Lavoratori stranieri più impiegati in mestieri usuranti: per loro un infortunio su cinque

Su 3 milioni di lavoratori non comunitari, 2 sono dipendenti di aziende private e guadagnano in media il 30% in meno dei colleghi. I settori in cui sono più concentrati? Industria, costruzioni, agricoltura, servizi. L’analisi della giornalista Elena Guerra: “Basta assimilazione o segregazione. Serve cambiare i modelli di inclusione in azienda”

11.04.2025
Due lavoratori stranieri in cantiere: sono più esposti ai lavori usuranti?

Abbiamo approfondito questo e altri temi nella nostra rivista Italia che vieni, Italia che vai, di febbraio 2025.

 

 

Con la fine del mese di marzo è arrivata anche la conclusione del periodo di Ramadan, mese sacro del digiuno per i musulmani. A tenermi aggiornato, nella mia attività di responsabile risorse umane, ci hanno pensato due collaboratori praticanti. Come? Con una proposta semplice: condividere i festeggiamenti in azienda attraverso un momento di convivialità, condito da dolci tipici delle aree di provenienza. Proposta ovviamente accolta e promossa a colleghe e colleghi, insieme a due riflessioni non irrilevanti.

La prima riguarda proprio le aree di provenienza, del tutto opposte: un collega originario della Guinea, in Africa, un altro dal Pakistan, in Asia. Spunto utile per decifrare e incrociare alcuni dati. In Italia nel 2024 si contano ufficialmente 5.300.000 stranieri residenti, il 9% della popolazione complessiva, come spiegato dal rapporto presentato dal CNEL. Oltre il 70% di questi sono cittadini non comunitari; tra il 2001 e il 2011, inoltre, la popolazione straniera è cresciuta di quasi 3 milioni. Altro elemento di rilievo è la percentuale di musulmani in Italia: circa il 3,6%, secondo il Rapporto sulla libertà di religione nel mondo del 2022 del CESNUR.

Utile considerare, in rapporto a questi elementi, è che all’interno dell’organizzazione dove presto servizio la popolazione straniera si avvicina al 20%, il doppio rispetto alla percentuale sulla popolazione complessiva nel Belpaese. Sembrerebbe quindi che nelle realtà produttive si concentri una percentuale notevole degli stranieri regolari.

Il secondo aspetto interessante è rappresentato da ruolo e inquadramento dei protagonisti dell’iniziativa. Entrambi impiegati, indiretti di produzione: un ingegnere e uno specialista servizi generali. Buon per noi, significa che stiamo lavorando bene. Perché la quasi totalità dei lavoratori stranieri è coinvolta con ruoli operativi e diretti nei processi produttivi italiani, ed è più esposta ai lavori usuranti rispetto ai cittadini italiani. Questa è la percezione che ho sempre rilevato, rafforzata dopo aver analizzato tre aziende del Nord Est, impegnate in comparti pesanti come le fonderie, il cartario e l’industria automotive. Aziende che contano una forbice di stranieri variabile dal 10% al 18%, ma che sono accomunate da una percentuale che sfiora quota cento, se consideriamo i ruoli di assunzione per questa categoria di dipendenti. Una percezione, peraltro, fortificata dai numeri.

Lavoratori stranieri: mansioni pesanti, stipendi inferiori

Basta incrociare alcuni dati rilevati dal Dossier Statistico 2024 sull’Immigrazione di IDOS e dal XIV Rapporto Annuale sugli stranieri nel mercato del lavoro italiano, a cura del dipartimento delle politiche sociali. Ebbene, dei 3 milioni di lavoratori non comunitari che nel 2023 risultano contribuenti INPS, ben 2 milioni militano tra le file di aziende private, ricevendo peraltro una retribuzione media inferiore del 30% rispetto ai colleghi comunitari della stessa categoria: segno tangibile di un arruolamento preminente in mansioni generiche.

Non solo: a supporto della tesi arriva il saldo positivo – 2023 su 2022 – dei lavoratori stranieri nell’industria in senso stretto (+10,4%) e nel mondo delle costruzioni (in particolare un +6,1% tra i non comunitari). Molto interessante il secondo dato, visto che tra gli italiani della categoria si registra un saldo negativo del 2,2%. Bisogna inoltre ricordare come nel mondo delle costruzioni gli occupati non italiani rappresentano il 16,4%. Lavoratori che peraltro costituiscono una rappresentanza significativa in settori che non brillano per condizioni e retribuzione: servizi, agricoltura, ristorazione.

