Oscar alla migliore scenografia

L’Oscar alla scenografia è stato assegnato poche ore fa ad Adam Stockhausen per il film Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Il film si è guadagnato alcune altre statuette tra cui quella per la miglior colonna sonora, miglior trucco e parrucco e i migliori costumi: Milena Canonero, costumista italiana al suo quarto Oscar, ricevendo il […]

L’Oscar alla scenografia è stato assegnato poche ore fa ad Adam Stockhausen per il film Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Il film si è guadagnato alcune altre statuette tra cui quella per la miglior colonna sonora, miglior trucco e parrucco e i migliori costumi: Milena Canonero, costumista italiana al suo quarto Oscar, ricevendo il premio ha ringraziato Wes Anderson con le seguenti parole: “Sei stato di grande ispirazione, sei come un direttore d’orchestra, un grande compositore, il nostro regista e il nostro ispiratore.”

La scenografia rientra in questo grande lavoro orchestrale, sistema i musicisti nello spazio e adagia i loro corpi su sgabelli e sedie dalla cui comodità dipende un po’ della qualità dell’esecuzione. Traslato nel mondo del lavoro, la scenografia comprende gli spazi fisici e relazionali in cui i lavoratori quotidianamente operano. Il disegno dei contesti lavorativi racchiude un’ipotesi di gerarchie e modalità comunicative: non si tratta tanto solo di spazio ma di relazioni che vengono favorite o impedite da certe scelte scenografiche: corridoi, stanze, tavoli, possibilità concesse o negate di modulare ambienti collettivi e individuali, grado di libertà di gestione del tempo di entrata o uscita, appartenenza territoriale ad una sede fisica, ad un tavolo oppure maggiore flessibilità. La scenografia quindi è spazio ma anche tempo e tecnologia comunicativa: quanto comunico con i pari, con i superiori, con che mezzo, in quale setting. Cosa fa di una scenografia di lavoro una scenografia da Oscar?

Qualche giorno fa il Great Place To Work ha redatto la sua annuale classifica relativa agli Oscar dei migliori luoghi di lavoro in Italia a partire da una ricerca svolta su 98 aziende che di fatto pagano un istituto indipendente per essere valutate.
Il punteggio finale viene assegnato per due terzi a partire da questionari anonimi sottoposti ai lavoratori (circa 35.000) e per un terzo dalla valutazione delle politiche di management e di gestione delle risorse umane raccontate dai quadri in un ulteriore questionario. Il riconoscimento è diviso in due categorie: grandi imprese (sopra i 500 dipendenti) e piccole imprese (dai 499 ai 50 dipendenti). Le domande sono costruite in modo da mettere in rilievo alcuni elementi privilegiati: “la relazione di fiducia reciproca con il management aziendale, il rapporto di orgoglio per il proprio lavoro e per l’organizzazione di cui si fa parte e la qualità dei rapporti con i colleghi.”

Sul podio delle grandi aziende si conferma anche quest’anno Microsoft, mentre nella categoria più “leggera” ha vinto una joint venture che opera nel settore dei vaccini: la Sanofi Pasteur. A leggere le caratteristiche principali delle due imprese colpiscono alcune somiglianze: la presenza di donne (42% in Microsoft e 60% in Sanofi), l’investimento in una “sensata” formazione interna e la ricerca di un buon equilibrio tra tempi di lavoro e tempi di vita.

In Microsoft, inoltre, vengono offerti asilo nido e scuola materna aziendali, assicurazione sanitaria integrativa, palestra interna, stanza per il pisolino, luoghi di lavoro silenziosi e la possibilità di prendere cibo in mensa e mangiarlo comodamente altrove. Come interpretare questi dati?
Lo storico francese Michel de Certeau si è molto interessato allo studio della vita quotidiana, di quella che altri chiamano la microstoria o che l’antropologia definisce “pratiche”: ovvero tutto ciò che le persone fanno vivendo: come si muovono, lavorano, comunicano, abitanto, consumano, mangiano, educano, etc. da una prospettiva radicalmente descrittiva, minimale e quotidiana. In questa fitta trama De Certeau divide tra strategie e tattiche . Le strategie sono le partiture, le mappe, i percorsi decisi dalle istituzioni intorno a cui si sviluppano le tattiche, che sono i fuori pista, le scorciatoie, le modalità che gli essere umani sviluppano nell’adattarsi ai percorsi istituzionali. Fortunatamente quindi non tutto è strategico: se in un luogo di lavoro non esistono spazi per la socialità informare probabilmente le persone troveranno modo di chiaccherare davanti alla macchinetta del caffè recuperando qualche sedia abbandonata.

Alla luce di quello che leggiamo su Microsoft (scelte vincenti adottate anche da altre aziende) il modello di una buona scenografia è quello di un management che sappia rendere strategiche le tattiche senza prevaricare ma valorizzando i bisogni espressi e mettendoli a sistema.
Nel concreto (un piccolo esempio tra tanti, non certo il più importante) la mensa aziendale corrisponde a una strategia: conviene all’azienda che tutti mangino nello stesso luogo e alla stessa ora in modo da pulire una volta sola e non sporcare in giro, ma è bisogno del singolo, a volte, mangiare da solo o velocemente nel proprio ufficio, questa è la tattica. Se la strategia è orientata all’uniformità (tutte le pareti degli uffici di un unico colore, arredamento uguale per tutti, etc), la tattica è espressione del soggettivo: sono le foto che ognuno di noi si porta in ufficio per “personalizzare il proprio ambiente”, è l’anfratto che i pochi fumatori ancora in circolo si trovano per nascondersi e fumare, a volte è la birra bevuta con i colleghi dopo una giornata intensa.

Il rischio di istituzionalizzare la tattica è rappresentato dalla triste festicciuola imposta dall’alto o l’attività di team building mortificante in cui si perde di ogni spontaneità. Di conseguenza mi sembra che il modello scenografico da Oscar, può essere quello che lascia spazio per lo sviluppo di tattiche senza reprimerle, che in esse sappia riconoscere bisogni espressi (che spesso hanno a che fare con la libertà) e che provi a rispondere strategicamente ad essi senza istituzionalizzare qualunque cosa. In un’interivsta il premio Oscar Adam Stockhausen “there is no formula” per una buona scenografia, tuttavia sono sicura che non gli piacerebbero certi muri solo giallini dei nostri uffici.

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