Una bottiglietta d’acqua: potremmo permettercela se conoscessimo il vero costo?

Dietro a ogni sorso d’acqua c’è tantissima plastica; non parliamo solo di ambiente e salute, ma anche dei nostri soldi, della differenza fra il prezzo e il costo, e delle ampie maglie in cui sguazza la speculazione

Una bottiglietta d'acqua con decine di sue simili

Una bottiglietta d’acqua, ferma in frigo o su uno scaffale, è una cosa semplice, a vedersi. A farsi, molto meno, anche analizzando solo una parte della filiera, ed escludendo tutta la questione dei materiali necessari a realizzarla.

Infatti parlare di tutto il ciclo della plastica, la componente più utilizzata per conservare gli alimenti (liquidi o solidi che siano), sarebbe impossibile nello spazio di un singolo articolo: dovremmo partire dalla proverbiale Gibilterra – in questo caso i Paesi fornitori del greggio – e fare il giro del mondo in sole 80 frasi, per restare entro i confini della leggibilità, toccando argomenti complessi come il peso del petrolio nell’economia mondiale e nelle vite di centinaia di persone. Tematiche che non possono essere accennate, ma che richiedono adeguate analisi e approfondimenti.

Per questo, stavolta, ci concentreremo solo sull’ultimo tratto percorso da una bottiglietta di plastica: dalla fabbrica (in cui viene confezionata, etichettata e riempita) al suo acquisto, passando fra le definizioni di costo di produzione, prezzo al pubblico, speculazione.

Quanto costa produrre una bottiglietta d’acqua?

Partiamo dalla base, che più base non si può: quanto costa l’acqua?

La risposta immediata è: molto poco. Meno dei 50 centesimi che infiliamo nel carrello prima di fare la spesa. Spesso il prezzo al pubblico di una bottiglia d’acqua da mezzo litro spazia fra gli 0,30 e gli 0,50 centesimi per singola unità, se parliamo della grande distribuzione – ovvero dei supermercati, che sono anche il punto di acquisto più diffuso per chi abusa dell’acqua in bottiglia.

Per creare una bottiglia e riempirla d’acqua sono necessari solo tre secondi; in termini di lavoro umano, 0,0756 centesimi. Tirando le somme, arriviamo a 84 euro all'ora.

Si potrebbe pensare che il prezzo ridotto sia dovuto allo sfruttamento di uno o più anelli della filiera produttiva, ma non è così. Il prezzo accessibile si basa in buona parte su una spesa produttiva assai contenuta, dovuta a due fattori principali: il primo è l’economia di scala, che permette di abbassare il costo unitario di un bene quando esso viene prodotto in quantità ingenti; il secondo è la concessione delle sorgenti, che rientrano nel patrimonio demaniale dello Stato italiano, a un prezzo quasi simbolico.

Il passo successivo riguarda l’involucro, cioè il PET (polietilene tereftalato), ovvero quello che chiamiamo “plastica” (ne esistono, in realtà, diversi tipi, non tutti riciclabili nello stesso modo), usato diffusamente per conservare liquidi a uso alimentare. Per l’Italia, le aziende e-commerce principali che lo lavorano, in linea con le direttive europee vigenti, sono Materie-Plastiche.com, PlasticFinder e ChemOrbis, che pagano in media 480 euro per ogni tonnellata di PET, da cui verranno ricavate circa 30.000 bottiglie da 1,5 litri (per un costo pari a 0,016 centesimi a bottiglia).

A questo costo aggiungiamo 3 MWh di energia elettrica necessaria alla lavorazione di ogni singola tonnellata, che monetizziamo in 300 euro, arrivando a 780 euro per la produzione di 30.000 bottiglie e un prezzo cadauna di 0,013 centesimi (arrotondati dai reali 0,0126 centesimi). Infine, sommiamo il costo dell’acqua, ovvero la concessione d’uso della sorgente e il controllo (spesso uno solo, eseguito da un’università) della sua potabilità; percentualmente, il prodotto che pensiamo di stare acquistando incide solo per l’1% sul costo totale (circa 0,002 centesimi per litro).

