Meno male che Silvio fu?

L’uomo che comprava gli uomini: l’eredità culturale di Silvio Berlusconi è un gioco controverso che va dal vuoto di riforme al pieno di valori consumistici, ma l’innovazione del berlusconismo sta nell’introduzione della corruzione individuale come pratica politica

Berlusconi e la corruzione: una foto di Silvio Berlusconi a sfondo nero a mani giunte

A poco più di un mese dalla morte di Silvio Berlusconi, i tempi sono maturi per trarre le prime riflessioni concrete sulla pesante eredità culturale lasciata dal fondatore di Forza Italia. In queste considerazioni ho scelto di farlo – parrà strano – a partire da una provocazione comparsa 24 anni fa sulla prima pagina del quotidiano il manifesto.

Berlusconi, il commercio dell’anima

Il 17 giugno del 1999 il manifesto pubblicò un editoriale dal titolo “Elogio di Silvio Berlusconi”, firmato da Luigi Pintor, uno dei fondatori del giornale. Iniziava così: “Chi fermerà Berlusconi? Nessuno, temo. La sua non è stata una vittoria elettorale, ma una rimonta trionfale. È strano che tutti i commentatori non se ne siano accorti. L’uomo di Arcore e la sua formazione hanno il consenso di un italiano su quattro, una quota che solo i mastodonti democristiano e comunista hanno raggiunto o superato nella storia repubblicana. Questo è il dato”.

L’analisi e la previsione di Pintor si rivelano quanto mai credibili: Berlusconi e la sua visione del mondo non sono un’incidente di percorso. Nel 2000 Berlusconi vince le elezioni regionali e nel 2001 celebra il grande ritorno dopo la crisi del suo esordio nel ‘94, con il trionfo alle elezioni nazionali, lasciando l’amaro in bocca a tutti i suoi avversari che in più occasioni l’avevano dato politicamente per morto. Si apre così l’epoca berlusconiana, il ventennio del Cavaliere, che sia dal governo sia dall’opposizione segnerà la politica, la comunicazione e la cultura dell’Italia nel nuovo millennio.

Quel titolo del manifesto fece grande scalpore soprattutto a sinistra, perché gli eredi della cultura comunista, i DS, erano ben consapevoli che la provocazione di Pintor era rivolta a loro, a chi stava dissipando l’eredità culturale del PCI, che da Togliatti in poi era riuscito a raccogliere intorno a sé il mondo del cinema, del teatro, della cultura; l’intellettuale collettivo teorizzato da Antonio Gramsci, per intenderci.

L’“Elogio” dunque era indirizzato a chi, in nome di una neo cultura di governo conquistata sul campo da Berlinguer dopo la caduta del fattore k, da un lato smontava il partito di massa costruito da Togliatti e dallo stesso Berlinguer, e dall’altro insisteva nel sottovalutare l’avvento del berlusconismo, la sua capacità egemonica. Una concezione del mondo apparentemente innocua, e un modello di società che, dietro il paravento del liberismo, mieteva consensi sull’arricchimento facile, sul potere del denaro come mezzo di scambio per le scalate sociali, sullo sdoganamento della destra, e persino sulla corruzione individuale, viatico per la carriera politica e la formazione della classe dirigente, in alternativa alla corruzione politica dell’epoca democristiana e socialista.

La filosofia berlusconiana e i suoi effetti sul lavoro

Scriveva ancora Pintor nella sua diagnosi cruda, feroce ma visionaria: “Forza Italia, col suo titolo da stadio eccitato, non è solo un primo partito in una ordinata gerarchia di concorrenti, ma è la sola grande formazione politica in campo, che si stacca nettamente dalle altre e le sovrasta. Non ha solo un capo carismatico, con le sue batterie televisive ma anche una struttura organizzata e diffusa e un attivismo di massa, cose che la sinistra antica gli ha insegnato ma ha buttato via… Berlusconi ha l’autenticità del senso comune”.

Ecco la prima considerazione che si può trarre a proposito dell’eredità del berlusconismo: non fu soltanto la storia anomala di un imprenditore in permanente conflitto di interesse che si appropriò del “Paese che amava” attraverso le televisioni. L’ascesa dell’uomo di Arcore portò con sé una vera e propria filosofia di vita, un populismo mediatico ante litteram che conquistò per più di un decennio la maggioranza degli italiani.

Mentre la sinistra si apprestava a dismettere o quantomeno a scolorire alcuni valori che avevano segnato la sua identità, per paura del suo passato comunista, Berlusconi affermava attraverso la comunicazione massiva tutti i suoi valori. Il vuoto del suo riformismo veniva compensato dall’ideologia allo stato puro della sua concezione del mondo, che non rimaneva però nell’alveo delle idee, ma si insinuava nei gangli vitali della nostra società, dove si tentava di spacciare la libertà d’impresa per evasione fiscale e la libertà individuale come esclusione totale delle regole del gioco.

