Andrea Buti

“Prima di scegliere cosa vuoi fare nella vita, chiediti se sei disposto a scambiare un ruolo da comparsa in una guerra con quello da leader in una gabbia; poi pensa se esiste un’alternativa”

Ri-pensare il lavoro

Siamo homo sapiens, ma anche faber: quindi la nostra natura di primati evoluti è legata alla capacità di fare, pensare e avere una coscienza, tanto quanto a quella di costruire, creare e inventare (che tanto fece infuriare gli dei dell’Olimpo).
Cosa fa, invece, un lavoratore di oggi? Tot giri di vite per “n” volte oppure un tot di email al giorno: non solo non costruisce niente di per sé, ma non si sente neanche coautore di altro. È pagato per muovere le braccia o un po’ di neuroni, nemmeno tutti, ma il suo bisogno di pensare e fare chi lo cura? Qualcuno starà pensando che l’uomo moderno – o, meglio, post-moderno, sia l’homo oeconomicus.
Se mi proietto in avanti, in uno di quegli slanci utopici che purtroppo abbiamo disimparato a compiere, direi che, in un prossimo futuro, potremmo aver capito che era stato un errore costruire una società in cui il lavoro serviva solo a far girare denaro; i mammiferi umani non possono vivere di soli scambi economici.
Se non lo faremo, sarà solo perché ci saremo estinti o imbarbariti al punto tale da non saperci più porre nemmeno questo tipo di domande.

Saremo diventati piacevolmente insensibili; privi di stimoli e di mordente intellettuale. Un epilogo inevitabile, se nessuno si preoccupa di nutrire la mente e l’anima, oltre che la pancia delle persone. Forse smetteremo anche di chiamarlo lavoro, perché questo termine è figlio di una tradizione di pensiero di cui forse abbiamo smarrito la coscienza: pensiamo che lavorare sia naturale, e invece non lo è. Può essere naturale soffrire, faticare, sudare, ma non annichilirsi in una funzione che non produce valore in sé, che non genera senso. Che intossica poco alla volta, ma ogni giorno, rendendoci rane bollite nella mancanza di quel pensiero critico che nessuna scuola o università contribuisce a sviluppare, perché il mercato non lo esige, anzi lo avversa.
Allora, aboliamo il mercato? Se per un attimo buttassimo il cervello oltre l’ostacolo, non rimarremmo sempre bloccati e affascinati dalle nostre stesse credenze: immaginare fa bene. Forse ci salva la vita; di certo lo spirito.

Solo un manipolo di Ulisse moderni è partito per un viaggio senza una meta precisa, esercitando pragmaticamente (e non facendone sterili dissertazioni librarie) una nuova etica da viandante. Penso a Simone Perotti che aveva capito tutto questo con dieci anni di anticipo: il suo futuro alternativo, che altri superficialmente e vigliaccamente ritenevano utopico, oggi se l’è bello che costruito. Penso a David Fiz che passa metà della sua giornata dando libero sfogo alla sua passione di mettere un passo dietro l’altro e l’altra metà a lavorare, penso a dove le gambe l’hanno portato. Penso ai tanti che ho conosciuto in dieci anni di FiordiRisorse e che hanno cambiato radicalmente vita: c’è chi parla solo di capovolgere paradigmi e chi lo fa davvero: tu da che parte stai?
Usciamo dalla retorica dell’edonismo: non c’è proprio nulla di semplice a questo mondo. Di rassicurante ci sono solo gli spot pubblicitari. Viviamo in una complessità che per definizione non si può ridurre se non a patto di pagare il prezzo che stiamo pagando: costruendoci delle piccole isole di apparente felicità in un mare di apatia. Ci hanno fatto credere che sia naturale andare in vacanza o fare un week end per ricaricare le pile che il lavoro ha esaurito; in realtà finiamo solo in un loop in cui la crisi di astinenza si alterna stancamente al beneficio dello “staccare”.

Non credo che Franco Battiato o Ezio Bosso considerassero la loro passione un lavoro. Il problema è pensare che si tratti di menti isolate: io credo che il vero talento sia il coraggio, quello di seguire la propria vocazione, non smettere di sognare, ascoltare il daimon che parla sottovoce e capire le vere priorità.

Forse qualcosa sta cambiando se sempre più persone, annusando il futuro, sentono un olezzo sgradevole e per istinto si spostano, cercando altra aria. Non viene più prima lo stipendio e nemmeno la fissità (che, a pensarci bene, non appartiene nemmeno alle stelle).

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