Una borsa: potremmo permettercela se conoscessimo il vero costo?

Che cosa si nasconde dietro la produzione di uno degli oggetti simbolo del Made in Italy? Le borse artigianali, comprese quelle vendute a cifre esorbitanti, nascono dalle mani di terzisti sfruttati fino al midollo. La testimonianza di Ornella Auzino

Una borsa in pelle, in corso di realizzazione

Raggiungo Ornella Auzino subito dopo che Carlo Capasa, il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, ha dichiarato che “i fornitori che non rispettano le regole rappresentano meno del 2% della produzione totale di un brand”. Lo ha affermato in occasione della presentazione dei Sustainable Fashion Awards 2025 di Camera Moda, che andranno in scena il prossimo 27 settembre al Teatro alla Scala di Milano.

Ornella è un’imprenditrice nel settore moda. In particolare produce borse per grandi brand a Napoli, e soprattutto racconta che cosa c’è dietro quel mondo, che cosa significa fare il vero Made in Italy, e si oppone alla contraffazione. Con lei voglio capire quali sono i veri costi della filiera rispetto a quello che il consumatore paga una volta che il prodotto è arrivato sullo scaffale, perché spesso non abbiamo idea di quanto costi davvero in termini economici, sociali e umani quello che arriva sulle nostre tavole, nelle nostre mani, nei nostri armadi.

Produrre una borsa di lusso dal costo medio alla vendita di 5.000 euro costa circa 167 € all’ora, considerata tutta la filiera.

Lei è la persona giusta, perché sono anni che ci mette la faccia, sui social, ai festival, sui giornali, per denunciare una situazione ormai insostenibile (a dispetto di quello che dichiara Capasa). In tanti le stanno dicendo che non lavorerà più con nessuno: “Soprattutto a Napoli nessuno vuole avere a che fare con me” mi ha detto in chiusura dell’intervista.

Ornella Auzino nel suo laboratorio
Ornella Auzino nel suo laboratorio.

 

Spesso i prodotti che costano poche decine di euro ai titolari dei grandi marchi vengono venduti a cifre esorbitanti. Lei che posizione ha rispetto a questa accusa?

Partiamo dal presupposto che, se sei bravo nel marketing, per me la borsa la puoi vendere anche a 10.000 euro, ma nel momento in cui sei così capace di vendere ti devi anche assumere la responsabilità di monitorare tutto quello che succede nelle tue filiere. Nel 2025 non è possibile non sapere se chi lavora per te ha persone in nero, sottopagate e sfruttate. Nella moda, come nella GDO e nell’edilizia, se affidi un lavoro a una grande impresa e poi questa subappalta in maniera più o meno controllata, sai già che si genera la possibilità che la produzione attraversi zone grigie.

Il problema dei subappalti come viene gestito dai grandi brand?

I brand spendono milioni in marketing, ma se guardiamo le fabbriche di proprietà sono tutte in perdita. Lì c’è un mondo che fa capo alle holding, che pagano meno tasse e usano gli ammortizzatori sociali come gli conviene. Però a nessuno è mai venuto in mente di gestire tutti primi livelli, senza subappaltare; basterebbe dotarsi di un ufficio che gestisce il lavoro solo da fornitori diretti. Allora la prima domanda da fare ai brand dovrebbe essere questa: come mai nessuno ha pensato di farlo?

Per lei sarebbe la soluzione al problema?

Pagare in maniera adeguata un primo livello permette al terzista di non subappaltare e pagare in maniera più sostenibile. Il brand a quel punto potrebbe controllarlo in maniera diretta. Ci sono dei brand che danno il tagliato ed esternalizzano solo le altre fasi, compreso il confezionamento e il controllo qualità. Altri brand, invece, commissionano anche il taglio e parcellizzano le fasi.

E in quel caso che succede?

I primi livelli che fanno tre fasi importanti guadagnano di più dei secondi livelli che fanno assemblaggio e rifinitura. Più vai giù e più i margini si riducono, perché il subappaltatore tiene per sé una parte del guadagno, finchè si arriva in situazioni dove c’è personale non pagato, fornitori non pagati, aziende che saltano al primo imprevisto perché lavorano con dei margini così risicati che non hanno possibilità di sopravvivere. Le strade sono due: o ti strutturi per avere solo primi livelli, oppure i brand devono cominciare a pagare una borsa 100 euro invece di 50. I numeri sono indicativi, ma in generale bisogna raddoppiare i compensi attuali in modo da rendere sostenibili anche i subappalti. Non solo non vengono applicate queste soluzioni, ma qualcuno sta rivedendo il costo al minuto, e rivedere il costo al minuto è uno spot per i giornali, perché da solo non serve a nulla.

Il costo al minuto è un parametro inquietante, mette ansia solo a pensarci.

È un parametro che si sono inventati i brand, un’unità di misura. In pratica sono gli unici clienti che decidono quanto pagare i terzisti. Non sei tu imprenditore che fai il prezzo a seconda dei tuoi costi: sono loro che decidono quanto pagarti. Ti possono pagare 0,30, a volte anche 0,50 al minuto, però decidono anche quanti minuti ci devi mettere per realizzare la borsa. Magari decidono che ci devi mettere 120 minuti, poi tu vai a mettere la borsa in produzione e di minuti ce ne vogliono 240, ma a loro non interessa. Anche se ti metti col cronometro in mano fase per fase. Solo se l’articolo è continuativo, cioè se posso produrre la stessa borsa per almeno due anni, posso avere un po’ di ossigeno, perché magari a quel punto ho industrializzato bene il prodotto. Ma ci sono brand che cambiano di continuo gli articoli, e in quel caso il costo al minuto diventa davvero insostenibile.

