La rete RE.A.DY presenta una sua articolazione, a seconda dei territori e della tipologia di enti, che ci offre un quadro interessante: a essa aderiscono 91 partner al Nord, 138 al Centro e 47 al Sud, che registra ad oggi il numero minore di adesioni. Riguardo alle tipologie di enti pubblici coinvolti troviamo: 233 Comuni, 8 Regioni, 17 Province e città metropolitane, 18 organismi di parità, municipi, associazioni di Comuni e comunità comprensoriali.
RE.A.DY non ha attivo un osservatorio nel senso letterale del termine, ma si confronta con diverse istanze comunque intercettate. Cogliamo l’occasione per approfondire la questione dell’omolesbobitransfobia. Il fenomeno risulta più diffuso in alcuni territori italiani o in determinate tipologie di contesti, come ad esempio piccole o grandi città, piccoli Comuni?
“Confermo che la nostra segreteria nazionale non svolge un ruolo di raccolta dati”, spiega Cinzia Melis. “Abbiamo comunque rilevato in questi anni che l’interesse per queste tematiche è molto diffuso, oltre che nelle città più grandi, anche nei piccoli Comuni, che sono la maggioranza in Italia. Il fatto che le amministrazioni locali dichiarino vicinanza e svolgano attività su questi temi ha sicuramente una ricaduta importante sulla cittadinanza ed evita il fenomeno dei trasferimenti nei grandi centri che spesso ha caratterizzato le vite delle persone LGBTQI”.
A questo proposito ci agganciamo all’indagine ISTAT-UNAR 2020-2021, che rileva un dato emblematico: “Il 16,8% degli individui si è trasferito in un altro quartiere, altro Comune o all’estero per poter vivere più tranquillamente la propria omosessualità o bisessualità (il 12% in un altro Comune, il 3,4% all’estero). Il 16,7% è stato trattato male dai vicini di casa; il 13,1% dichiara di essere stato trattato/a meno bene degli altri in uffici pubblici, mezzi di trasporto, negozi; il 10,4% ha avuto problemi in ambiente sanitario da medici, infermieri o altro personale dei servizi sociosanitari”.
Fatta questa premessa, chiediamo: avete mai ricevuto segnalazioni, relativamente a questo tipo di dinamica, all’interno della vostra rete? E in ogni caso, che cosa proporreste per contrastare questo fenomeno di abbandono del territorio per sfuggire da contesti discriminanti? “Gli enti che aderiscono alla rete si connotano come luoghi accoglienti per le persone LGBTQI, attivando buone pratiche di inclusione e cercando di rendere sempre più ‘sicuri’ per esse i loro territori”, evidenzia Cinzia Melis. “In alcuni casi l’adesione alla rete è nata proprio come risposta istituzionale a episodi di omolesbobitransfobia avvenuti nei territori di appartenenza. L’adesione alla rete e la sottoscrizione della Carta di Intenti conferma chiaramente l’intenzione di prevenire e ostacolare con forza le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere sul proprio territorio, anche in un’ottica intersezionale”.
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