Crisi aziendali? Il Governo farebbe prima a intitolargli un ministero

I prezzi dell’energia e la guerra le hanno peggiorate o ne hanno aperte di nuove: l’Italia è un Paese in cui crisi non è sinonimo di opportunità. Alcuni dei casi più significativi tra quelli che abbiamo seguito e una previsione su ciò che ci aspetta in futuro.

Ci mancava solo la crisi energetica per il settore industriale. Il rincaro dei prezzi del gas e dell’elettricità ha toccato tutte le famiglie italiane, le attività e le imprese, ma in questo caso il vecchio adagio “mal comune mezzo gaudio” non è così applicabile. C’è chi stava male prima della crisi energetica, cioè le aziende i cui fascicoli sono da mesi sul tavolo del Mise (ministero dello Sviluppo Economico), ma in alcuni casi anche da anni, e che talvolta sono state toccate in modo più pesante dalla crisi figlia della speculazione.

Molte di queste sono le cosiddette aziende energivore, cioè quelle che hanno bisogno di più energia di altre per motivi legati al tipo di produzione. Tra queste spicca il settore dell’acciaio, quello che in Italia una volta portava il marchio Marcegaglia e che oggi lega il proprio nome ad Acciaierie Italia, meglio conosciuta come ILVA, società di fatto partecipata da Cassa Depositi e Prestiti e che da tempo ormai si regge su soldi pubblici.

Crisi aziendali, l’acciaio maledetto di SANAC e ILVA

SenzaFiltro nel febbraio 2020 decise di dare il via a un osservatorio delle crisi aziendali, scoprendo una serie di storie aziendali che avevano meno eco sulle pagine della stampa nazionale.

L’idea era quella di raccontare chi non aveva voce se non per mano di qualche giornale locale, andando a conoscere i protagonisti, operai e dirigenti, che spesso lavoravano senza sapere quale sarebbe stato il loro futuro. Tra queste scegliemmo la SANAC, una società di Massa Carrara, specializzata nella produzione di refrattari. Si tratta di una produzione fondamentale per il settore acciaio.

SANAC fa parte dell’indotto dell’ex ILVA, o almeno ne faceva parte, perché si arrivò al blocco delle richieste delle forniture. La trattativa a tre (ministero, sindacato e nuova proprietà di ILVA) è stata lunga e complessa, ed è ancora in corso. Decidemmo di seguirne le evoluzioni con cadenza mensile, e quando sembrava ormai vicina una soluzione arrivò proprio la crisi energetica a complicare le cose: per costruire forni refrattari ci vuole tanto calore; l’impennata dei prezzi ha messo in ginocchio il settore e, di nuovo, la SANAC.

Schivare la crisi con le riconversioni: Portvesme cambia produzione

C’è chi fino a prima della crisi energetica stava bene e non di pensava nemmeno a finire con altre società in difficoltà sul tavolo di un ministero.

È il caso della Portvesme, che è stata addirittura costretta a riconvertire la sua produzione. La società, che ha 1.300 dipendenti, negli ultimi due anni ha subito perdite che si aggirano attorno ai cento milioni di euro l’anno, ma si stimava potessero andare oltre.

Si è così deciso di chiudere la linea del piombo a inizio 2023, ma si investirà su altri impianti per evitare che la produzione si fermi. Gli impianti a zinco e piombo verranno riconvertiti per produrre materiali che siano più appetibili su scala mondiale. La capogruppo Glencore ha allo studio la possibilità di investire su una linea di litio e di riconvertire l’impianto al piombo in uno di trasformazione di solfuri di nickel.

Price cap per il gas: le aziende si aspettavano di più

Intanto l’Unione europea ha approvato il price cap, il cosiddetto tetto al gas che dovrebbe limitare il costo dell’energia.

Il parto è stato lungo e non ha visto tutti concordi. L’Olanda, Stato dove si trova la cosiddetta “borsa del gas”, assieme all’Austria si è astenuta, mentre l’Ungheria ha votato contro. La Germania, che mise il carro davanti ai buoi già in autunno, quando finanziò a pioggia la propria industria con contributi per l’energia, alla fine ha votato. Il tetto è 180 euro al megawattora.