Quindi non c’è la minima considerazione delle problematiche e degli imprevisti che si possono avere in produzione.

Faccio un esempio banale: se viene messo in capo al terzista l’onere di controllare i materiali e la pelle arriva difettosa (anche i grandi brand hanno dei materiali di risulta negli scaffali) loro te li fanno conciare, però quando li si sottopone a lavorazioni complicate risultano difettosi. Tu prepari, lavori, finisci il prodotto e poi loro lo scartano. Inoltre, gli accessori come fibbie e moschettoni li fanno fare in Romania, e altri pezzi in Cina, e arrivano graffiati; per chi deve fare il controllo qualità è un delirio. Capita che per fare una borsa buona ne devi produrre quattro, e le altre tre non te le paga nessuno.

Per cui il costo minuto è solo la punta dell’iceberg.

Sotto c’è un mondo che non esplora nessuno. I terzisti sono del tutto dipendenti dai brand, che decidono tutto, e devono sapere se c’è qualcuno in malattia, se non puoi consegnare. Qualsiasi imprevisto va comunicato, però alla fine se c’è sfruttamento dicono di non saperlo.

E poi c’è anche il tema del contratto nazionale pelli e cuoio, che non è proprio da incorniciare.

Fino a due anni fa, nel contratto collettivo nazionale pelle e cuoio, la paga base di un operaio di primo livello era di 7,30 euro all’ora. Adesso è salita circa 9 euro, ma il contratto non è ancora equiparabile a quello dei metalmeccanici, anche se le mansioni sono simili. Noi siamo la Cina dell’Europa: questo è il motivo per cui i francesi vengono in Italia, perché in Francia uno stage costerebbe 2.000 euro, in Italia 600. Per questo noi siamo la colonia francese dei gruppi LVMH e Kering, perché il Made in Italy è importante all’estero, ma noi siamo molto più economici dei francesi. Ci hanno colonizzato, si sono presi i soldi per costruire le fabbriche con tutti i benefit possibili e immaginabili sui dipendenti, e ora stanno smaltendo le fila con i licenziamenti bianchi.

Ma i sindacati non hanno nessuna leva da smuovere?

Nel mondo della moda i sindacati sono inesperti. I sindacalisti si sono trovati dall’avere a che fare con l’imprenditore ad avere a che fare con il CEO, con il manager francese o italiano, e spesso si sono piegati alle loro esigenze, firmando senza mai protestare o scendere in piazza, per alzare l’attenzione sul settore.

Prima diceva che siamo la Cina dell’Europa, e visti tutti i subappalti nella filiera sembra davvero difficile ricostruire quanto costa davvero la produzione di una borsa di lusso.

È quasi impossibile, ma possiamo ragionare per parametri. Oggi i brand applicano dei moltiplicatori per valutare il prezzo di vendita rispetto al costo di produzione, e in media è un x10. Quindi, se una borsa viene venduta a 5.000 euro, il suo prezzo di costo di solito è 500; poi dipende da borsa a borsa. Un operaio in media prende 1.400 euro al mese, e ad assemblare una borsa può metterci al massimo tre ore.

In un mese potrebbe realizzare, stando bassi, 50 borse.

All’operaio di quei 500 andranno più o meno 30 euro lordi. In realtà, se ragionassimo solo su primi livelli, su 500 euro il margine per pagare meglio l’operaio ci potrebbe essere; ma se tra appalti e subappalti i livelli aumentano e i margini si riducono – come succede sempre – il lavoratore ne paga le conseguenze. Del resto il contratto di subappalto è unilaterale, il brand decide e tu non puoi spostare una virgola. Non hanno neanche obblighi di quantità, l’unico obbligo è che devono dare 11 mesi di preavviso se ti abbandonano. Inoltre è complicato differenziare e ottenere commesse da diversi marchi, perché i brand del lusso non vogliono che i loro processi vengano visti da altri. Ogni brand dovrebbe avere un suo locale dedicato. Poi investono in marketing e pubblicità, e spesso preferiscono pagare oro l’influencer o la cantante invece di redistribuire.

 

 

Ornella Auzino, come dicevo all’inizio, sa già che in tanti non vogliono più lavorare con lei, perché “parla troppo”. Io e lei in effetti abbiamo parlato tanto, ma quando mi ha raccontato dei messaggi che le stanno arrivando negli ultimi giorni, le parole mi sono mancate. Solo un pensiero banale: un’imprenditrice appassionata, non disposta a piegarsi a certe logiche andrebbe sostenuta; invece in un Paese come il nostro c’è chi la minaccia. Ma lei non molla: anzi, da poco ha cominciato a produrre con il suo nome, il suo marchio e la sua visione.

Alla fine del nostro discorso, abbiamo capito che produrre una borsa di lusso dal costo medio alla vendita di 5.000 euro costa circa 167 € all’ora, considerata tutta la filiera, e che quell’ora è divisa in minuti retribuiti al centesimo, secondo un’equazione che non funziona quasi mai, se non a vantaggio dei grandi marchi committenti. Se è tanto o è poco, sta a noi deciderlo.

 

 

 

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Photo credits: appuntidiselleria.com

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