
Invece di dare garanzie ai precari, hanno precarizzato gli assunti. Le tutele per i lavoratori licenziati sono state demolite da legge Fornero e Jobs Act in modo potenzialmente illegittimo: se n’è accorta anche l’Europa.
Tre società sono finite sul tavolo del ministero: a rischio un migliaio di posti di lavoro a causa della crisi di un settore in cui il dumping è la regola, e che guarda con preoccupazione all’avvento dell’IA. Ne parliamo con Alessandro Faraoni, di Fistel CISL
All’inizio degli anni Duemila attorno ai call center nacque una vera e propria letteratura, che elevò i casermoni pieni di ragazzi a simbolo del lavoro sottopagato e precario. Cinema, libri e inchieste giornalistiche si sono prodigati nel raccontare un settore che aveva assunto i tratti e i modi del taylorismo 2.0. Poi, come spesso accade, anche i call center sono finiti nel dimenticatoio; anzi, i giovani dall’altra parte della cornetta sono passati da poveri sfruttati a personaggi molesti e insistenti.
A distanza di oltre vent’anni, invece, il mondo dei call center è tra i più esposti alle crisi aziendali. Nell’ultimo anno i dossier di tre società sono finiti sul tavolo del ministero del Lavoro: sono a rischio un migliaio di posti di lavoro. E anche chi ha esternalizzato in Grecia deve confrontarsi con la nascita dei sindacati interni, che portano all’attenzione dei datori di lavoro rivendicazioni salariali.
In Italia, invece, il confronto è duro e serrato, alla ricerca di una soluzione per un settore che rischia di essere tra quelli più colpiti dall’avvento dell’intelligenza artificiale.
Le cause che stanno facendo perdere posti di lavoro a un settore che un tempo era in crescita vanno ricercate nel costo del lavoro e nel rimpiattino dei ribassi, che si traduce in un dumping sistematico.
“Il problema principale,” dice Alessandro Faraoni della CISL Fistel, “è che non ci sono regole. Nella maggior parte dei casi, nei call center che hanno il contratto collettivo delle telecomunicazioni – ma spesso e volentieri anche nelle commesse pubbliche – alcune aziende permettono in qualche modo l’applicazione di contratti che nulla hanno a che fare con il contratto delle TLC; spesso e volentieri sono anche contratti capestro, che di fatto creano dumping nel settore. In genere non parliamo mai di soggetti che hanno la possibilità di applicare gli stessi costi, e quindi fare un’offerta sulla commessa da prendere con pari opportunità, ma di frequente il ribasso viene giocato sulla pelle dei lavoratori”.
Il sindacato, con le associazioni di categoria, sta cercando di porre un freno a questo malcostume. L’altra faccia della medaglia, però, è che rinunciare al dumping potrebbe far crescere il costo del lavoro, e di conseguenza incentivare i licenziamenti. Per far fronte a questo problema il sindacato ha sviluppato una linea.
“Noi dobbiamo permettere alle aziende di aumentare in qualche modo la produzione,” spiega Faraoni, “quindi bisogna anche aiutarle. Se il costo del lavoro è uguale per tutti quanti, le società possono davvero confrontarsi su metodi qualitativi e su produttività. A quel punto il lavoro verrà fatto dall’azienda che emergerà, appunto, per qualità e per produttività”.
Le difficoltà di Callmat, azienda di call center che opera in provincia di Matera, dipendono dai problemi legati alla riduzione di commesse da parte di TIM; per questo l’azienda è stata costretta a decidere la chiusura del sito di Matera e ad avviare la procedura di licenziamento collettivo per circa 250 unità, che però al momento è stata ritirata, anche se è stata richiesta la cassa integrazione.
Principale responsabile del calo della produttività è l’incremento della digitalizzazione, che sta impattando sulla gestione del call center interno, e per questo le risorse interne di TIM gestiranno in house le stesse attività. Il colosso delle telecomunicazioni ha deciso di lasciare uno spazio di tre mesi, nei quali garantirà 300.000 contatti di front end per ciascun mese, in attesa della definizione di un progetto di riqualificazione professionale delle persone impegnate nella commessa in questione.
Per questo la Regione Basilicata si è impegnata a effettuare una serie di interventi nell’ambito della digitalizzazione della pubblica amministrazione, in modo da fornire una parziale risposta occupazionale in riferimento al perimetro Callmat.
