Poveri ragazzi: i giovani ereditano il primato dell’indigenza

Nell’ultimo quindicennio sono aumentati gli italiani in condizione di povertà assoluta: oggi sono 5,6 milioni, soprattutto giovani. Federico Polidoro, ISTAT, intervistato da SenzaFiltro: “Nonostante la ripresa, siamo più poveri rispetto al 2005”.

Secondo lo studio dell’ISTAT Povertà in Italia pubblicato lo scorso mese di giugno, nel 2021 sono risultati in condizioni di povertà assoluta poco più di 1,9 milioni di famiglie (7,5% del totale rispetto al 7,7 dell’anno precedente) e circa 5,6 milioni di individui. Uno dei (tanti) dati allarmanti è che ci sono 1,4 milioni di minori in povertà assoluta, il 14,2%: è peggiorata la condizione delle famiglie con maggior numero di componenti, dove raggiunge il 22,6% tra quelle con cinque o più componenti e l’11,6% tra quelle con quattro.

C’è ancora un sostanziale divario tra Mezzogiorno d’Italia rispetto al Nord e al Centro: 10% di famiglie che si trovano in povertà assoluta al Sud rispetto al 6,7% al Nord e al 5,6% che si registra al Centro. Ciò che è ancora molto evidente è la distanza tra l’incidenza della povertà assoluta tra i cittadini stranieri residenti, che è al 32,4% contro il 7,2% degli italiani.

Sono stati istituiti due strumenti di sostegno sociale che hanno fornito un argine – seppur limitato – alla povertà: il Reddito di inclusione e il Reddito di Cittadinanza, quest’ultimo oggetto sin dalla sua nascita di aspri scontri non solo politici, e divenuto col tempo un campo di battaglia continuo che, nel pieno della campagna elettorale, si è fatto ancora più aspro. Questi due strumenti di contrasto hanno evitato – secondo la stessa ISTAT – a un milione di individui di trovarsi in condizioni di povertà assoluta.

Federico Polidoro, ISTAT: “Nonostante la ripresa, siamo più poveri rispetto al 2005”

Al fine di comprendere meglio i dati emersi abbiamo dialogato con Federico Polidoro dell’ISTAT, dirigente del Servizio sistema integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo.

Federico Polidoro, dirigente del Servizio sistema integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo dell’ISTAT.

La povertà assoluta è passata da 1,9 milioni di individui del 2005 a circa 5,6 milioni del 2021. Quali sono stati gli scenari economici che hanno contribuito a un aumento così significativo della povertà assoluta nel nostro Paese, nel corso degli ultimi 15 anni?

I 15 anni che abbiamo alle spalle sono stati caratterizzati da tre crisi economiche globali: quella generata dai mutui subprime, che ha prodotto nel 2008 e nel 2009 una flessione del PIL del nostro Paese rispettivamente dell’1% e del 5,3% in termini reali; quella del debito sovrano, che nel 2012 e 2013 ha portato il PIL a ridursi del 3% e dell’1,8%; e quella della pandemia (2020), con un crollo del PIL del 9%. Le crisi sono state inframmezzate e seguite da anni di ripresa economica anche rilevante (+6,6% nel 2021), ma alla fine di questa storia il nostro prodotto interno lordo nel 2021 è del 3,5% inferiore a quello del 2005. Poi, la crescita dei prezzi al consumo nel periodo considerato è stata quasi del 24% mentre la spesa media famigliare è scesa di oltre il 5%. Questo andamento si è tradotto, sul fronte delle condizioni socioeconomiche delle famiglie, in un aumento delle diseguaglianze, che nel peggioramento dei dati relativi alla povertà assoluta ha una sua espressione particolarmente significativa: da poco più di 800.000 famiglie nel 2005 (il 3,6% delle famiglie) a oltre 1.900.000 (il 7,5% delle famiglie) in povertà assoluta nel 2021, da oltre 1.900.000 (3,3% del totale) a 5,6 milioni di individui (il 9,4%). Misure sistematiche di contrasto della povertà (il Reddito di inclusione prima, il Reddito di Cittadinanza poi) sono state introdotte solo a partire dal 2019, quando la situazione era già molto grave e radicata, e i dati del 2019 sono infatti quelli che mostrano miglioramenti per la prima volta dopo alcuni anni, purtroppo azzerati dalla pandemia, nonostante le misure straordinarie adottate per contrastarne gli effetti che comunque hanno evitato scenari peggiori.

