Dai banchi del mercato alla marketing automation

Il sistema moda italiano è fatto anche di tante aziende nate non da chissà quale accurato business plan o alta tradizione sartoriale, ma sui banchi del mercato. Sì, proprio fra le bancarelle dei mercati di paese: col tempo le migliori sono diventate Zara anche se (molto) in miniatura, con stilisti pratici nel rivisitare le tendenze del […]

Il sistema moda italiano è fatto anche di tante aziende nate non da chissà quale accurato business plan o alta tradizione sartoriale, ma sui banchi del mercato. Sì, proprio fra le bancarelle dei mercati di paese: col tempo le migliori sono diventate Zara anche se (molto) in miniatura, con stilisti pratici nel rivisitare le tendenze del momento e titolari abili a fare conti e ricarichi a mente con la precisione di una calcolatrice. Altro che brand awareness: al centro di tutto c’è sempre stato il prodotto e il cliente, quest’ultimo visto come parte attiva dell’intera filiera. “Ti è piaciuto l’abito a fiori della scorsa settimana?” “Che ne pensi di questa fantasia?” “Li hai venduti bene quei pantaloni in fresco lana?”. Se va bene, l’azienda ci mette niente a contattare i propri fornitori e confezionare un altro centinaio di capi in pochi giorni. In caso contrario, tanti saluti ai pantaloni in fresco lana.

Allearsi con l’informatica

Il mercato del fast fashion italiano, o pronto moda che dir si voglia, è quello su cui mi sono fatto le ossa sul campo, fra il Centergross di Bologna e la mia Prato. Lo scenario sopra descritto sembrerà a molti un retaggio degli anni ‘70, eppure per molte aziende ancora oggi è così. Si ragiona anche sulla base di una risposta immediata di una clientela ormai ubicata su scala mondiale e non necessariamente significa navigare a vista. Il punto cardine non è il marchio ma il prodotto, caratterizzato da una sua identità che ha ragione di esistere se finalizzata ad un target di riferimento. Da qui l’idea quasi ossessiva degli imprenditori più lungimiranti, fin dalla fine degli anni ‘90, di avere nell’informatica un prezioso alleato non solo per eliminare la carta e mostrare i prodotti online, ma iniziare a tracciare i comportamenti d’acquisto. Oserei dire che i data scientist faranno presto la fortuna delle migliori aziende di fast fashion, viste le basi.

Nel frattempo, da inizio 2000 ad ora si sono costruite fior di piattaforme B2B per fidelizzare sempre di più i retailer, dapprima attraverso un catalogo prodotti completo, poi con qualcosa di più mirato, magari con aree dedicate a prodotti dello stesso tipo con un prezzo più alto. Up selling e cross selling in salsa tosco-emiliana: l’idea di diversificare e personalizzare la vendita esisteva già.

Il salto verso la vendita B2C al privato è stato quasi epocale per molte di queste aziende. In generale però il B2B è visto ancora come una comfort zone, il luogo in cui si gioca nel campetto sotto casa secondo le regole stabilite da chi porta il pallone: il cliente si conosce meglio dunque è più sotto controllo.

In realtà anche nell’e-commerce tradizionale è possibile aggiustare il tiro, pur non avendo lo storico del cliente nell’anagrafica dell’ERP. Il profilo base del cliente si può tracciare attraverso attività di web marketing costantemente supportate dalla marketing automation.

Non molto tempo fa la newsletter di MailUp (piattaforma utilizzata da molti miei clienti) mi ha suggerito di scaricare un whitepaper sull’argomento, realizzato in collaborazione con Studio Cappello. Le prime righe sono già uno spunto: “La customer journey, ovvero il percorso decisionale che porta un potenziale cliente a finalizzare l’acquisto è definitivamente cambiata […] In brevissimo tempo siamo passati da un comportamento di acquisto lineare ad uno estremamente complesso: è indispensabile quindi analizzare il comportamento dei clienti per offrire la miglior esperienza di acquisto possibile”. Guarda un po’, ho pensato: va a finire che quello che i miei clienti hanno sperimentato sui banchi del mercato e poi mi hanno chiesto come supporto informatico sarà sempre di più la base del web marketing per l’e-commerce.

