Il sostegno scolastico non regge: troppi improvvisati e poco supporto

Il 32% degli insegnanti di sostegno non ha una formazione specifica; diversi lo fanno per entrare di ruolo: chi ci perde sono gli allievi. I numeri e le esperienze dei genitori con l’intervento di Barbara Llamos, ideatrice del blog Autismocomehofatto

Sostegno scolastico: un'insegnante con il suo assistito

“Faccio il sostegno così resto in questa scuola dove mi trovo bene con le colleghe.”

“Mia nuora anni fa ha fatto un po’ di ore di volontariato, penso basti per fare l’insegnante di sostegno, le serve per diventare di ruolo.”

“La nuova collega si veste bene, e poi aveva bisogno di un lavoro; l’agenzia di viaggi in cui lavorava ha chiuso e così ha pensato di provare con una messa a disposizione.”

Queste sono alcune delle miriadi di frasi ascoltate da persone che parlavano di insegnanti di sostegno in carica, tutti privi di formazione adeguata e consapevolezza, dimostrando quanto sia diffuso lo squallido pensiero che non solo sulla disabilità ci si possa improvvisare, ma persino che bambini, bambine, adolescenti con disabilità possano essere usati per ottenere il traguardo del ruolo, uno stipendio mensile assicurato, una scorciatoia inattaccabile.

Con SenzaFiltro ci siamo già occupati del tema sostegno scolastico, e torniamo a farlo senza reticenze o edulcorazioni. Inutile negarlo: se da un lato esistono diversi casi virtuosi di insegnanti preparati e motivati, ce ne sono tanti altri che si gettano sul sostegno come piano B di alternative lavorative che non sono andate a buon fine. E così il sostegno diventa un ripiego utile a mantenersi o a correre verso il podio dell’assunzione. A dispetto di un mondo lavorativo che richiede sempre più preparazione, nella scuola si lascia passare questo connubio di improvvisazione e strumentalizzazione scatenando un triplo danno: ai bambini con disabilità e alle loro famiglie, a tutti gli altri alunni della classe, educati a una finta inclusione, e a tutti quegli insegnanti di sostegno che il lavoro lo svolgono con preparazione e serietà.

La situazione del sostegno scolastico: in molti non sono formati, il 14% non è ancora assegnato

La situazione sulle lacune in tema di sostegno scolastico parla chiaro anche attraverso i numeri forniti dall’indagine ISTAT 2021-2022.

Sono oltre 207.000 gli insegnanti per il sostegno impiegati nelle scuole italiane. Di questi, più di 70.000 (il 32%) sono stati selezionati dalle liste curricolari, ossia non hanno una formazione specifica, ma vengono impegnati lo stesso per far fronte alla carenza di figure specializzate. Tradotto: se manca una persona preparata questa è sostituibile – e con pari stipendio, ricordiamolo – da un’altra impreparata, e magari persino senza motivazione.

Alla carenza di insegnanti con formazione specifica si affianca spesso un ritardo nell’assegnazione: a un mese dall’inizio della scuola circa il 14% degli insegnanti per il sostegno non risulta ancora assegnato. “Tale quota sale al 17% nelle Regioni del Nord e tocca le punte massime in Lombardia (20%) Friuli-Venezia Giulia e Liguria (19 e 20%)”, come esplicita l’indagine. Un timido segnale positivo è dato dal fatto che la quota di insegnanti specializzati per il sostegno sia passata dal 63% dell’anno scolastico 2019-2020 al 68% dell’anno scolastico 2021-2022. L’indagine segnala anche l’introduzione di un sistema formativo rivolto ai docenti non specializzati, ma secondo numerose testimonianze non è un corso a supplire alla mancanza di motivazione, attitudine e preparazione autentica.

Sul fronte accessibilità e inclusione ci sono altri dati emblematici. Scarseggiano gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione, soprattutto nel Mezzogiorno, dove la tecnologia a favore dell’inclusione risulta più carente. Riguardo alle barriere architettoniche, solo una scuola su tre risulta accessibile; la Regione più virtuosa è la Valle d’Aosta, la situazione peggiore è al Sud.