La mancanza di un piano industriale e i ritardi nei pagamenti degli stipendi rappresentano un problema sempre maggiore per la Telco. In questo caso le perplessità arrivano dai sindacati che esprimono le proprie perplessità sulle dimensioni della società che è subentrata Nextaly come controllante, e che si chiama Telnet. La criticità evidenziata dai sindacati è quella di una monocommitenza con FiberCop.
Ci sono anche crisi aziendali che hanno avuto sviluppi positivi.
È il caso di Almaviva Contact, che sta ricollocando i lavoratori come previsto da un accordo sottoscritto a dicembre 2023. Al momento sono state completate le sessioni informative di primo orientamento in tutte le Regioni, con la partecipazione della quasi totalità dei lavoratori. Sono stati realizzati i colloqui di assessment con la partecipazione della quasi totalità dei lavoratori, e sottoscritti i relativi patti di servizio per circa il 95% di loro. Proseguono inoltre le misure di accompagnamento al lavoro in Calabria e Lombardia, e la formazione finalizzata all’autoimpiego, in particolare in Lombardia e Sicilia, unitamente all’attività di scouting delle opportunità occupazionali e incrocio domanda e offerta e di Supporto all’autoimpiego.
Nel frattempo è stata aperta la procedura di licenziamento collettivo per 504 lavoratori (oggi 494). L’azienda ha comunicato che si renderà disponibile per contribuire ad attenuare l’impatto sociale, e a proporre l’assunzione entro il primo semestre 2025 presso le società del Gruppo ai 40 lavoratori che, al termine della più recente sessione del programma di riqualificazione professionale, hanno raggiunto la certificazione IT, oltre ai 40 già assunti.
Nel caso di Abramo Customer Care la Regione Calabria ha attivato un bando per incentivare le assunzioni di lavoratori in cassa integrazione, grazie a una commessa affidata alla Regione Calabria dalla Zecca di Stato. TIM ha affidato le proprie commesse a Konecta, così come FiberCop, sulla base della disponibilità della stessa ad acquisire le persone operanti in Calabria e Sicilia sulla commessa, a parità di condizioni. Il Gruppo Konecta, preso atto dell’assegnazione del servizio sulle commesse FiberCop e BO Business, ha avviato i confronti territoriali con le OO.SS. per procedere a una tempestiva assunzione dei lavoratori.
L’altro tema, nel settore dei call center, è quello dell’intelligenza artificiale e delle ricadute che potrebbe avere sui livelli occupazionali.
“Molti ne parlano, ma l’applicazione della vera e propria intelligenza artificiale è ancora molto blanda,” continua Alessandro Faraoni. “È chiaro che le aziende stanno incominciando a utilizzarla. Sotto alcuni aspetti ci sono attività che possono essere fatte direttamente con la macchina piuttosto che con l’essere umano, oppure possono essere utilizzati sistemi di intelligenza artificiale a supporto, che quindi mettono in condizione tutti i lavoratori di avere le stesse informazioni tramite pop up, colmando la differenza di livello. Si tratta di una tecnologia che di certo sarà molto presente nei nostri settori. Dobbiamo affrontare questo tema affinché ci sia una vera e propria contrattazione tra la parte sindacale e l’azienda, in modo che l’intelligenza artificiale diventi un supporto e non una sostituzione dell’essere umano”.
Se da un lato l’intelligenza artificiale rischia di essere una concorrente, dall’altro sta diminuendo la concorrenza dei call center all’estero. Le condizioni sono cambiate e alle aziende italiane sembra convenire sempre meno.
“Oggi non c’è più convenienza nel fare offshoring come si faceva una volta, e quindi portare all’estero la commessa,” spiega Faraoni. “Anche perché stiamo insistendo da questo punto di vista con i vari governi che si sono succeduti: gli spieghiamo che paghiamo due volte il prezzo di questa cosa, perché assegniamo le commesse ad aziende che in qualche modo ricevono anche sostegni in Italia. Queste poi portano il lavoro all’estero, danneggiando i lavoratori italiani e il Paese per la seconda volta, magari mettendo in cassa integrazione i lavoratori italiani. Anche questo è un giro poco virtuoso da cui dobbiamo uscire: noi dobbiamo pretendere che se le aziende in qualche modo vengono sostenute, e quindi decidono di intraprendere e di fare imprenditoria in Italia, è in Italia che devono tenere il lavoro”.
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Photo credits: molfettalive.it
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