L’infaticabilità cinese soffre la crisi

Cinesi. Vivono e lavorano nel nostro paese rimanendo il più delle volte nell’ombra delle loro realtà tanto che restiamo basiti quando realizziamo, increduli, che i nostri nuovi vicini di casa hanno occhi a mandorla e parlano cinese. Certo, una volta scoperti, non è facile non farci caso. Non è facile non fare caso alle loro […]

Cinesi. Vivono e lavorano nel nostro paese rimanendo il più delle volte nell’ombra delle loro realtà tanto che restiamo basiti quando realizziamo, increduli, che i nostri nuovi vicini di casa hanno occhi a mandorla e parlano cinese.

Certo, una volta scoperti, non è facile non farci caso.

Non è facile non fare caso alle loro abitudini poco affini alla nostra cultura così come non è facile restare indifferenti di fronte all’ennesimo ‘colloquio fra simili’ in quella lingua straordinariamente incomprensibile che, anche quando parla d’amore, suona sempre un po’ rozza e poco cordiale.

Questi siamo noi, scettici e un po’ confusi, tra realtà e luoghi comuni (spesso non veri!), inerti di fronte all’incolmabile (?) distanza culturale che alimenta la popolare – e talvolta folkloristica – diffidenza nei loro confronti.

Negli ultimi anni, poi, il ‘pericolo giallo’ (quello cinese) è tornato a farsi sentire e se fino a ieri erano coloro che sono tutti uguali e copiano tutto, oggi sono diventati coloro che ci rubano clientela e lavoro”.

Dall’altra parte invece, eccoli lì loro, in Italia o in Cina, ma sempre lavoratori tenaci e instancabili.

Eccoli lì magari instancabilmente seduti di fronte ad una macchina da cucire e lavorare ore e ore su un paio di scarpe, una borsa o un abito costosissimo, che un domani porterà con ogni probabilità il nome di una famosa griffe che pochissimi potranno permettersi, o ancora indaffarati dietro ai fornelli fumosi di un coloratissimo e chiassoso ristorante cinese a saziare il gusto per l’esotico a tavola.

Insomma eccoli lì a lavorare, lavorare e ancora lavorare come se ago, filo o wok fossero l’unica ragione di vita, quasi (per non dire totalmente) indifferenti e disinteressati alla realtà che li circonda e non curanti dei mille occhi indiscreti che li seguono e li scrutano, continuando invece diritti per la loro meta. Quella stessa meta che un tempo Deng Xiaoping riassumeva con “arricchirsi è glorioso” (致富光荣 Zhìfù guāngróng) e che oggi Xi Jinping ha ribattezzato con “il sogno cinese” (中国梦 Zhōngguó mèng).

Un sogno che porta sempre più i cinesi a spostarsi in massa lontano dalla loro terra d’origine per cercare fortuna, forse pensando che quel sogno inizi proprio oltre confine.

Recenti dati ISTAT ci dicono che ad inizio 2015 i cinesi (regolarmente residenti in Italia) erano oltre 332 mila. Oggi non servono statistiche per confermarci che abbiamo già superato abbondantemente i 350 mila. E sono tutti lavoratori.

Fanno i lavori più disparati e spaziano dalla ristorazione, nei casi più banali, alla sartoria (anche in piccole botteghe cittadine) o fanno i parrucchieri (il sogno low-cost di molte anziane signore), parlano la nostra lingua (o comunque si fanno capire), hanno rigorosamente un nome italiano e iniziano anche loro a soffrire della crisi economica.

C’è clisi, c’è clisi. Affali no buoni”, mi dice Silvia, con faccia triste (ma non rassegnata), quando le chiedo come procede la sua attività di vendita al dettaglio nel maceratese.

Non è un caso il fatto che vengano principalmente dallo Zhejiang, una provincia del sud della Cina, dove lo spirito imprenditoriale è particolarmente forte e dove, ancor più importante, l’imprenditoria individuale è nata e si è diffusa poi in tutto il Paese di Mezzo, ormai tipizzata in un vero e proprio modello di sviluppo economico fino ad imprimersi nel DNA della sua popolazione.

La fatica non li spaventa e il sentimento che li accomuna è il riscatto da un passato difficile, buio e sofferto, che oggi rappresenta indubbiamente la componente primaria dell’etica lavorativa del vero cinese che insegue il sogno di un futuro prosperoso per il quale stanchezza e sudore versato sono il sacrificio, neanche troppo doloroso, nell’attesa del domani.

Il giorno è per lavorare, la sera è per dormire” mi dice sorridendo Marco quando gli chiedo a fine giornata se si sente stanco dopo oltre 14 ore di lavoro senza sosta. Aggiungendo poi di sua iniziativa, con mia sorpresa: “Sai? Mio figlio adesso è in Cina con i nonni. L’anno prossimo farà l’MBA in America?

Presto è tutto chiaro.

Non un domani qualunque ma il domani delle nuove generazioni che rappresentano l’investimento primario degli affannati lavoratori cinesi in Italia.

Un vecchio proverbio cinese, mi piace sempre ricordarne uno perché non tradiscono mai, dice “Gli antenati piantano gli alberi, i discendenti ne godranno l’ombra” (前人栽树, 后人乘凉 Qián rén zāi shù, hòu rén chéngliáng)  da leggersi “Lavorate ardentemente per il bene delle generazioni future”.

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