Un concerto: potremmo permettercelo se conoscessimo il vero costo?

La tipologia di evento di maggiore successo nel mondo dello spettacolo richiede di mettere in moto una macchina organizzativa costosa e articolata, con diversi punti in ombra. Ne parliamo con Giordano Sangiorgi, presidente Audiocoop, e Fabio Scurpa, referente SLC-CGIL

Il montaggio del palco di un concerto

Quanto costa oggi un concerto?

Spoiler: più di quanto si immagina. E non parliamo solo di biglietti a 70 euro o delle polemiche su TicketOne. Dietro le luci sul palco c’è una macchina fatta di permessi, tecnici, promozione, rischi, e turni massacranti. Per raccontare cosa succede davvero dietro le quinte del live italiano abbiamo parlato con Giordano Sangiorgi – presidente di Audiocoop, fondatore del MEI e coordinatore del Tavolo istituzionale Musica, interlocutore del Governo e del Parlamento per la legge sulla Musica – una delle voci più autorevoli del settore indipendente, e con Fabio Scurpa, referente di SLC-CGIL, da sempre al fianco dei diritti dei lavoratori dello spettacolo.

“Non me lo posso permettere” cantava Caparezza in un ritornello diventato tormentone nel 2014, ma che oltre dieci anni dopo è realtà, elencando con ironia tutto ciò che rimane fuori portata per chi fatica ad arrivare a fine mese. Oggi quel ritornello è il pensiero di migliaia di artisti che – dovendo organizzare un concerto – si ritrovano a fare i conti con risorse economiche sempre più scarse. E se Atene piange, Sparta non ride: anche per il pubblico da tempo i concerti sono sempre più cari.

Se consideriamo solo il costo del lavoro umano, in media un’ora di concerto mobilita, in termini di valore, tra i 1.000 e i 2.000 euro.

In più, negli ultimi anni il settore è vittima di un paradosso: se da una parte gli spettatori lamentano un aumento dei prezzi (dal 1981 al 2012 c’è stato un rialzo del 400%), dall’altra gli addetti ai lavori devono far fronte a una coperta che è sempre più corta. Oggi sembra quasi incredibile pensare che, nel 1965, assistere a un concerto dei Beatles al Vigorelli di Milano potesse costare al massimo 3.000 lire.

I conti in tasca alla musica: quanto costa organizzare un concerto

Organizzare un grande evento come un concerto, in Italia, è un’impresa molto più economica che artistica. Anche un live di media portata, come uno organizzato in un palazzetto da duemila posti, può richiedere una spesa di 60.000 euro di budget totale. Dall’affitto della location, che può costare dai 3.000 ai 10.000 euro, passando per il cachet degli artisti – variabile a seconda della fama – che va dai 500 euro per le band emergenti fino a oltre un milione per gli artisti internazionali.

A questi calcoli si aggiungono i costi tecnici, necessari per retribuire tutti coloro che contribuiscono a creare la magia di un concerto e che spesso rimangono invisibili – audio, luci e palco – che possono superare i 15.000 euro. E ancora, permessi, licenze, assicurazioni, sicurezza e staff, che incidono sulla realizzazione di un evento del genere per altri 10-15.000 euro (fonte: SIAE).

Dopo aver fatto più di un preventivo sui principali siti che si occupano dell’organizzazione di eventi di questa portata, se consideriamo solo il costo del lavoro umano, in media un’ora di concerto mobilita, in termini di valore, tra i 1.000 e i 2.000 euro.

In un evento medio vengono coinvolte almeno 30 persone. Cercando di raggruppare le fasce orarie dei compensi per i lavoratori, guadagnano tra i 15 e i 25 euro l’ora gli addetti alla sicurezza, la biglietteria, la logistica e l’accoglienza. Backliner, tecnici luci, montatori e rigger percepiscono invece dai 30 ai 50 euro l’ora; il compenso per i fotografi, gli assistenti di produzione, gli stage manager e i fonici si aggira sui 40-60 euro l’ora in media. Infine, l’artista (o la band) che può arrivare a prendere fino a 1.000 euro per un’ora di performance. Dunque, un’ora di concerto in Italia muove molto più di quello che si vede sul palco.

Da non tralasciare anche la parte della promozione, un vero e proprio capitolo a parte. Tra affissioni, pubblicità online, video e ufficio stampa, si può arrivare facilmente a 10.000 euro solo per far sapere al pubblico che l’evento esiste. E bisogna considerare anche gli imprevisti: maltempo, problemi tecnici o modifiche dell’ultimo minuto richiedono un margine di sicurezza del 10-15% sul budget.

