Il fisco italiano non conosce pause

Prendete un premier o un leader di qualsiasi partito, ma anche un intero partito, non ha importanza se lo state “prendendo” in fase pre-elettorale oppure in piena campagna per la corsa alle elezioni oppure in piena attività di governo o di opposizione. Da sempre, uno qualsiasi di questi rappresentanti della politica sostiene, ha sostenuto e […]

Prendete un premier o un leader di qualsiasi partito, ma anche un intero partito, non ha importanza se lo state “prendendo” in fase pre-elettorale oppure in piena campagna per la corsa alle elezioni oppure in piena attività di governo o di opposizione. Da sempre, uno qualsiasi di questi rappresentanti della politica sostiene, ha sostenuto e sosterrà che in Italia occorre una «gigantesca opera di semplificazione» nei rapporti con il Fisco. Ma dalle intenzioni ai fatti concreti, nessuno è mai giunto a destinazione e nessuno è mai riuscito a modificare la situazione del sempre più complicato fisco italiano, della intensa giungla di adempimenti che non consenta pausa, neanche di riflessione, e dalla continua invasione di tali numerosi adempimenti che incidono pesantemente nella vita di tutti i contribuenti, di tutti i cittadini.

Sul tema fiscale, molte organizzazioni si sono adoperate per valutare e confrontare le situazioni di vari paesi nel mondo e l’Italia ne esce sempre con le ossa a pezzi, sia come pressione fiscale, sia come carico di adempimenti e scadenze.

Il rapporto annuale «Paying taxes 2013» della Banca Mondiale, richiamato dalla ricerca «I “lacci e lacciuli” gravanti sulle imprese: il fisco» condotta dalla Fondazione Bruno Visentini, oltre a certificare per l’Italia un total tax rate (comprensivo di tutti i tipi di imposizione tributaria e contributiva) sui profitti d’impresa pari al 65,8 per cento, rende noto che nel 2013 il numero di giorni di lavoro necessari per pagare tasse, imposte e contributi ha raggiunto il suo massimo storico: 162 giorni (ne occorrevano 139 nel 1990 e 150 nel 2000); ne occorrono 130 nella media europea (-24% rispetto all’Italia) e ogni azienda italiana dedica l’equivalente di 269 ore di lavoro l’anno ad adempimenti fiscali contro le 179 ore impiegate in media da un’impresa europea, le 268 ore l’anno della media mondiale, il doppio della Francia, il 60% in più della Spagna, il 30% in più della Germania, 85 ore in più della media dei paesi Ue ed Efta.

Così che ci si accorge, per esempio, che, visitando il sito dell’Agenzia delle Entrate, solo nell’anno 2013, le scadenze fiscali erano riportate in 920 pagine oppure possiamo apprendere, dall’Associazione Nazionale Commercialisti e dalla Fondazione Commercialistitaliani, che nel 2010 (quindi, prima dell’impatto derivante dai duri e numerosi interventi fiscali intervenuti dal 2011) le scadenze erano 888 spalmate su 250 giorni lavorativi e corrispondenti a una scadenza ogni 2 ore, 16 minuti e 12 secondi…figuriamoci quale dato può emergere nel 2015.

Il tutto con quali benefici ? Ci risponde la Corte dei Conti in un’audizione presso la V Commissione Bilancio e la VI Commissione Finanze e Tesoro presso la Camera dei Deputati: nonostante l’abbondante ricorso a misure di contrasto all’evasione, quest’ultime hanno avuto «il comune effetto negativo di aumentare la complessità formale e l’onerosità del sistema, senza comunque riuscire ad incidere sulla grande massa dell’evasione».

E sull’argomento interviene (ormai da tempo) anche l’Ocse che nel rapporto «going for growth 2015» suggerisce ancora una volta all’Italia una serie di interventi e, tra questi, dedica un “pensiero” al nostro fisco. Nello specifico l’Ocse sottolinea la necessità che l’Italia migliori l’efficienza della struttura del fisco semplificando le norme e combattendo l’evasione. Poi quando la situazione dei conti pubblici lo consentirà, l’Italia deve ridurre il peso del fisco sui redditi bassi da lavoro e raccomanda di far scendere il peso della presenza dello Stato nel controllo delle imprese (qui una efficace sintesi pubblicata su Panorama).

Ormai sembra una “caccia al numero senza pausa e senza sosta”. Da Confartigianato, con «Burofisco 2014», apprendiamo che solo nelle ultime due legislature sono state ben 629 le nuove norme in materia fiscale adottate e di queste:

  • appena 72 (l’11,4% del totale) sono servite a semplificare le procedure a carico delle imprese
  • 168 quelle neutre
  • ben 389 hanno aumentato il peso di scartoffie ed adempimenti.

In pratica, dal 2008 ad oggi quasi due nuove norme fiscali su tre hanno aumentato il carico di pratiche “burofiscali”.
L’anno peggiore ? Risulta essere il 2013, con 99 nuove norme che hanno prodotto un impatto burocratico e appena 6 che invece lo hanno ridotto.
L’anno più “felice” ? Risulta essere il 2011 con ben 29 provvedimenti di riduzione del peso burocratico.

Ecco, in questo caso, considerati i molti moniti inviati da varie organizzazioni, organismi, istituzioni, imprese e anche semplici cittadini, sembra proprio che chi debba intervenire in tale importantissimo settore sia in permanente pausa e riflessione. È “L’insopportabile fatica di non far nulla” (Richard Steele, The Tatler, 1709/11).

Ci sono aree della vita che non conoscono pause, altre che sono eterne. Possiamo quindi formulare un doppio invito rivolto ai nostri politici:

  1. prendetevi una pausa dal lavoro in corso per complicare questa area di vita
  2. prendetevi una pausa dalla pausa alquanto lunga e rimettetevi a semplificare questa area di vita

[Credits immagine: Ryan McGuire]

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