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Si riaccendono le proteste operaie nell’azienda sulcitana: Glencore ha rifiutato la proposta del Governo, 1.200 in CIG e produzione ancora al palo. Ma i bilanci della multinazionale raccontano una storia diversa
Tutto come un mese fa, anzi peggio. Gli operai della Portovesme S.R.L. si accampano sui tetti della fabbrica, si incatenano ai tornelli, le loro assemblee permanenti tornano in fermento. Domenica 26 marzo è arrivato perfino il vescovo per celebrare la messa in loco. La situazione è difficile, e in un territorio come il Sulcis lo è ancora di più.
In ballo ci sono 1.400 buste paga, più altre 400, considerando anche i dipendenti Rusal. L’azienda sono loro; la multinazionale che la controlla invece è la svizzera Glencore S.p.A., gigante del settore minerario. La stessa che venerdì 24 marzo ha rifiutato un’offerta del Governo che aveva convinto tutti gli altri, sindacati compresi.
La produzione, quindi, non riprenderà. Rimane sospesa anche la riconversione degli impianti promessa da Glencore, che nel frattempo registra profitti miliardari. Viste le premesse, si accresce sempre di più il timore che dietro quel termine, “riconversione”, si nasconda la tagliola del licenziamento di massa.
Il 28 febbraio quattro operai della Portovesme S.R.L.si erano asserragliati su una ciminiera dello stabilimento in cui avevano lavorato per anni. Da lì avevano portato l’attenzione della politica sulla crisi che da un anno e mezzo aveva coinvolto la loro azienda. Una crisi energetica; e di energia, l’unico impianto italiano addetto alla produzione di piombo e zinco da primario ne consuma parecchia.
Sono scesi quattro giorni dopo, in seguito a un colloquio con i rappresentanti del Governo. Gli avevano garantito che avrebbero preso in mano la situazione, e così è stato: il ministero delle Imprese e del Made in Italy è intervenuto con una proposta a Glencore che contemplava un prezzo dell’energia più sostenibile, basato su un credito d’imposta per i mesi a venire.
I sindacati erano soddisfatti, come testimonia un comunicato congiunto di FILCTEM CGIL, FEMCA CISL e UILTEC UIL del 24 marzo: “Da oggi registriamo che a Portovesme esistono tutte le condizioni perché gli impianti produttivi riprendano l’attività. (…) È inaccettabile che la proprietà si aspetti da parte del Governo ulteriori risorse pubbliche per ridurre il costo dell’energia, per sostenere gli ammortizzatori sociali, per garantire un’ipotetica riconversione industriale. (…) non hanno più alibi. Non possono che riprendere l’attività e riattivare la produzione”.
E invece no. Sempre venerdì 24 marzo, Glencore ha rifiutato l’offerta.
A fronte di perdite di circa cento milioni di euro l’anno nell’ultimo biennio dello stabilimento sulcitano, per l’inizio del 2023 la multinazionale svizzera aveva previsto di chiudere la linea del piombo, considerata dispendiosa e poco redditizia, e investire su altri materiali. La produzione di piombo e zinco, nei proclami del management, sarebbe stata riconvertita in quella di solfuri di nichel, fondamentali per la realizzazione di batterie a ioni di litio, e dunque molto richiesta sul mercato complice l’impennata prevista nella vendita di auto elettriche.
Da inizio anno, però, è tutto fermo, e 1.200 operai sono stati messi in cassa integrazione a rotazione. A fronte di questi segnali, è lecito porsi qualche domanda sulle reali intenzioni della proprietà e sul suo quadro economico. In altre parole, come se la passa Glencore?
Le finanze della multinazionale sono floride. Basta consultare il loro rapporto annuale per il 2022, nel quale annunciano di aver registrato un margine operativo lordo di 34,1 miliardi di dollari, in crescita di ben 12,8 miliardi rispetto all’anno precedente, e un rendimento per gli azionisti di 7,1 miliardi per il 2023. Nulla, insomma, che giustifichi operazioni di questo tipo.
Il rapporto è colmo di proclami sulla sostenibilità ambientale, sulla sicurezza sul luogo di lavoro e sulle politiche a tutela della diversity. Neanche una sillaba, invece, sulla tutela dell’occupazione. Se è vero che le parole sono importanti, è un brutto segnale.
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