Fonte: Le statistiche dell’Istat sulla Povertà in Italia, 2021.

Sempre prendendo ad esempio gli ultimi 15 anni, la povertà assoluta ha fatto registrare un vero e proprio salto generazionale: se nel 2005 erano gli anziani ad avere il primato, nel 2021 l’onere passa ai giovani. Diminuendo la fascia d’età dei giovani, aumenta l’incidenza della povertà assoluta. Tra i fattori che possono influire sulla povertà assoluta possiamo annoverare anche la qualità della tipologia di lavoro e della relativa retribuzione offerta ai giovani, oppure i fattori sono altri?

È vero; negli ultimi quindici anni abbiamo assistito a una sorta di torsione generazionale nei dati della povertà assoluta nel nostro Paese. Nel 2005 era il 4,5% gli individui con 65 anni e più a trovarsi in condizione di povertà assoluta, mentre per tutte le altre classi di età questa quota era inferiore (precisamente il 3,9% per i minori, il 3,1% per gli individui tra i 18 e i 34 anni, il 2,7% per quelli tra i 35 e i 64). Nel 2021, sono il 5,3% gli individui con 65 anni e più in povertà assoluta, il 14,2% i minori, l’11,1% gli individui tra i 18 e 34 anni, il 9,1% quelli tra i 35 e i 64. È quindi evidente che coorti di individui più giovani hanno vissuto condizioni di lavoro e retributive via via peggiori rispetto alle coorti di individui più anziani che si sono ritirate dal lavoro. Come documentato dall’ISTAT, negli ultimi anni, l’andamento dell’importo medio delle pensioni IVS (Invalidità, Vecchiaia, Superstiti) è andato crescendo a causa, soprattutto, del cambiamento della composizione di questa categoria di percettori, dal momento che è progressivamente aumentato il peso delle pensioni maturate nelle fasi di maggiore crescita economica – caratterizzate da una dinamica salariale favorevole – mentre si è ridotto quello dei trattamenti delle generazioni più anziane con una storia contributiva più breve e frammentata e con profili salariali e contributivi mediamente più bassi. Questa dinamica si è riflessa in una crescita, in termini nominali, dell’importo medio delle prestazioni pensionistiche negli ultimi 15, 20 anni, molto più ampia rispetto alla crescita delle retribuzioni medie degli occupati dipendenti. Da una parte, quindi, il progressivo raggiungimento dell’età pensionabile da parte di generazioni che possono vantare carriere lavorative più lunghe e in posizioni professionali più elevate ha favorito la redistribuzione dei redditi a vantaggio dei pensionati, contribuendo a ridurre la povertà per alcuni segmenti di famiglie potenzialmente più vulnerabili. Dall’altra parte l’ingresso nel mondo del lavoro delle nuove generazioni, oltre che più tardivo, è stato via via caratterizzato da condizioni retributive meno favorevoli, contribuendo quindi ad aumentare la condizione di povertà segmenti di famiglie un tempo meno vulnerabili, in un quadro, quello degli ultimi 15 anni, caratterizzato da almeno tre gravi crisi economiche, come abbiamo visto.

La famiglia con maggior numero di componenti peggiora la propria condizione di povertà, specie se c’è la presenza di figli minori – senza contare le famiglie monogenitoriali con figli: quali i rischi per le condizioni economiche di queste famiglie anche in vista dell’aumento dei prezzi al consumo?

