
Intervistiamo l’assessora per le Politiche di genere e partecipative, l’Ambiente e la Mobilità sostenibile del Comune di Imola sul tema dell’inclusione lavorativa come strumento per combattere la violenza.
Confermata nell’UE la tendenza che vede le nuove generazioni più povere delle precedenti. Un confronto tra la povertà italiana ed europea: rischio esteso a più individui, ma minori deprivazioni
Un mercato del lavoro sempre più complicato. Scarse e poco soddisfacenti le possibilità di inserimento per i giovani italiani, tra i quali uno su quattro è a rischio povertà: circa il 25%, rispetto al 20% che riguarda la popolazione di tutte le età.
Dati dissimili, ma non troppo, da quelli del resto del continente. Secondo Eurostat, “nel 2021 il tasso di rischio di povertà nell’UE è stato più elevato per i giovani tra i 15 e i 29 anni rispetto alla popolazione totale (20,1% rispetto al 16,8%, una differenza di 3,3 punti percentuali”. Anche oltreconfine, dunque, si conferma la tendenza che vede le nuove generazioni più povere di quelle che le hanno precedute.
Inoltre, in accordo alle ultime stime fornite da Eurostat, l’Italia è al quinto posto della spiacevole classifica dei Paesi in cui la vita per i giovani è in assoluto più difficile. Il che non significa che gli italiani under 30 siano più poveri degli altri, ma che per loro è più complicato migliorare la propria condizione individuale. Una colpa, questa, che può ricadere solo sulla condizione del mercato del lavoro.
La disoccupazione giovanile è una piaga che affligge l’Italia da diversi anni. Il tasso che la inquadra, afferma l’ISTAT, a febbraio 2023 era al 22,4%.
Le sue cause sono da ricercare nei problemi dei salari, ai minimi storici rispetto agli altri Paesi europei – ricordiamo che l’Italia è una delle poche nazioni a non avere il salario minimo, assieme ad Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia; nel numero di lavoratori che non percepiscono stipendi dignitosi (il fenomeno del cosiddetto lavoro povero); e poi nelle carenze nell’istruzione. Tutto questo in un mercato del lavoro dalla salute compromessa, con uno storico di politiche attive poco efficaci se misurate rispetto al superamento della disoccupazione.
I fenomeni fotografati da questi dati sono spesso causa di malessere. In particolare, la deprivazione materiale e sociale ha un impatto negativo da diversi punti di vista, non ultimo quello psicologico. Quando si parla di deprivazione, precisa Eurostat, si fa riferimento alla capacità di far fronte a 13 indicatori, come la possibilità di affrontare spese impreviste, partendo dalle più basse (per esempio una gita fuori porta), fino a quelle che incidono di più sulla sfera delle preoccupazioni: bollette, affitti e mutui.
Sempre l’Ufficio statistico europeo, al riguardo, riporta un indicatore rilevante: “Nell’UE nel 2021 il tasso di grave deprivazione materiale e sociale tra i giovani (tra i 15 e i 29 anni) è stato del 6,1%, mentre (…) tra la popolazione totale (tutte le persone che vivono in famiglia dagli 0 anni in su) è appena più elevato con il 6,3%”.
Significa che più di un giovane europeo su venti ha difficoltà nel permettersi una connessione internet o un paio di scarpe nuove. Il dato italiano in questo caso è appena migliore della media UE, con una percentuale del 5,6%; un dato in apparente controtendenza rispetto a quelli che riguardano la povertà assoluta e la disoccupazione, ma che proprio in contrasto con essi fa intravedere gli effetti del cuscinetto di salvataggio dei giovani italiani: le loro famiglie, e dunque il benessere accumulato in un’altra era economica.
Intervistiamo l’assessora per le Politiche di genere e partecipative, l’Ambiente e la Mobilità sostenibile del Comune di Imola sul tema dell’inclusione lavorativa come strumento per combattere la violenza.
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