Gennaro D’Isanto

Dal food delivery alle fabbriche: su sicurezza e qualità non si scende mai a compromessi

Alla fine di questo articolo forse vi chiederete se quello che avete appena letto sia o meno in linea con dei contenuti di natura manageriale: spero penserete di sì. 

Prendo spunto da una cosa realmente successami durante le feste di Natale – non è storytelling costruito a tavolino – e che mi ha fatto tanto riflettere. Pure innervosire.

Parliamo di food delivery.

Come sempre, per Natale, anche quest’anno sono “tornato giù” dai miei per le feste.

Tra una fetta di pastiera e una di pandoro mi sono ritrovato, mio malgrado, coinvolto nella seguente discussione dopo che il primo l’ha buttata lì così: “Ma perché non ordiniamo una pizza?”.

Io, che come le persone presentii con me sono cresciuto ai tempi in cui si andava a prendere la pizza da asporto e, mentre si aspettava, si facevano due chiacchiere col pizzaiolo e con la signora alla cassa, rispondo che “non ordino più da casa da almeno un anno e mezzo e che non dovremmo farlo perché lo trovo immorale, considerando le condizioni contrattuali ndei rider”.  Risata generale. Provo a far capire, a spiegare. Presento fatti. Argomento. Nulla.

Aggiungo una nota importante: vivo e lavoro in Polonia, dove la situazione non è molto diversa dall’Italia dato che le principali catene di food delivery sono le stesse ovunque, in ogni parte del mondo. Lavoro per un grande gruppo che fa base in Danimarca ma con sedi in tutta Europa, Italia compresa.

I commenti, dopo il mio intervento, sono passati dal drastico “Non mi importa niente, voglio la pizza stasera”, al più democristiano “Cavolo, sarebbe il caso che qualcuno facesse qualcosa”, fino al “Poverini, lo capisco, ma noi cosa possiamo farci?”. Voglio proprio soffermarmi su quest’ultimo commento, su quanto invece noi, come consumatori, abbiamo sempre il potere di fare e cambiare. Non solo politica, istituzioni e aziende sono responsabili nell’evitare che situazioni tipo quella del food delivery selvaggio si ripetano, anche noi come consumatori dobbiamo contribuire per non voltarci dall’altra parte. Con questo non voglio giustificare gli errori (orrori) di politica e aziende.   

E se smettessimo tutti di ordinare il cibo a casa, se smettessimo tutti di comprare vestiti dalle grandi catene di moda low-cost che inquinano e sfruttano la manodopera? Siamo tutti ecologisti e facciamo la spesa nel sacchetto riciclabile perché vogliamo salvare il mondo, ma poi ordiniamo il dentifricio da Amazon facendogli fare qualche centinaio di km perché non ci va di andare al negozio. Una volta ho letto da qualche parte che gli essere umani vogliono cambiare il mondo, ma nessuno vuole cambiare se stesso. Ecco perché il mondo non cambierà mai.

Facendo un paragone con quanto predico al lavoro tutti i giorni: in fabbrica, su sicurezza e qualità, non si scende mai a compromessi. Mai. Anche se questa non è la strada più facile e più veloce. 

Da consumatori dovremmo iniziare a non scendere più a compromessi per il nostro tornaconto personale.

Ci credo ancora, anche perché alla fine, quella sera di Natale, siamo andati a mangiarcela fuori la pizza.

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