Apprendimento e divertimento: un matrimonio importante

Soprattutto nella formazione degli adulti occupati, è frequente riscontrare una condizione psicologica che riduce notevolmente la partecipazione e la predisposizione all’apprendimento. Si tratta della “sindrome SFIT”. SFIT è un acronimo da mia invenzione, il cui sviluppo ha il seguente significato: Stanchi Frettolosi Irritabili Traditi “Stanchi” significa avere la mente affollata di pensieri, con la conseguente […]

Soprattutto nella formazione degli adulti occupati, è frequente riscontrare una condizione psicologica che riduce notevolmente la partecipazione e la predisposizione all’apprendimento.

Si tratta della “sindrome SFIT”.

SFIT è un acronimo da mia invenzione, il cui sviluppo ha il seguente significato:

  • Stanchi
  • Frettolosi
  • Irritabili
  • Traditi

Stanchi” significa avere la mente affollata di pensieri, con la conseguente grande voglia di allontanarsi, rinchiudersi in se stessi o evadere velocemente.

In chiave formativa ciò porta alla voglia di cose facili, pratiche e immediate.

Frettolosi” indica la diffusissima ipersensibilità alla pressione del tempo. Siamo o ci sentiamo spesso affogati negli impegni, facciamo tutto di fretta, le ore di una giornata non ci bastano. Sembriamo sempre inseguiti da qualcuno, sembra tutto improcrastinabile.

In chiave formativa ciò conduce alla voglia di rapidità, all’intolleranza verso gli approfondimenti e alla facilità a perdere la pazienza.

Irritabili”: essendo affaticati e sempre di corsa è facile avere i nervi a fior di pelle. Diventiamo di conseguenza poco tolleranti, molto esigenti e quindi facilmente vediamo deluse le nostre aspettative, ulteriormente alimentando il nostro nervosismo.

In chiave formativa l’irritabilità genera facilità a indispettirsi, tendenza all’ipercritica, scarsa voglia/resistenza del/al confronto.

Traditi” richiede adeguata spiegazione. Ci sentiamo “traditi” nel senso che l’odierna vita personale e professionale, purtroppo, ha insegnato all’adulto medio che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Temiamo i secondi fini, non ci fidiamo delle promesse. Tutto questo ci rende diffidenti e guardinghi.

In chiave formativa ciò genera facilità al disimpegno, la tendenza a non mettersi in gioco, la voglia di mettere in dubbio tutto e di trovare sempre il lato negativo.

Credo sia evidente l’effetto negativo che la sindrome SFIT può produrre sull’apprendimento e sul comportamento di docenti/discenti.

Sono due, a mio avviso, le più dannose conseguenze:

  • la spasmodica ricerca di ricette magiche e facili, in grado di procurare soluzione immediata a qualsiasi problema, specie su temi di natura comportamentale (come motivare i collaboratori, come vendere, come capire se il cliente mente, come superare il colloquio di assunzione, come gestire il tempo e altre amenità);
  • l’atteggiamento di “arrogante passività”: l’insieme di ipercriticismo (l’essere esigentissimi e maldisposti) e di mutismo (il non esplicitare strada facendo il bisogno di chiarimento, il non fare presente i propri più specifici bisogni, per poi lamentarsi improduttivamente alla fine… o il giorno dopo).

Tra impegno e divertimento

Non si tratta di un’accusa agli astanti (i quali non possono comunque totalmente deresponsabilizzarsi: i partecipanti ottengono il seminario che si meritano), ma di una sfida per il formatore, un invito a non prendere ingenuamente sotto gamba l’effetto SFIT, cercando invece di accogliere e curare le stanchezze, la frettolosità/superficialità, l’insofferenza, la diffidenza.

A questo proposito, il formatore sa che l’apprendere deve essere un’esperienza con due caratteristiche di fondo saggiamente dosate:

  • impegnativa;
  • divertente.

Se non è impegnativa (rispetto alla quantità/qualità della partecipazione richiesta) si rischia che l’esperienza di apprendimento produca l’effetto del “bicchiere di acqua fresca”: lì per lì forse gradevole, ma niente di più.

E allora non viene presa sul serio e non è ritenuta meritevole di investimenti.

Se la formazione non è divertente (coinvolgente, capace di suscitare emozioni legate al benessere, un po’ giocosa, un po’ basata sull’inatteso) si corre il rischio che le persone avvertano immediatamente un vissuto di sforzo, sacrificio, noia e si precludano l’effettiva partecipazione all’esperienza.

D’altro lato se il percorso di formazione è troppo impegnativo/troppo divertente, rispettivamente, le persone si lamenteranno della fatica sentendosi inadeguate e rivivranno il clima dell’insuccesso scolastico, considereranno l’esperienza una inutile buffonata e si chiederanno perché mai la loro organizzazione getti denaro al vento… invece che incrementare la loro retribuzione.

Il giusto mix fra impegno e divertimento è quindi molto importante.

L’importanza di vivacizzare l’apprendimento

Il formatore deve quindi essere un abile e versatile facilitatore capace di adottare differenti approcci, anche creativi e movimentati.

Ciò non significa “aggiungere colore e divertimento”, significa invece:

  • rendere più agevole l’apprendimento di argomenti complessi e teorici;
  • potenziare la sedimentazione del messaggio, facilitare il trasferimento della formazione nel lavoro tramite esperienze di apprendimento vivide e memorabili.

Vivacizzare la formazione significa stimolare in continuo i partecipanti, per l’intera durata del training.

Il formatore deve quindi essere in grado di:

  • creare un ambiente di apprendimento accogliente, rassicurante e dinamico;
  • inventarsi di volta in volta il modo per diversificare la didattica seguendo il principio del massimo coinvolgimento diretto dei partecipanti (più parlano e più si muovono meglio è; dovrebbero giungere al termine delle sessioni stanchi per quanto hanno partecipato, non per quanto si sono annoiati).

Ma attenzione. Impiegare il divertimento come leva didattica deve rispondere a un preciso intento di strategia didattica e mai può sostituirsi alla correttezza e completezza dei contenuti rispetto ai bisogni rilevati. Non si tratta di intrattenimento. È tuttavia altrettanto vero che avere solidi contenuti non è sufficiente: se i partecipanti non stanno attenti e/o vivono stati d’animo spiacevoli, la formazione sarà certamente improduttiva.

Lo stile di insegnamento e la ricchezza della regia didattica sono dunque di importanza vitale: saper coinvolgere ad arte i discenti, con il giusto mix di impegno, divertimento e sfida, è ciò che fa la vera differenza, soprattutto in mercato della formazione popolatissimo di proposte commerciali, nel quale la concorrenza è spietata e il cliente è spesso confuso.

 

(Photo credits: unsplash.com/Luke Porter)

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