L’e-commerce e gli show room reali

Se vogliamo tradurre questi concetti in numeri per le aziende è fondamentale avere chiaro che i canali per portare ad una conversione sono molti: l’ e-commerce inteso come semplice catalogo prodotti può essere adatto solo a chi ha tempo e voglia di scrollare lunghe liste di immagini e codici. Già, ma chi ne avrebbe il tempo? In realtà mi chiederei se si tratta di un pubblico realmente interessato. Per restare all’ambito della moda, sarebbe un po’ come quelli che entrano negli showroom, non vogliono farsi aiutare dai commessi, mettono diversi capi nel carrello ma poi escono senza comprare nulla. Molto meglio chi arriva già informato o viene indirizzato su una tipologia di prodotti: più facile che il carrello non venga abbandonato.

La marketing automation

Le pagine di un e-commerce sono landing page e vanno considerate proprio come i diversi scaffali in cui è esposta la merce in un magazzino, ovvero gruppi di articoli o singoli prodotti verso cui indirizzare un certo tipo di pubblico. La vetrina, ovvero la home page, non basta più. Io ad esempio sono uno da jeans e magliette basic, ma ho amici divisi fra amanti dello stile classico o casual. Tutti noi siamo un “archetipo” di cliente, o per dirla con MailUp, una “buyer-persona”.

Sul web avviene la stessa cosa: attraverso la marketing automation siamo in grado di dare a chi si occupa di digital marketing gli strumenti per stimolare un pubblico definito o generare nuovi segmenti. Con gli eventi di Analytics ed il pixel di Facebook ogni azione viene attivata sulla base di un obiettivo misurabile. Non solo si può ottenere al centesimo il tasso di conversione di una campagna Facebook, ma anche sui carrelli abbandonati e sulle lead generate dai vari touchpoint del sito come l’iscrizione newsletter o il form di registrazione.

Il lavoro dei developer e dei digital marketer oggi va a braccetto come mai si sarebbe pensato fino a qualche anno fa. Noi sviluppatori dobbiamo smettere di etichettare le agenzie di adv solo come “fuffaroli”  (e ce ne sono) e loro gli informatici come gente fuori dal mondo (e ce ne sono). Serve trovare partner che abbiano le giuste competenze di marketing da mettere a disposizione per i nostri clienti: storytelling aziendale, video e gif, editorial che raccontino un’esperienza di vita in cui il prodotto è sì importante ma resta sempre una parte della storia; dal lato informativo, servono partner che diano tutto il supporto in termini di piattaforma e-commerce, marketing automation e business intelligence.

Tra i casi più interessanti c’è Koralline, azienda fashion pratese giovane e rampante. L’adv racconta la storia di due ragazze che vivono un giorno di libertà nel sole della campagna toscana: una vera e propria sceneggiatura pensata fra citazioni di Amici Miei e Thelma&Louise. Abbiamo utilizzato tutti gli strumenti adv di Facebook per promuovere la campagna: i canvas sono stati utilissimi per alternare testi, immagini e spezzoni di video. La naturale landing page sull’e-commerce è stata l’insieme degli outfit indossati dalle ragazze nel video. Attraverso le metriche di Google Analytics e le azioni del pixel di Facebook è stato possibile per il cliente valutare l’investimento in termini di vendite di prodotti e di lead acquisite. Alla fine Koralline ha ottenuto un report dove queste informazioni sono state riportate per filo e per segno e si è potuta fare un’idea concreta del tipo di risposta del suo pubblico a fronte di un modo di comunicare tutto sommato nuovo, oltre a capire se quei prodotti potevano avere un mercato. Un bel supporto ai processi decisionali e produttivi, se ci pensiamo bene, soprattutto per aziende che non hanno un’area digital interna.

Il 63% delle aziende che cresce più dei propri competitor dichiara di avere adottato la marketing automation (dati Lenskold Group). Di qualsiasi settore si tratti, occorre parlare la lingua di queste benedette PMI e dire loro che il web marketing non è poi tanto diverso da quello che hanno sempre fatto per vendere: cercare risposte attraverso la propria clientela per impostare le attività produttive a medio e lungo termine.

 

(Photo credits: unsplash.com/David Cohen)

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