L’incidenza di povertà assoluta per le famiglie con almeno un figlio minore era pari al 2,8% nel 2005, ed è salita all’11,5% nel 2021. Per le famiglie monogenitoriali passa, nello stesso periodo, dal 5,2% al 9,9% (dopo aver toccato l’11,7% nel 2020). Nello stesso tempo per le famiglie con più di cinque componenti è più che triplicata (da 6,3% a 22,6%). Alcuni di questi dati si intrecciano con quanto dicevamo in precedenza sul peggioramento della condizione dei minori e delle generazioni più giovani, ma anche con l’ampliarsi della povertà tra le famiglie con stranieri che, mediamente, hanno più figli in minore età e sono più numerose (è al 17% la quota di famiglie miste in povertà assoluta nel 2021, al 30,6% quella delle famiglie di soli stranieri). Questo quadro propone quindi un’ipoteca sul futuro, poiché rischia di peggiorare il quadro già critico in termini di sviluppo demografico del nostro Paese. Le difficoltà economiche che stanno vivendo le famiglie con figli minori si riflettono inevitabilmente sulle aspettative delle giovani coppie e sulle scelte relative alla procreazione o all’adozione di figli, generando un circolo vizioso per le prospettive dell’Italia. L’accelerazione dell’inflazione alla quale stiamo assistendo in questi mesi e che ha un impatto più ampio proprio sulle famiglie meno abbienti, rischia ovviamente di aggravare questo quadro già di per sé denso di preoccupazioni, dal momento che rischia di approfondire le tendenze negative già in atto.

Fonte: Le statistiche dell’Istat sulla Povertà in Italia, 2021.

Le famiglie sicuramente povere sono nel Mezzogiorno al 10%: il gap con il Nord da cosa dipende? È il lavoro come strumento contro la povertà l’elemento che differenzia Nord dal Sud? In alternativa, che cosa crea questa distanza?

Sono il 10% delle famiglie e il 12,1% degli individui del Mezzogiorno che si trovano in povertà assoluta nel 2021, mentre nel Nord queste quote sono a pari rispettivamente a 6,7% e 8,2%. E se guardiamo alla distribuzione degli individui in povertà assoluta sul territorio del nostro Paese, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno (dove vive il 33,6% della popolazione), e il 40,5% nel Nord, dove risiede il 46,5% della popolazione. Nei dati della povertà assoluta ritroviamo quindi alcune tradizionali differenze e diseguaglianze tra le diverse aree dell’Italia. Indubbiamente se pensiamo che per le famiglie che hanno come persona di riferimento un occupato l’incidenza di povertà assoluta è del 7%, mentre questa quota sale al 22,6% per le famiglie la cui persona di riferimento è in cerca di occupazione, il lavoro appare uno strumento chiave per contrastare il disagio economico e le diseguaglianze; come tale, quindi, è sicuramente un elemento importante che spiega il quadro delle differenze in termini di povertà assoluta tra Mezzogiorno (dove il tasso di disoccupazione nel 2021 nella fascia di età 15-64 anni è del 16,4% e quello di occupazione del 44,8%) e Nord (dove il tasso di disoccupazione nella fascia di età 15-64 nel 2021 è pari al 6,1% e quello di occupazione al 66,4%).

Fonte: Le statistiche dell’Istat sulla Povertà in Italia, 2021.

Lavoro e istruzione arginano la povertà, ma per quanto? Il caso dei lavori non standard

C’è un altro elemento che lo studio dell’Istat ha evidenziato: la povertà assoluta decresce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento della famiglia e, ancora, la povertà assoluta rimane stabile con persona di riferimento occupata.

Lavoro e istruzione rimangono quindi, nel 2021, i due capisaldi per combattere la povertà assoluta: ma se il lavoro è povero per i giovani che si inseriscono tardi nel mondo del lavoro anche per ottenere un titolo di studio più competitivo, ritardando così il proprio inserimento lavorativo e trovando condizioni retributive meno favorevoli, bisognerà capire che cosa accadrà in futuro sulla dinamica della povertà, pur se in possesso di un’adeguata istruzione e di un lavoro che potrebbe inserirsi nella categoria dei lavori non standard: in Italia, proprio secondo l’Istat, questa tipologia descrive quasi 5 milioni di occupati, il 21,7% del totale rappresentati da giovani, donne, stranieri, meridionali.

I non standard spesso coincidono con la categoria dei lavoratori poveri che guadagnano meno della soglia minima annua: sono 4 milioni di dipendenti del settore privato con redditi da lavoro sotto i 12.000 euro l’anno, che rappresentano il 29,5% del totale.

Se il lavoro non torna o rimane caposaldo, la povertà assoluta non può che rischiare di aumentare ancora. Dai dati emersi dallo studio Istat del 2021 crediamo che la soglia critica sia stata già raggiunta.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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Foto di LaterJay Photography da Pixabay

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