La blogger Barbara Llamos: “Altro che integrazione. A questo punto sarebbe meglio avere le scuole speciali”

A testimoniare con sincerità la sua esperienza è Barbara Llamos, ideatrice e autrice del seguitissimo blog Autismocomehofatto, diventato un punto di riferimento a livello internazionale su vari temi correlati, tra cui il sostegno scolastico. Lei stessa, che vive nel Lazio, si è scontrata con aspre contraddizioni al riguardo.

“Nel lungo percorso didattico di mio figlio Ares, che ha un disturbo dello spettro autistico, ho avuto docenti che avevano paura di lui, altri che lo segregavano in un’aula piccola e non si presentavano in classe, manco per un saluto. Per fortuna ho anche avuto insegnanti meravigliosi che si sono distinti per professionalità e dedizione”. E aggiunge: “A distanza di anni posso dire che non esiste danno peggiore, per un allievo, di un cattivo insegnante. Nel caso di uno studente autistico i danni di una scarsa o assente preparazione del docente sono terribili: regressioni, aumento dell’aggressività e delle manie, oltre che stereotipie, nervosismo, ansia, nullo o scarso rendimento in ambito didattico, e potrei continuare. Credo vada rivista la formazione dei docenti di sostegno: una preparazione adatta, infatti, permetterebbe una vera inclusione e sancirebbe il ruolo del docente di sostegno, che è quello di appoggiare l’intera classe”.

Barbara Llamos mette in evidenza una delle contraddizioni più forti del sistema. “Si chiama docente di sostegno alla classe; in realtà è raro che il sostegno lavori davvero con l’intera classe. È più facile trovarlo in un’aula di sostegno oppure in biblioteca, isolato con il ‘proprio’ studente”.

Le problematiche sono spesso ammesse anche dagli stessi insegnanti di sostegno. “Sono tante le difficoltà che intercetto tramite la mia pagina Facebook e il mio blog: si evince scarsissima preparazione, tant’è vero che la maggior parte dei messaggi che ricevo sono di docenti alla ricerca di strumenti per affrontare crisi, per introdurre argomenti con bambini che non stanno mai seduti oppure che sono aggressivi, autolesionisti. Noto spesso un serio problema di comunicazione fra docenti e famiglia, non sempre per colpa dei docenti, va detto. Si crea un cortocircuito dove il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo, N.d.R.) non basta per appianare le problematiche, e tutto ciò influenza negativamente lo sviluppo didattico e comportamentale del bambino con disabilità”.

Una facciata di finta inclusione fa perdere credibilità allo stesso sistema scolastico attuale: “Sul mio blog lancio spesso una provocazione scrivendo che a questo punto sarebbe meglio tornare alle scuole speciali, dedicate soltanto ai bambini autistici e dove esiste del personale altamente formato in grado di fronteggiare qualunque situazione. Faccio un confronto con Cuba, dove ci sono questo tipo di scuole che hanno laboratori dedicati alle autonomie, e gli alunni che ne escono hanno imparato un mestiere e tante cose utili. Vantarci di avere un sistema scolastico che integra gli allievi con disabilità, ma che poi manca di preparazione dei docenti di sostegno, di ore di sostegno, di continuità didattica e di materiale adatto non ha alcun senso”.

Infine Barbara evidenzia: “Si pensa sempre che basti avere un bambino con disabilità seduto in classe perché si possa parlare di inclusione. Non è così: dietro una vera inclusione ci sono conoscenza dei pari, accettazione, lavoro concreto in piccoli gruppi, collaborazione tra docenti e tra bambini. La strada da fare è lunga e un livello più alto di integrazione si può raggiungere solo con volontà e passione”.

Le ragioni degli insegnanti e lo scarso supporto dal sistema sanitario

L’altra testimonianza, proveniente dal Veneto, è quella di Daniela (nome di fantasia), madre di tre figli con differenti certificazioni di disturbi e disabilità. Parto col chiedere a Daniela che cosa ne pensi del fatto che il sostegno è definito “della classe”.