Ultima voce, il costo orario dei dipendenti, che appartengono ai settori del confezionamento (lavorazione Gomma/Plastica, 27,31–30,58 euro/ora), imbottigliamento (settore Alimentare, 27,73 euro/ora) e trasporto (settore Logistico, 24,81–30,11 euro/ora). Prendendo in riferimento i CCNL attualmente vigenti, il prezzo orario medio (netto) è di circa 28 euro/h per ogni dipendente coinvolto (facendo una media fra tutti). Ma per creare una bottiglia e riempirla d’acqua, secondo i dati reperibili in rete, sono necessari solo tre secondi (0,0009 ore; anche in questo caso, calcoliamo la media delle unità pronte alla vendite create entro un’ora di tempo). Tirando le somme, arriviamo a 84 euro all’ora; ma la realizzazione di una singola bottiglietta costa, in termini di lavoro umano, 0,0756 centesimi.

La somma di tutti questi costi (materia prima, energia elettrica, acqua dalla sorgente, lavoro umano) ci porta a un totale di 0,1066 centesimi per bottiglia.

Che cosa paghiamo acquistando una bottiglietta d’acqua

Quando abbiamo sete, siamo in giro, non abbiamo con noi la borraccia e non ci sono fontanelle a portata di mano, ci guardiamo attorno in cerca di un negozio di alimentari, un bar o un ristorante per acquistare dell’acqua, che siamo convinti sia il bene che ci verrà davvero venduto.

Non è così, e non solo perché in percentuale stiamo acquistando il packaging (di cui, peraltro, non sapremo cosa fare nel giro di pochi minuti). Quello per cui abbiamo pagato – anche a caro prezzo – non è l’acqua, ma le microplastiche sospese al suo interno. Uno studio della Columbia University, pubblicato nel gennaio 2024 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha attestato e dimostrato una preoccupante presenza di micro e nano plastiche nell’acqua in bottiglia, in valori compresi fra le 110 e le 370 mp/l (mila parti per litro).

Per contro, l’acqua del rubinetto potrebbe idealmente non contenerne nessuna; ma per essere realisti, a livello europeo i dati in nostro possesso attestano la presenza di microplastiche nell’acqua potabile domestica in un intervallo compreso fra le 10 e 100 particelle per litro, e una media globale stimata attorno a 40-60 particelle per litro.

Il motivo è intuitivo: l’acqua del rubinetto non entra mai a contatto con la plastica, quella imbottigliata sì. La plastica è un materiale fantastico, ma il calore e la luce solare lo degradano, scomponendolo in pezzi minuscoli; chi movimenta le bottiglie di plastica contenenti acqua deve rispettare severe norme di sicurezza, fra cui non lasciare le confezioni sotto il sole o in luoghi con temperature troppo alte, pena il sequestro del bene e il pagamento di una multa salata.

Ma poi c’è sempre chi beve dalla bottiglietta lasciata in auto per giorni.

Da 50 centesimi a 5 euro: quando sull’acqua affiora la speculazione

Adesso che abbiamo un’idea di quanto costa produrre una bottiglietta d’acqua, non possiamo non chiederci come mai al concerto, in aeroporto o in aereo siamo arrivati a pagare cifre esorbitanti per 0,5 ml di acqua. Perché una bottiglia d’acqua, al supermercato, costa 15 centesimi; al bar costa 1 euro; al ristorante o all’hotel può arrivare a 3 euro, e all’aeroporto fino a 5 euro (per fortuna in molti aeroporti europei ed extraeuropei è facile trovare dispenser di acqua con cui riempire gratis la propria borraccia, ma in Italia questa opzione è ancora poco diffusa).

La bottiglia è sempre la stessa e il marchio anche; ma quando abbiamo cambiato il suo posto è cambiato il suo valore.

