Dopo i luoghi di lavoro abbiamo visitato le celle. Uso la parola visitato non a caso, perché ci era inaspettatamente concesso di entrare nelle loro stanze. Io però non me la sono sentita. Ho intravisto da fuori le coperte colorate, i panni stesi, le scarpe riposte ordinatamente sotto i letti e le foto delle donne e dei bambini appese alle pareti. Era evidente che si erano preparati per l’occasione, che avevano riordinato gli ambienti come meglio potevano, ma non me la sono sentita di entrare. Mi sono tornate in mente le lacrime di poco prima e mi sembrava di invadere troppo la loro tristezza.
Uscendo dalla zona delle celle ho ascoltato i commenti delle persone accanto a me. Ero l’unica giornalista, gli altri erano delegati di associazioni di volontariato e di cooperative che si dedicano ai detenuti, quindi tutti abituati a lavorare dentro le mura. Qualcuno diceva che “questa di Castelfranco Emilia è davvero una realtà unica, ma la gestione è piuttosto semplice perché è una casa di reclusione a custodia attenuata che ospita solo 78 detenuti”.
Secondo loro organizzare le attività qui è meno complesso rispetto, ad esempio, al carcere di Parma dove i detenuti sono 700 e si dividono tra alta e media sicurezza. Non è sempre vero. Certo, il carcere di Castelfranco ha enormi spazi e molti terreni (anche qui scorrazzavano un sacco di conigli), ma il garante Roberto Cavalieri mi ha spiegato che organizzare il lavoro dove ci sono pochi detenuti non è semplice, perché tra chi è anziano o malato, o chi già lavora per l’amministrazione penitenziaria (svolgendo attività utili alla gestione quotidiana del carcere), non sempre si riescono a trovare i numeri giusti. Invece la direttrice Maria Martone non solo li ha trovati, ma ha individuato anche le giuste attività e ha dichiarato che in futuro vuole garantire sempre più lavoro e formazione.
“Vorrei che il carcere si contaminasse con le attività del territorio, rispettando la vocazione del territorio”. Lei ha scelto con forza di investire nell’uomo e nel marketing del carcere. Riuscite a darle torto?
Io no.
Photo credits: artribune.it