Carlo Bisi

Se le aziende non stanno attente, ora saranno le persone a decidere il destino delle organizzazioni, e non sto parlando delle persone di vertice, ma di tutto il team azienda.  

Quando ci troviamo di fronte a un cambio di scenario, dobbiamo chiederci quale reale impatto abbia sulla nostra quotidianità e se e come siamo chiamati a evolvere rispetto alle nostre abitudini personali e professionali. I periodi di crisi economica sono il più classico dei cambi di scenario: nei miei ricordi c’è la crisi del 1986, del 1992, quella della fine degli anni ’90 e quella un po’ più complessa iniziata nel 2008, dovuta a questioni finanziarie globali.

Qual era il punto in comune, il filo conduttore di questi periodi? Lo schema classico di ogni crisi: calo della domanda, rallentamento dei consumi, aziende che scompaiono, aziende che vengono acquisite, aziende che acquisiscono altre organizzazioni e che approfittano della crisi per crescere e diventare più forti.

Altro aspetto comune è che, dopo un certo periodo di tempo, la situazione ritorna a una quasi normalità, con le stesse “regole” di massima che c’erano prima. Chiaro, quindi, che l’impatto delle crisi è sulle aziende; il che, di conseguenza, genera un impatto sulle persone. L’azienda che scompare licenzia, l’azienda che acquisisce “razionalizza” (licenzia): ecco che le persone subiscono ciò che avviene nel sistema economico, giusto o sbagliato che sia. Molti la chiamano “la dura legge del mercato”.

Finché la pandemia del 2020 ha interrotto lo schema, per la prima volta nella storia, invertendo il senso di marcia. L’impatto sulle persone è stato forte – in molti casi anche tragico – e quindi piuttosto devastante, imprevedibile e inaspettato. Ha colpito duramente le famiglie e le relazioni più profonde, ha reso molti di noi consapevoli dei malesseri esistenti in molti ambienti di lavoro e spesso ignorati. In un certo senso ha fatto dire a molti di noi basta, io lì dentro non ci torno. Lo testimoniano in modo oggettivo i dati che riportano un numero mai visto prima di dimissioni volontarie e il picco del fenomeno quite quitting (resto in azienda ma faccio il minimo indispensabile).

Ecco lo scenario contemporaneo: una nuova “piramide rovesciata”, mitico libro di Jan Carlzon. Per la prima volta l’impatto di un periodo critico è sulle persone e, di conseguenza, sulle organizzazioni, che non sono però abituate a una vera reciprocità con le persone. Preferiscono decidere il loro destino senza entrare in contatto con loro. Tutto cambiato, di colpo: se non stanno attente, ora saranno le persone a decidere il destino delle organizzazioni, e non sto parlando delle persone di vertice, ma di tutto il team azienda. Il pensiero ricorrente di chi lavora è completamente ribaltato: se non ho chiaro il mio percorso di crescita, non entro in una nuova azienda oppure lascio l’azienda in cui lavoro adesso; se l’ambiente non è rispettoso, sereno e stimolante, non mi interessa farne parte; se non mi sento valorizzato, cambio aria.

Succede sempre più spesso che siano le persone a scegliere l’azienda e non più viceversa: è un bel salto di paradigma, come diceva Steven Covey. Quel che è certo è che non si possono usare le solite strategie di gestione delle persone di fronte a un salto di paradigma così veloce e dirompente, ed è importante essere consapevoli che non si tornerà a una sorta di normalità ante pandemia. Il salto è stato fatto e non si tornerà indietro.

E ora, cara azienda, eccoci al dunque: cosa pensi di fare, come pensi di rispondere?

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