Antonio Decano

Al lavoro serve una cura di fondo, non rimedi occasionali. Il Jobs Act ha impresso segni forti sul mercato, snaturandolo con la falla dello sfruttamento mascherato da flessibilità. Per ridare dignità ai lavoratori e al mercato non bastano proposte referendarie e sentenze costituzionali.

Era il 2015 quando il decreto legislativo n. 23 introdusse il Jobs Act, riforma che ha profondamente trasformato il mercato del lavoro italiano. L’obiettivo? Aumentare la flessibilità in uscita, consentendo alle aziende di adattare rapidamente il proprio organico alle mutevoli esigenze del mercato: il sistema prevede un’indennità di licenziamento che spazia da 6 a 36 mensilità per le aziende più grandi, mentre si riduce a 3-6 mensilità per quelle con meno di 15 dipendenti.

Il referendum abrogativo del giugno 2025 ha tentato di cancellare la normativa, ma gli italiani hanno scelto di mantenerla. Tuttavia, la storia non finisce qui.

A fine luglio, infatti, la Corte costituzionale (con sentenza n.118/2025) ha dichiarato incostituzionale il limite massimo di 6 mensilità per i dipendenti delle piccole imprese, estendendo il range da 3 a 18 mensilità: una vittoria parziale per i lavoratori.

Cosa significa tutto questo per il futuro del lavoro, specialmente in settori cruciali come l’automotive?

Lavorando in questo comparto, osservo con preoccupazione i dati di Statista: una crescita anemica del 2,5% prevista per il 2025, il 50% dei consumatori che rinuncia all’acquisto di auto nuove, e la Cina che domina sia la produzione che il consumo globale. Di fronte a questo scenario, è lecito chiedersi cosa possano aspettarsi i lavoratori italiani del settore.

La realtà è che molti colleghi rischieranno il posto nei prossimi anni. E qui emerge il vero problema: un’indennità di 3 o 6 mensilità può davvero essere considerata una tutela adeguata? In un Paese con un carico fiscale elevato come il nostro, queste somme si dissolvono rapidamente tra tasse e spese essenziali.

Abolire il Jobs Act non è più un’opzione percorribile – ha ormai ridefinito le dinamiche del mercato del lavoro. Tuttavia, sarebbe auspicabile un intervento del legislatore, o della Corte stessa, per stabilire una soglia minima più dignitosa, magari 12 mensilità, che offra ai lavoratori un reale sostegno nella transizione verso nuove opportunità.

Il lavoro, se realmente vogliamo ridargli un significato, richiede equilibrio tra flessibilità aziendale e dignità umana. È tempo di ripensare le tutele in modo più coraggioso e lungimirante.

CONDIVIDI