Come scriveva su Micromega Fabio Dei, il berlusconismo cresce e si colloca tra l’altro in “un’economia in cui il lavoro perde centralità a favore della finanza e del consumo; una trasformazione radicale del sistema mediale, con la sempre maggiore influenza delle TV private e commerciali che divengono strumenti cruciali di sostegno del consumo, ma anche della politica”. Il tutto condito da messaggi iconici del leader che è al tempo stesso politico e padrone della politica.

E questo punto ci porta a un tratto distintivo del berlusconismo: la corruzione come pratica politica.

L’uomo che comprava gli uomini: dalla corruzione politica alla corruzione individuale

La corruzione che fino ad allora aveva minato il sistema democristiano e craxiano passava per i partiti o per una delle sue correnti. Tangentopoli è l’esempio più eclatante di questo tipo di corruzione: gli imprenditori pagavano i partiti per avere in cambio dai loro rappresentanti appalti miliardari. Ogni partito aveva un cassiere addetto alla raccolta delle tangenti, ma quella stagione segnò la fine della Prima Repubblica, la Repubblica dei partiti.

Fu così che Silvio Berlusconi inventò il partito personale e la corruzione individuale. Aveva capito che, acquistandone le anime, avrebbe legato a sé gli uomini e le donne che gli stavano attorno. A volte promettendo candidature e carriere politiche che venivano ripagate con lauti stipendi da parlamentare, a volte direttamente con denaro.

Il caso più clamoroso e inedito dal punto di vista politico fu il caso De Gregorio, il senatore dell’IDV di Antonio Di Pietro che passò alla Casa delle Libertà e che contribuì alla caduta del governo Prodi nel corso della legislatura 2006-2008. Fu lo stesso De Gregorio a confessare di essere stato corrotto da Berlusconi tramite Valter Lavitola.

“L’accordo si consumò nel 2006”, raccontò a verbale De Gregorio. “Il mio incontro a Palazzo Grazioli con Berlusconi servì a sancire che la mia previsione di cassa era di tre milioni e che immediatamente partirono le erogazioni. Ho ricevuto due milioni in contanti da Lavitola in tranche da 200/300.000 euro, nell’anno 2007”.

Silvio Berlusconi per questo fu condannato sia in primo grado sia in appello. Fu salvato dalla prescrizione del reato, Nella sentenza di appello del 2017 si leggeva: “L’iniziativa dell’offerta e della promessa del denaro è stata presa da Berlusconi e non da De Gregorio. L’incontro delle loro volontà è stato senza dubbio libero e consapevole”. Pagina 111: “Berlusconi ha, pacificamente, agito come privato corruttore e non certo come parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni”.

I magistrati di secondo grado hanno ribadito che Berlusconi ha corrotto con fiumi di denaro l’ex senatore IDV per farlo passare nel centrodestra e fargli avviare la “guerriglia urbana” in Parlamento che ha fatto cadere il governo Prodi. Ma la Corte d’appello non ha potuto far altro che sancire la prescrizione, peraltro invocata dallo stesso procuratore generale, maturata nell’autunno del 2015.

Berlusconi è morto. Viva il berlusconismo?

Al di là della prescrizione, il drammatico episodio della caduta del governo Prodi fu una vittoria di Silvio Berlusconi e il trionfo della filosofia del berlusconismo, secondo la quale il denaro, la corruzione individuale, può comprare ogni cosa. Anche le anime, le vite delle persone, al di là degli schieramenti politici.

Negli anni successivi la corruzione mirata ha fatto scuola e si è replicata in vari episodi, che in molti casi hanno lambito anche esponenti del centrosinistra.

Se vogliamo restare nella semantica berlusconiana, possiamo dire che non a caso l’operazione con la quale fecero cadere il governo Prodi tramite De Gregorio si chiamava Operazione Libertà, un nome che suona molto simile a quello del partito fondato da Berlusconi. Libertà al di là delle regole; libertà di evadere il fisco (per la quale Berlusconi è stato condannato in via definitiva); di governare malgrado i giganteschi conflitti d’interesse politici, economici e giudiziari; di costruire leggi ad personam; di manovrare il denaro per fini molto meno che nobili. Insomma, la libertà secondo l’uomo di Arcore.

Ultima, amara considerazione. La carriera politica di Silvio Berlusconi ha cominciato a incrinarsi nel 2011, quando la comunità economica e finanziaria, che aveva dato fiducia all’uomo definito unfit dall’Economist, ha capito che “l’unto del Signore” aveva fatto poco o niente di quello che aveva promesso in economia e sul terreno delle riforme. Il quesito che resta è se alla morte fisica di Silvio Berlusconi non sia sopravvissuto il berlusconismo, con tutte le sue zone grigie.

Gli ultimi anni della politica italiana non fanno ben sperare.

 

 

 

Photo credits: infosannio.com

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