La notizia è stata meno dirompente di quanto si pensasse; mentre il Governo festeggiava la grande conquista, le borse e il mondo delle imprese hanno reagito in modo tiepido. Assolombarda ha parlato di un tetto troppo alto, Confagricoltura ne ha stigmatizzato i ritardi e il think tank Bruegel, con sede a Bruxelles, ha subito parlato di una soluzione che non risolve da sola la crisi. Insomma, la luce in fondo al tunnel è ancora lontana, e i 21 miliardi che compongono la buona parte della prima manovra del governo Meloni sembrano una goccia nel mare. C’è molto altro da fare prima di arrivare a una soluzione.

Intanto l’Italia si trova non solo nella condizione di vedere messi a rischio tanti posti di lavoro, ma anche di perdere quel che rimane di uno degli asset fondamentali di ogni nazione, cioè la produzione dell’acciaio. Investitori all’orizzonte non se ne vedono, per il momento, e sembra chiaro che l’unico modo che il Paese ha di essere traghettato fuori dalla crisi del settore è quello di affidarsi ai fondi pubblici, che già da tempo, grazie anche alla cassa integrazione, stanno svolgendo questo ruolo.

Ogni tanto, un lieto fine: il caso di SaGa Coffee

Chi dovrà farsi carico di questa situazione è senza dubbio il nuovo ministro del Welfare e del Lavoro Marina Elvira Calderone, che si trova a gestire i dossier di molte realtà italiane, alcune anche di primo piano.

I numeri dei cassintegrati e delle aziende in crisi, indotto compreso, non sono certo confortanti, ma una cosa in un anno di osservazione è balzata all’occhio: a fronte di società che hanno problemi ormai endemici e che si trascinano nel tempo (SANAC e Italtel, su tutti) ci siamo accorti di come molte delle crisi aziendali che abbiamo raccontato un anno fa si sono risolte.

Il caso più eclatante è senza dubbio quello della SaGa Coffee di Gaggio Montano, azienda di macchine per caffè che rischiava di chiudere soltanto perché si trovava in un luogo impervio, anche se dava lavoro a due o tre paesini piuttosto isolati sull’Appennino bolognese. Proprio pochi giorni dopo la nostra mattinata trascorsa con le operaie della fabbrica del bolognese è arrivata la firma dell’accordo sindacale che ha salvato i posti di lavoro, e anche l’economia dei piccoli centri montani.

Il ruolo del Governo nel futuro prossimo delle aziende in crisi

I prossimi mesi saranno decisivi per molte altre realtà; solo nel mese di ottobre nell’elenco dei tavoli di crisi del ministero ne sono entrate altre due. La lista rischia di allungarsi e l’attenzione da parte del Governo deve rimanere alta, perché al di fuori dei grandi tavoli rimangono molte piccole realtà che sono costrette a ricorrere alla cassa integrazione con una serie di problematiche che spesso rimangono a livello territoriale.

La crescita dell’inflazione rischia di impattare ancora sul costo delle materie prime, e la guerra russo-ucraina va a pesare anche sulla bilancia commerciale italiana, che, stando agli ultimi dati forniti da ISTAT, per la prima volta dopo molto tempo ha dati negativi sia per quanto riguarda le importazioni che le esportazioni.

Il lungo inverno delle aziende italiane sembra quindi non finire, e il lavoro da fare per il nuovo governo è ancora lungo, nonostante anche gli interventi a sostegno che nei mesi scorsi sono stati messi in campo, tra gli altri, da Cassa Depositi e Prestiti, per porre un freno alle difficoltà economiche delle imprese italiane.

Leggi gli altri articoli a tema Crisi aziendali.

Leggi il mensile 116, “Cavalli di battaglia“, e il reportage “Sua Sanità PNRR“.


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In copertina le lavoratrici della SaGa Coffee di Gaggio Montano, foto di Lara Mariani

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