Il rincaro sfugge a qualsiasi logica e giustificazione, ma ha un nome ben preciso: speculazione. Uno dei casi più emblematici accaduto in Italia è quello legato all’acqua di Chiara Ferragni, venduta per centinaia di euro. Intanto, che acqua era? Si trattava di Evian, nota per essere tra le acque più adatte da dare ai neonati, ma più per affermazione della stessa azienda (il gruppo agroalimentare Danone) che per ragioni documentate. Il marchio francese non è nuovo a collaborazioni firmate per le sue acque in edizioni limitate che, essendo da collezione, non devono essere consumate.

Se le acque di lusso sono un discorso a parte, perché si rivolgono a un pubblico di nicchia (collezionisti, ma anche sommelier dell’acqua), quando in un determinato luogo ci viene impedito di portare con noi dell’acqua, che però troveremo in vendita a un prezzo non equo e non accessibile, siamo davanti a una speculazione portata all’eccesso.

Siamo molto oltre le logiche di mercato, che per natura prevedono la speculazione nei casi in cui la richiesta di un bene è particolarmente alta; è una pratica tollerata, ma l’acqua non è un bene, è un diritto umano inalienabile; non a caso, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato l’accesso all’acqua pulita e igienica come un diritto umano universale nel 2010 (risoluzione A/64/L), definendolo essenziale per la vita e la dignità umana.

Questo spiega, in parte, perché lo Stato non lucra sull’utilizzo delle sorgenti, sia da parte dei privati cittadini, sia da parte delle società, ma soprattutto definisce senza mezze misure chi impedisce l’accesso all’acqua da parte della popolazione civile. Perché oggi succede anche questo.

L’acqua in bottiglia la paga l’ambiente (e la nostra salute)

Il prezzo di acquisto non è che la punta dell’iceberg del reale costo di un oggetto: l’immagine del blocco di ghiaccio è calzante perché, se la parte visibile è quella che colpisce e spaventa di più, è il sommerso che dovrebbe destare attenzione.

Se dentro ogni sorso di acqua in bottiglia ci sono migliaia di microparticelle di plastica, dietro la sua produzione c’è un impatto ambientale devastante. Secondo uno studio dell’Università di Barcellona, ogni bottiglia d’acqua richiede un consumo di risorse naturali 3.500 volte superiore rispetto a quanto richiede rendere accessibile l’acqua pubblica.

Oltre all’uso (che è troppo spesso abuso) delle risorse naturali c’è l’impatto sugli ecosistemi, che devono gestire l’estrazione e la lavorazione delle componenti, il trasporto via mare del greggio, il consumo di energia elettrica per la creazione del PET e la lavorazione del packaging; poi di nuovo il trasporto e, dulcis in fundo, lo smaltimento del rifiuto (non parliamo nemmeno di recupero e riciclo, fermiamoci a quello).

Ognuno degli ecosistemi toccato da questa filiera deve gestire un impatto fino a 1.400 volte superiore (concetto diverso dal consumo di risorse naturali citato due capoversi fa) a quanto gli verrebbe richiesto se l’acqua venisse canalizzata dalla sorgente fino al rubinetto di casa.

A livello di emissioni di CO₂, uno dei gas clima-alteranti presenti in quantità eccessive nella nostra atmosfera, il ciclo di vita della plastica (produzione, trasformazione, trasporto, smaltimento) rappresenta il 3,4% della quantità prodotta su base annuale; una percentuale destinata a triplicare entro i prossimi 30 anni. In un certo senso siamo arrivati a ritenere che estrarre del liquido invecchiato per milioni di anni, trasportarlo da una parte all’altra del Pianeta, dargli un forma particolare e riempirlo d’acqua sia preferibile ad alzarci dal divano, aprire il rubinetto e riempire un bicchiere di vetro o una borraccia.

Guardando a noi stessi, la nostra salute è a sua volta la valuta con cui paghiamo l’acqua in bottiglia; più ne consumiamo, più inglobiamo plastica nel nostro sangue, che passeremo in eredità ai nostri figli attraverso spermatozoi e ovuli.

In situazioni ideali, una bottiglia d’acqua costa poche decine di centesimi, è vero. Ma pensiamo davvero di potercela permettere?

 

 

 

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Photo credits: sorgesananews.it

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