Silvio Lenares

Quelli di noi allenati ad ascoltare le persone, anche nei gruppi di lavoro, rilevano con facilità nei linguaggi i modelli interpretativi prevalenti che fanno la cultura dell’azienda, al di là delle maschere e dei racconti di facciata.

Riusciamo a vedere come la struttura della violenza è connaturata nel linguaggio che usiamo tutti i giorni per farci una dose di dominanza, per illuderci di avere potere e controllo su altri esseri umani, compresi quelli che diciamo di amare di più?

Direi di no, visto che la maggior parte di noi racconta i fatti che vive generalizzandoli, distorcendoli e cancellandone delle parti, per ridurli a quel livello di complessità che possiamo gestire con il nostro modello di interpretazione della realtà.

Anche se non ce ne rendiamo conto, è questo modello a determinare le parole, le decisioni e i comportamenti.

Quelli di noi allenati ad ascoltare le persone, anche nei gruppi di lavoro, rilevano con facilità nei linguaggi i modelli interpretativi prevalenti che fanno la cultura dell’azienda, al di là delle maschere e dei racconti di facciata.

Quando sentiamo: «Devi fare così, per avere…», «Il comportamento da tenere è…»; «Il problema è…»; «La colpa è di…»; «La causa è che…»; «Quindi la soluzione è…», riconosciamo le espressioni causa-effetto del linguaggio lineare, perfetto nell’addestramento ai compiti semplici, dannoso generatore di scontri su “chi ha ragione” nei contesti complessi e relazionali.

Nonostante i contesti di lavoro siano diventati tutti complessi, i linguaggi lineari sono rimasti gli stessi. La società disciplinare li ha inglobati nel linguaggio prescrittivo (burocratese-impersonale-paraculico).

Tale linguaggio usa i “si deve-bisogna-occorre” per imporre come dovere assoluto la volontà dei capi; spaccia per concetti dei semplici verbi, deprivati del soggetto responsabile e dei complementi, ad esempio: l’ascolto, la comunicazione, la leadership, l’impegno, la collaborazione; condisce il tutto con valutazioni morali (è giusto, è meglio, è necessario, è inconcepibile), per propagandare, come fossero obiettivi concreti, semplici buone intenzioni: migliorare, raggiungere l’eccellenza, creare fiducia, essere più efficaci. Altrimenti…

La minaccia di spiacevoli conseguenze per chi non si conforma, non performa o non piace ai superiori è implicita. Con il ricatto, la gerarchia ha l’illusione di avere il potere di imporre i comportamenti.

Purtroppo i manager, anche se animati dalle migliori intenzioni, difficilmente conoscono linguaggi diversi da questo. Vengono formati (o formattati) nel paradigma del dirigere con i linguaggi prescrittivi e non vedono l’assurdità del dire: «L’empatia, la fiducia, bisogna, è importante».

La comunicazione ricorsiva è di per sé uno strumento pratico. Prima di essere un linguaggio è una posizione percettiva, un modo di vedere le cose, di tenere l’attenzione su come le persone sanno organizzarsi insieme (relazioni), per usare le strutture disponibili (risorse), per i risultati che hanno concordato (scopo).

Ecco un esempio di linguaggio prescrittivo: «La gentilezza è fondamentale per avere successo, nonché per alimentare relazioni efficaci tra le mura dell’ufficio».

La comunicazione ricorsiva, invece: «La gentilezza emerge quando so entrare in relazione con l’altro, osservando le risorse, i modi e gli scopi che abbiamo insieme; la gentilezza emerge quando tengo l’attenzione su quali bisogni abbiamo, su come usiamo ciò di cui disponiamo, e se quel che stiamo ottenendo va nella direzione del nostro scopo».

La comunicazione ricorsiva:

  • parte dalle domande che fanno emergere i bisogni, gli scopi, i criteri da osservare, i vincoli;
  • abilita la capacità delle persone di accordarsi in modo professionale e gradevole, per modificare le relazioni tra di loro e organizzare le strutture disponibili (strumenti, attrezzature, tempo, spazi, competenze, denaro) per avvicinarsi allo scopo;
  • tiene presenti i criteri di risultato e i KPI concordati, per aggiustare la direzione-velocità avanzando verso lo scopo.

Ecco perché quando sento parlare di cambiamento e trasformazione usando il linguaggio prescrittivo mi sembra di vedere qualcuno molto impegnato a pulire un’auto sporca usando del fango d’argilla, perché non ha altro a disposizione e perché qualcosa si deve pur fare.

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