Tirando una riga per fare il totale, per rientrare delle spese ogni artista deve riuscire a vendere circa 1.500 biglietti a 40 euro ciascuno. Sotto questa soglia, l’evento potrebbe andare in perdita.

Il rialzo dei prezzi poi è dovuto anche ai rincari delle materie prime e dei costi energetici, oltre a fenomeni come il secondary ticketing, il dynamic pricing – un meccanismo che rivede il prezzo del biglietto a seconda della domanda – e il bagarinaggio. Ma c’è di più: secondo quanto emerge dalla newsletter Vale tutto di Selvaggia Lucarelli, gli artisti sarebbero vittime, ma anche carnefici di una dinamica di mercato in cui i promoter assumono il rischio e usano strumenti – come i link riservati per acquistare biglietti – per “riparare” il piano economico dell’evento. Così Elodie, Sfera Ebbasta, Luchè e altri offrono davvero biglietti a 10 euro tramite un link “segreto” su TicketOne, accessibile ma non pubblico: si tratta di una strategia per riempire settori vuoti senza svendere apertamente, mantenendo l’immagine dell’evento e creando un senso di esclusività.

Lo sfruttamento dei lavoratori dei concerti

Insomma, ciò che gira intorno all’organizzazione di un concerto è un universo di fattori.
Questo mondo lo conosce bene Fabio Scurpa (SLC-CGIL), a cui abbiamo chiesto quali sono le condizioni delle categorie che lavorano nel settore, oggi.

“I lavoratori che gestiscono i palchi e gli eventi musicali sfuggono molto al controllo e al rispetto dei loro diritti, ma soprattutto al rispetto dei turni” dice Scurpa, e aggiunge: “Fanno orari lunghissimi, secondo noi con una retribuzione forfettaria che non tiene conto dei riposi, della giornata lavorativa con l’orario e le pause giuste”.

È un settore in cui spesso chi ci lavora si sposta di notte, dopo una giornata lavorativa, per poi rimettersi a lavorare. C’è una forte deregolamentazione, l’uso delle cooperative è un’abitudine e, come capiamo da ciò che racconta Scurpa, la SLC-CGIL soltanto adesso sta riuscendo a far applicare una normativa più stringente. Stiamo parlando della comunicazione di inizio di un concerto, o di un appalto.

“Chi viene ingaggiato per un concerto di tre giorni viene retribuito con un cachet complessivo” spiega Scurpa, sottolineando però come questa somma “non tenga conto delle pause, dei riposi, degli spostamenti e delle maggiorazioni che i lavoratori dovrebbero prendere dopo una determinata soglia di ore di impiego al giorno”.

Concerti: meno scelta, meno denaro. Così la musica muore

In un momento in cui il dibattito sui costi dei concerti si concentra quasi solo sul prezzo dei biglietti, abbiamo voluto spostare lo sguardo dietro le quinte, parlando con una delle figure più autorevoli del settore indipendente italiano. A Giordano Sangiorgi abbiamo chiesto: è davvero possibile oggi organizzare un concerto in cui tutti vengano pagati in modo equo? E se no, perché?

“Oggi c’è questa tendenza ai grandi numeri, ai grandi prezzi, a un’offerta che prosciuga le risorse dei ragazzi e dei consumatori” sottolinea Sangiorgi, e prosegue: “In più, interrompe anche la carriera di artisti importanti del settore big delle major, oltre che occupare in maniera militare tutti quei piccoli spazi che le realtà indipendenti ed emergenti italiane si erano create, e che si stanno piano piano perdendo e diminuendo, sia con i club in autunno, sia con i festival in estate”.

Come presidente Audiocoop, fondatore del MEI, il coordinamento delle etichette indipendenti italiane, e già coordinatore del tavolo Musica, Sangiorgi mantiene stabilmente un dialogo con le istituzioni. Ma come si sta muovendo il Governo in questa situazione?

“Attualmente, per quanto riguarda la nostra realtà, siamo in una fase di approfondimento. Ha circolato proprio adesso, in questo periodo, il nuovo codice dello spettacolo dal vivo che si aspetta da 30 anni” risponde Sangiorgi. E aggiunge: “Verificheremo a ottobre tutte le proposte di integrazione e di modifiche che riguardano le realtà musicali, che vanno dal produttore al lavoratore precario. Noi avremmo voluto che il codice, come da promesse, fosse varato entro quest’anno. Così non è, quindi lavoriamo affinché venga varato entro la fine della legislatura”.

