Di Torino hanno detto

Fondata con tutta probabilità da popolazioni di origine celtica, insediate nel luogo in cui la Dora Riparia confluisce nel Po, Taurasia è ricordata dagli storici romani perché fu la prima città distrutta da Annibale nel 218 a.C. dopo aver valicato le Alpi. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti del più lungo […]

Fondata con tutta probabilità da popolazioni di origine celtica, insediate nel luogo in cui la Dora Riparia confluisce nel Po, Taurasia è ricordata dagli storici romani perché fu la prima città distrutta da Annibale nel 218 a.C. dopo aver valicato le Alpi. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti del più lungo fiume italiano, che scorre imperturbabile nell’antica capitale sabauda, culla del Risorgimento e prima capitale del Regno d’Italia. Ed è proprio questa la tragedia di Torino, più dura di ogni altra sopportata in precedenza, ovvero la città dove si è forgiata l’indipendenza nazionale che retrocede al rango di capoluogo di provincia: il suo posto viene preso da Firenze (1864), in attesa di Roma (1871). Una ripresa lenta per riprendere il governo morale di stessa, associata a una rilevante azione pratica.

A cavallo tra il XIX e il XX secolo, Torino diviene il più importante centro industriale della Penisola: dalla produzione metalmeccanica (basta dire Fiat 1899) a quella dell’energia elettrica (con il sommo piemontese Galileo Ferraris). Sarebbe però pericoloso coltivare un luogo comune, quello di Torino città industriale, che in un certo senso, nell’ultimo mezzo secolo, l’ha danneggiata. È vero, città della Fiat e della Sip; patria del cioccolato, dell’aperitivo, del vermouth, delle caramelle, della moda, del cinema, della radio e dell’aeronautica. Ma c’è molto di più: una vita culturale e artistica che si è sempre svolta intorno a istituti non inferiori a quelli delle altre maggiori città italiane, e una vividezza spirituale che ha coinciso con un alto grado di civiltà.

In questa città, dove svetta la Mole Antonelliana (l’edificio più alto d’Europa fino al 1889, con i suoi 167,5 metri), c’è un particolare tipo di bellezza assai difficile da definire. In cosa consiste il fascino di Torino? È nel suo ordine, nella sua calma armoniosa, nella sua signorilità, nel ritmo degli spazi (come per esempio Piazza Vittorio, la piazza porticata più grande d’Europa, o il mercato di Porta Palazzo, il mercato all’aperto più esteso d’Europa, oppure ancora la Porta Palatina, la più grande porta romana del mondo). Nel suo pudore di ogni ostentazione, nella sua rinuncia ad apparenze futili, nella sua fiducia nelle cose reali; e poi nella solennità del suo orizzonte montuoso, superba difesa concessale dalla natura.

 

La Torino descritta, da Nietzsche a Renzo Arbore

Degna metropoli di una delle più pittoresche regioni d’Italia, purtroppo non è mai stata abbastanza valorizzata dal turismo. Duemila e più anni di storia, un progredire lento ma costante attraverso una lotta tenace e coraggiosa; uno sviluppo urbanistico e un incremento demografico/produttivo che, in ugual periodo di tempo, non hanno riscontro in alcun altro centro italiano; una gentilezza di costumi unita a un’inalterabile capacità di lavoro; una bellezza un po’ severa ma accogliente e cordiale anche per l’incanto dei luoghi circostanti; un singolare equilibrio fra civiltà nordica e civiltà mediterranea: questa è Torino e questo è il suo spirito. Gianni Arpino sentenziava infatti che “quel che succede a Torino si ripercuote sul resto della Penisola con ritardo di tempo”, poiché “Torino anticipa sia i dolori del Paese sia i possibili conforti”. Renzo Arbore ci teneva a sottolineare che “questa è la città che ha scoperto musica e musicisti raffinatissimi in questo genere (il jazz, N.d.R.)”.

Pierluigi Capra ne tracciava l’essenza: “L’immagine di Torino è legata al senso della misura, alla serietà, laboriosità e riservatezza. Virtù noiose che i torinesi praticano con nostalgia, ma fieri del loro ruolo di esempio rigoroso e austero. Torino ha creato ed esportato quasi tutti i suoi primati. Il torinese crea e inventa, ma quando le idee e le realizzazioni diventano popolari, quando delle sue produzioni ne parlano in troppi, fatalmente si ritira. La fertilità creativa dei torinesi è abbondante, si esprime in progetti, intuizioni, invenzioni che vengono poi ceduti ad altre città che ne fruttano la commercializzazione. Di questo molti torinesi si lamentano; in realtà Torino ha ceduto le proprie invenzioni, più o meno consapevolmente e volentieri, perché dei miti non sa che farsene. Li crea, li inventa, li partorisce… e poi li perde senza rimpianti; produce scienza e ricerca, ma non valorizza lo scambio”.

Felice Casorati riconosce i suoi segreti: “Città ordinata, geometrica e misurata come un teorema, enigmatica e inquietante come una cabala, astratta come una scacchiera”, così come Furio Colombo: “Una città facile da usare, ma difficile da capire”. E poi ancora, Torino è la città italiana con il maggior numero di santi sociali, come disse Giovanni Paolo II: “Di santi e di luce, quindi dove c’è la luce occhieggia anche il demonio”. È la città dove è nata la prima scuola serale per operai (1846), come rimarca Antonio Gramsci: “Il suo proletariato ha raggiunto il punto di sviluppo più alto d’Italia. Avrebbe dovuto diventare l’esempio della rivoluzione socialista, il luogo da cui innescare un processo rivoluzionario tale da portare il proletariato popolare, attraverso il conflitto di classe integrale, alla conquista dell’egemonia”.

Secondo Paolo Ormezzano “Torino ha inventato e cresciuto quasi tutto lo sport italiano, disciplina per disciplina. La cosa grave è che Torino è una grande città sportiva, non una città di grandi sportivi”. Torino, inoltre, ha fatto impazzire Friedrich Nietzsche, o quantomeno gli è stata fatale: “Questa è veramente la città che mi occorre. Ma che piazze austere, solenni! Io non so come ciò accada, ma mi si circonda qui di una delicatezza raffinata”. Quindi città misteriosa, magica, poliedrica, multicolore, indifferente, soffusa di giansenismo, “rimasta inafferrabile e alchemica al punto che, per definirla, qualcuno se la sbrigò con due parole: magica”, ci ricorda onestamente Renzo Rossotti.

Ah già, soprattutto seconda, come simpaticamente Bruno Gambarotta ama caratterizzarla: “C’è qualcuno in grado di spiegare l’arcano per cui Torino è sempre seconda in tutto? Il Museo Egizio è il più grande e ricco del mondo, dopo quello del Cairo. La Reggia di Venaria è la più grande del mondo, dopo quella di Versailles. La Mole Antonelliana alla fine dell’Ottocento era il più alto edificio d’Europa, dopo la Torre Eiffel. Forse è soltanto un fatto di educazione, di buone maniere, un cavalleresco farsi da parte, un passi prima lei, retaggio di antiche virtù”. È stata infine il luogo, natìo o adottivo, di alcuni fra i più grandi scrittori e letterati italiani del XIX e XX secolo, tra i quali Edmondo De Amicis, Emilio Salgari, Italo Calvino, Natalia Ginzburg, Norberto Bobbio, Cesare Pavese e Primo Levi e non smetterà mai di stupirci, ancora, futuro prossimo o lontano che sia.

 

 

Foto di copertina by www.lifepare.it

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