Infine, gli indici infortunistici. Rispetto alla totalità delle posizioni lavorative, gli stranieri rappresentano il 12,7% ma contano, nel 2023, 118.096 infortuni, pari al 20,8% del totale. Di questi, l’85% è avvenuto durante l’attività lavorativa. I settori più implicati? Manco a dirlo, manifattura (oltre il 26%) e costruzioni (14%). Non a caso, il 76,3% degli eventi si è verificato nel Nord, dove l’industria italiana è più radicata.

Inclusione e diversità devono diventare profitto

Decido di approfondire il tema e di parlarne con una giornalista che da sempre si occupa di questi temi. Elena Guerra, direttrice del periodico online Heraldo e promotrice del Festival del Giornalismo di Verona, ha svolto ricerche nell’ambito del giornalismo interculturale grazie al gruppo di ricerca Prosmedia, di cui è cofondatrice. Si occupa, tra le altre cose, di organizzazione eventi culturali al fine di favorire l’incontro di persone e culture diverse.

“È ormai innegabile che in Italia ci sia una stratificazione etnica e sociale del lavoro: in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente, i lavoratori con background migratorio, pur essendo essenziali per il sostentamento e funzionamento di alcuni comparti produttivi (dall’agricoltura alle costruzioni, passando per l’assistenza alle persone) continuano a occupare posizioni marginali e meno tutelate”.

E il fenomeno sembra non migliorare. “Basta guardare i dati dell’orientamento scolastico, dal (già citato, N.d.R.) Dossier Statistico 2024 IDOS, che evidenziano come nei licei soltanto il 6,8% degli studenti sia straniero, percentuale che passa al 12,1% negli istituti tecnici, raggiungendo il picco del 17,7% nelle scuole professionali, il che prepara di fatto il terreno a un’integrazione subalterna nel mondo del lavoro”.

Una situazione che poggia le radici su aspetti culturali ben radicati, in particolare nelle Regioni da sempre più produttive nel mercato del lavoro italiano. Quali potrebbero essere le strade da seguire? “Una delle vie per un reale cambiamento sin da subito è il concetto di ‘inclusive workplace’ proposto da Michàl Mor Barak, docente americana di Social Work and Management, che invita a superare la logica dell’integrazione ‘formale’ e ad abbracciare un modello sistemico di inclusione, che tocchi tutti i livelli dell’organizzazione: dal micro (relazioni interne) al macro (rapporto con la comunità, con lo Stato, con il sistema globale)”.

Facile a dirsi. In pratica? “Secondo questa visione, un ambiente di lavoro inclusivo non si limita ad accettare le diversità al suo interno, ma le valorizza come leva strategica di cambiamento organizzativo e sociale. Si tratta di una sfida educativa, in un’Italia sempre più multiculturale, se per culture differenti intendiamo le diversità di genere, religione, o legate all’età e al gap generazionale, come i giovani precari o gli anziani espulsi dal ciclo produttivo”.

Sugli anziani (anagrafici o lavorativi) espulsi dal ciclo produttivo si potrebbe aprire un nuovo capitolo, più ampio, che riguarda la polivalenza, il mentoring, il coworking, e tutte le pratiche che oggi ancora latitano quando si parla di sviluppo organizzativo in genere. Limitandoci allo straniero in azienda? “Significa andare oltre i modelli di incontro-scontro fallimentari come l’assimilazione o la segregazione per guardare a un approccio interculturale basato sul Diversity management definito da Taylor H. Cox (professore che insegna gestione della diversità all’University of Michigan Business School, N.d.R.), che riguarda la reale comprensione degli effetti della diversità, per l’implementazione dei comportamenti, delle pratiche e delle politiche che rispondono a essa in modo efficace”.

In sintesi, riuscire a capire dove ci porta l’inclusione per cavalcare l’onda. E, cinicamente, vivere le organizzazioni con maggiore profitto.

 

 

 

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Photo credits: unioncamere.gov.it

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