato-Regioni per la gestione degli ammortizzatori sociali, supporto per diffusione di apprendistato e alternanza scuola-lavoro. L’approssimarsi della ulteriore scadenza dei contratti ancora una volta senza certezze – prevista per il 31 marzo anche se con l’ipotesi di un ulteriore rinnovo di qualche mese – sta suscitando la protesta di coloro che da anni, per alcuni anche 15 e a seguito di reiterate selezioni pubbliche, hanno investito nel potenziamento della propria professionalità fornendo prestazioni che consentono al Ministero del Lavoro di ottemperare ai propri obblighi verso i cittadini.

Fin qui la quotidianità incerta che gli operatori dell’Anpal Servizi condividono con milioni di persone e che non inciderebbe sulle vicende collettive del Paese più di quanto già non facciano purtroppo le vicende di Almaviva o di altre situazioni di crisi occupazionale su cui proprio l’Anpal – e proprio tramite i propri operatori precari – interviene.

La particolarità di una vicenda che sfiora il paradosso vede però – in coincidenza con la proclamazione della “Giornata della disoccupazione” da parte degli operatori delle politiche del lavoro – il lancio contemporaneo da parte del loro committente (Anpal e Ministero del Lavoro) dell’Assegno di ricollocazione, strumento sperimentale di politica attiva finalizzato alla collocazione quanto più possibile stabile nel mercato del lavoro di circa 30.000 disoccupati scelti con metodo casuale riconosciuto dalla scienza statistica.

Le infinite sperimentazioni

L’Assegno di ricollocazione è una modalità sperimentale (cosi recita il bando) per ricompensare con una somma – variabile a seconda delle caratteristiche del disoccupato e della sua possibilità di essere ricollocato, oltre che della durata temporale dell’eventuale contratto individuato – l’agenzia per il lavoro o il centro per l’impiego che troverà appunto uno sbocco occupazionale all’utente – tra i 30.000 – che si è a loro rivolto.

Sorvolando sulla scelta normativa di utilizzare uno strumento che monetizza con risorse pubbliche aggiuntive un’attività che non si discosta né da quella istituzionale dei centri per l’impiego (che già supportano il disoccupato nella ricerca di occupazione) né da quella di business delle agenzie per il lavoro (che vengono normalmente pagate dalle aziende loro clienti proprio per l’individuazione di personale), suscita qualche riflessione il carattere, per l’ennesima volta “sperimentale”, attribuito all’intervento.

Se poche certezze ci sono nel paese, una di queste è che, quando si hanno poche risorse oppure non si è sicuri degli esiti, può essere sufficiente attribuire l’appellativo di “sperimentale” per avere la possibilità di reiterare attività e avere una via d’uscita qualora si dovesse essere chiamati a rispondere di risultati.

Nel caso di specie, Italia Lavoro – che ora con il nuovo nome di Anpal Servizi è chiamata a gestire la sperimentazione dell’Assegno di ricollocazione – negli ultimi 15 anni e soprattutto con il contributo professionale degli esperti che si sono visti costretti a proclamare un Unemployed day – ha gestito molteplici sperimentazioni sulle modalità per rendere più efficaci le politiche del lavoro. Tali sperimentazioni hanno già fornito degli esiti, poi diffusi ai decisori istituzionali, che richiamano innanzitutto alla necessità di potenziare l’organico dei servizi pubblici per l’impiego sia in termini numerici che di competenze tecniche e manageriali in linea con le indicazioni europee dei PES (Public Employment Services).

Anziché dar seguito agli esiti delle sperimentazioni già fatte ed eventualmente potenziare stabilmente l’organico dei servizi pubblici magari proprio con quegli esperti delle cui professionalità sperimentate la Società del Ministero del Lavoro si è avvalsa nel corso degli anni, oggi si sceglie invece di ripartire con nuove sperimentazioni su tematiche già affrontate in passato: l’attivazione del disoccupato, l’emersione dal lavoro nero, la condizionalità dell’ammortizzatore sociale. Va sottolineato che, anche qualora la decisione di ripartire con le sperimentazioni fosse stata determinata dalla considerazione che quanto fatto dalla Società del Ministero del Lavoro in questi anni non fosse stato utile, anche questo porrebbe comunque questioni sulle quali riflettere sia per la durata almeno decennale degli interventi che per l’utilizzo di risorse pubbliche nazionali ed europee impiegate.

Il controllo, manca il controllo

Le sperimentazioni, tra l’altro, per essere scientificamente tali, dovrebbero avere dei gruppi di controllo. A grandi linee, dovrebbero essere messi sotto osservazione non uno bensì due gruppi omogenei: uno sottoposto alla variabile della quale si vuole testare l’efficacia (in questo caso l’intervento dell’assegno di ricollocazione) e l’altro tenuto in condizioni “costanti” e abituali, quindi senza l’intervento dell’assegno. L’uso del gruppo di controllo dovrebbe assicurare che i dati derivanti dal gruppo sperimentale siano effettivamente dovuti alla variabile considerata e non ad influenze esterne sconosciute. Nel caso di specie, ad esempio, l’eventuale ricollocazione del gruppo sperimentale di 30.000 disoccupati potrebbe essere sì attribuibile in rapporto di causa–effetto all’efficacia dell’assegno di ricollocazione ma magari anche ad una nuova dinamicità di un settore del mercato del lavoro oppure a evoluzioni normative che abbiano favorito la ricollocazione non solo degli appartenenti al gruppo sperimentale bensì anche di altri aventi le stesse caratteristiche.

La questione non è solo teorica perché impatta sulle scelte dei futuri strumenti di politica attiva del lavoro gestiti con risorse pubbliche.

Agli operatori esperti che hanno proclamato l’Unemployed Day c’è solo da augurare che la “sperimentazione” ultradecennale alla quale la loro professionalità viene sottoposta non sia infinita come quella che caratterizza le politiche del lavoro di questo nostro Paese.

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