“Sfatiamo subito questo mito”, chiosa. “La considero una furbata, oltre che una scusa per sfruttare la figura per coprire i buchi o le lacune all’interno della scuola. Il sostegno dovrebbe essere un mediatore tra la classe e il bambino per un progetto di inclusione, e invece questo accade di rado, oltre al fatto che gli insegnanti curriculari delegano spesso e volentieri tutto al sostegno: il contrario dell’inclusione”.

Quali sono le parti del sistema scolastico italiano che funzionano meno, sul fronte del sostegno? “Sono tante. Posso citare l’autoreferenzialità da parte di chi assume questo ruolo: se non ci si mette in discussione personalizzando l’approccio educativo a seconda dell’alunno e della sua disabilità, è la fine. Il GLO dovrebbe poter essere convocato in tempi più brevi dal momento in cui emergono i problemi. Io dico: tuteliamo sia studenti che insegnanti, ma c’è bisogno di un sistema più dinamico”.

Disagi che si riversano a cascata su entrambi i fronti: “Si è creato un clima di trincea che a sua volta implica sospetto reciproco e impedisce la collaborazione: gli insegnanti sentono di doversi tutelare dai genitori che risultano irragionevoli, e i genitori a loro volta cercano di tutelarsi da insegnanti non preparati, persino aggressivi o non consapevoli delle conseguenze della loro inadeguatezza”.

Le responsabilità non vanno per compartimenti stagni, ma si allargano a macchia d’olio ad altri settori, come quello sociosanitario. Lo conferma l’esperienza di Daniela: “La scuola stessa subisce le conseguenze dell’abbandono da parte di UONPIA, terapisti e neuropsichiatri che non partecipano ai GLO. In due anni l’équipe del mio figlio più piccolo, ad esempio, ai GLO non l’ho mai vista. Poi si parla di genitori invadenti con la scuola quando invece siamo costretti a sobbarcarci situazioni allo sbando a causa dell’assenza altrui, mentre noi vorremmo volentieri dedicarci ad altro”.

Ci sono diversi casi in cui il sostegno viene vissuto come un ripiego portando ad avere ancora troppe figure non preparate: conferma? “In pieno: spesso ottengono la mansione persone che vogliono fare il salto per il ruolo, e quindi non investono in formazione perché tanto sanno che è una cosa a termine. Non esiste un sistema strutturato che tuteli gli alunni con certificazione; la scuola allo stesso tempo è lasciata senza strumenti e spazi adeguati”.

Insegnanti di sostegno inadeguati, diritti degli studenti contro diritti dei lavoratori

Passiamo a un tema molto scomodo, al centro di accesi dibattiti. Se un insegnante si dimostra inadeguato su diversi fronti, anche se emergono mancate evoluzioni o addirittura regressioni dello studente con disabilità, in corso d’anno non può essere cambiato.

“Nei casi dimostrati, se un docente non va bene va cambiato”, chiosa Daniela. “Sono stanca di sentire dai dirigenti scolastici che preferiscono una causa dai genitori piuttosto che dai sindacati. Ragazzi e bambini in questo modo si giocano le autonomie e rischiano forti peggioramenti, se non danni”.

Facendo l’avvocato del diavolo, dall’altra parte si parla anche dei diritti dei lavoratori; nel pubblico non è possibile cambiare un professionista assegnato: “Non è così. Se in un ospedale un medico prescrive una terapia sbagliata va segnalato, e si può chiedere di cambiarlo per tutelare la propria salute. Non si tratta di far perdere il lavoro a nessuno, ma di ammettere che chi non riesce a gestire una situazione deve cambiare mansione o gestirne altre”.

E aggiunge: “Se io vengo assunta in un’azienda, non sono capace di svolgere la mia mansione e creo danni, mi licenziano. La scuola invece è diventata spesso il punto di arrivo dell’improvvisazione per avere il posto fisso, e questo è intollerabile”.

Ci chiediamo: chi paga tutti questi danni? Ma soprattutto, quando sarà affrontato il paradosso per il quale l’improvvisazione a volte trova terreno fertile nella scuola? Una scuola in cui – ricordiamolo – agli alunni si chiede sempre di essere preparati; a chi ci lavora, evidentemente, no.

 

 

 

Photo credits: universomamma.it

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