Passando al secondary ticketing, poi, il danno è evidente. Sangiorgi utilizza una metafora per descriverci quello che accade per via di questo meccanismo. È come entrare in un supermercato e – su uno scaffale dove ci sono varie offerte – trovare solo quattro o cinque prodotti delle stesse marche. Chi domina il settore non permette agli altri di diventare un’alternativa, non lascia più spazio.

È quello che è già accaduto con la discografia, dove i tre marchi occupano oltre i tre quarti dello spazio per le loro produzioni, anche se queste ultime sono per l’80% indipendenti” spiega Sangiorgi. “Così come la piattaforma Spotify monopolizza il digitale europeo, emarginando tutto il settore indipendente ed emergente”. La stessa cosa sta accadendo con il live, quest’anno – secondo Sangiorgi – in maniera emblematica.

A vantaggio di tutta la filiera, infatti, sostiene il direttore del MEI, dovrebbe esserci un calmieramento dei prezzi e delle spese, oltre a una valorizzazione della musica non in termini di numeri, ma di qualità.

“In un Paese come il nostro, che si sta impoverendo, il rischio è che molti giovani abbiano i soldi solo per un grande concerto, e non gli rimanga nulla per i medi” dice. Per lui è ciò che rimane fuori – tutto quello che non emerge – che in realtà spesso fa innovazione musicale. Ci spiega che un giovane che fa nuovi brani non ha le risorse che c’erano quando esisteva il mercato fisico: oggi va su Spotify e non incassa nulla, il pagamento dopo mille ascolti è del tutto irrisorio, anche una canzone di un cantautore che va contro le mode correnti del pop, che dura più di due minuti, magari con un messaggio impegnato e che inserisce addirittura nei brani degli assoli.

Il doppio mercato della musica dal vivo

Secondo Sangiorgi, ormai ci sono due mercati.

Uno è quello dell’intrattenimento musicale per migliaia di persone che si ritrovano come in un rito – in un grande posto, riprendendo con i cellulari quello che avviene, e che canta con il cantante ogni canzone, come in un grande karaoke. Dall’altra parte c’è il concerto dove invece la gente va ad ascoltare ciò che avviene, e che è un fattore più culturale che di intrattenimento. Il primo sta sovrastando il secondo.

“Lo si vede dai festival organizzati da tv e radio, dove addirittura sono del tutto scomparsi dal palco i musicisti” dice, evidenziando che “è solo un continuo loop da un brano all’altro con la presenza di un cantante, o al massimo di qualche balletto.”

Si tratta di una situazione strutturale a cui – in ogni caso – solo il governo italiano potrebbe far fronte. Come sottolinea Sangiorgi, l’Unione europea, di fronte a questi nuovi fenomeni, non ha saputo legiferare in modo da tutelare i prodotti nazionali e identitari. Con la direttiva Barnier e la liberalizzazione del diritto d’autore, l’UE ha dato libero spazio all’ingresso delle piattaforme digitali, senza alcun vincolo. Il risultato?

Una musica omologata, tutta uguale, che si consuma secondo certi criteri che sono quelli del mercato commerciale” sostiene Sangiorgi. Al momento, infatti, le piattaforme non sono obbligate a pagare le tasse nel luogo in cui operano, né a reinvestire i ricavi nel settore musicale per i giovani, come accadeva al contrario in passato per i produttori e i distributori. Inoltre, l’Unione europea non ha obbligato queste società a cedere la metà delle quote agli Stati che ospitano il loro servizio. Fino a quando il mercato era più nazionale, l’aver creato una sigla di etichette indipendenti ha aiutato a sdoganare la loro musica, che fino a 30 anni fa – ci dice Sangiorgi – veniva considerata come musica di serie B.

“Oggi, in un momento in cui il mercato è globale, contiamo molto meno. Ma perché contano meno anche i grandi attori nazionali di questo settore” conclude Sangiorgi. “Pensiamo soltanto alla SIAE che cerca di far pagare a Meta di Zuckerberg i diritti delle canzoni, e fa fatica a farsi rispettare perché, essendo una multinazionale, si permette di snobbare le richieste del principale ente italiano che ha il compito di tutelare il diritto d’autore”.

Forse la domanda da porci non è perché costi così tanto un biglietto per un concerto, ma se vogliamo spendere i nostri risparmi per assistere a un evento di intrattenimento, o se vogliamo scegliere di ascoltare della musica. Qualunque delle due cose possiamo, e vogliamo, permetterci.

 

 

 

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Photo credits: stampalibera.it

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