La cartiera che non scarta

Ci sono aziende che hanno una fibra forte. E, se si parla di una cartiera, la robustezza della fibra deve essere multipla. Già, perché se da un lato parliamo di una filiera di produzione e di un prodotto come la carta, assolutamente maturi, sotto un altro punto di vista ci vuole “fibra” per resistere ai […]

Ci sono aziende che hanno una fibra forte. E, se si parla di una cartiera, la robustezza della fibra deve essere multipla. Già, perché se da un lato parliamo di una filiera di produzione e di un prodotto come la carta, assolutamente maturi, sotto un altro punto di vista ci vuole “fibra” per resistere ai colpi della crisi che da oltre un decennio ha colpito il settore. Nonostante tutto, c’è un’azienda cartaria veneta che le carte le ha mischiate proprio, facendo carta, ed è riuscita non soltanto a tenere la rotta durante la crisi ma a svilupparsi aumentando il fatturato, mantenendo l’occupazione e riuscendo a internazionalizzarsi per circa il 70% della produzione. Il tutto con 500 addetti in due siti produttivi – Rossano Veneto, provincia di Vicenza, dove ha sede anche il quartier generale dell’azienda, e quello piemontese a Omegna – e un fatturato 2017 di 159,9 milioni di euro con un utile netto di circa 5,2 milioni di euro, in aumento del 19% rispetto al 2016.

Lo ha fatto tenendo i piedi saldamente in Italia e aprendo anche linee produttive basate sulla sostenibilità ambientale spinta; qui usiamo l’aggettivo “spinto” perché, già di default, l’intero settore cartario è da un pezzo sulla strada della sostenibilità. Favini è un’azienda storica, cartaria già dal 1736, e che oltre ai prodotti tipici di tutte le cartiere ha anche tre tipologie di carta in cui si trova “altro” rispetto alla più classica fibra di cellulosa, vergine o riciclata che sia.

 

Le alghe, da problema ambientale ad alternativa alla cellulosa

Il primo materiale usato da Favini per aumentare la sostenibilità della carta furono, 25 anni fa, le alghe che, cresciute a dismisura a causa del processo d’eutrofizzazione delle acque del mare innescato dall’effetto fertilizzante di azoto e fosforo immessi nelle acque marine e prodotto dagli scarichi del settore agro-zootecnico e di quelli civili, infestavano l’Adriatico, laguna di Venezia compresa. Il conferimento in discarica di enormi quantità di alghe divenne rapidamente un problema e allora Favini pensò di utilizzarle come materia prima per la carta: fu lì che l’azienda mise a punto un processo industriale, brevettato, che consente l’utilizzo di materie diverse dalla fibra di cellulosa per la fabbricazione della carta.

Nella produzione della carta, il processo per l’utilizzo di materiali diversi si basa sulla micronizzazione degli stessi, che diventano una farina finissima e sono in grado di sostituire una parte della cellulosa nel processo di lavorazione. Alga Carta, questo il nome del prodotto, fu un successo che l’azienda riprese circa dieci anni dopo usando, questa volta, la farina micronizzata ottenuta dai sottoprodotti di scarto dei processi agroalimentari. E, da allora, l’utilizzo dei materiali differenti dalla fibra è diventato un denominatore comune della produzione della cartiera, usato per arrivare ad altri mercati.

«Nell’ottobre 2012 abbiamo lanciato la carta Crush con la quale si utilizzano una grande varietà di sottoprodotti di scarto dei processi alimentari che per noi diventano materie prime importanti» – ci dice Eugenio Eger, Amministratore delegato di Favini. «E il risultato commerciale, oltre che ambientale, non si è fatto attendere. Evidentemente i tempi sono stati quelli corretti per intercettare tutti i soggetti interessati a valorizzare il concetto del recupero di materia».

In questo caso la sostituzione della cellulosa si fa con un 15% di materiale di “scarto” che sarebbe stato utilizzato come integratore nella zootecnica, combustibile per gli inceneritori, oppure conferito in discarica. E la gamma dei prodotti di “scarto” utilizzati come materia prima è a dir poco vasta. Si va, infatti, dal caffè al mais, passando per la ciliegia, la nocciola, la mandorla, l’oliva, il kiwi e gli agrumi, arrivando fino alla lavanda. «Il concetto che abbiamo voluto introdurre è quello di una sostenibilità a tutto tondo che coinvolga tutto il processo di produzione», prosegue Eger. «Oltre al recupero di materia e all’assenza di Ogm, questi nostri prodotti hanno un 30% di fibra riciclata, sono certificati FSC (Forest Stewardship Council, ossia la certificazione internazionale indipendente che garantisce una gestione corretta e sostenibile delle foreste e la tracciabilità dei prodotti,  N.d.R.) e sono realizzati usando il 100% di energia rinnovabile».

 

Fino a Veuve Clicquot 

Tutto ciò è avvenuto senza incrementi dei costi di produzione poiché la gestione delle materie prime è assolutamente analoga a quella della carta di qualità ottenuta con materie prime tradizionali. Ma è il target d’utilizzo a fare la differenza sul fronte commerciale, per quanto riguarda le nuove carte. La carta Crush, che è venduta in 25 paesi del mondo, è usata per i rapporti di sostenibilità di grandi aziende, ma non solo.

Veuve Clicquot, infatti, saputo che Favini era in grado di usare materiali diversi dalla fibra di cellulosa per carta e cartone, chiese all’azienda di realizzare un cartoncino che utilizzasse le vinacce di scarto della vinificazione per le confezioni della propria linea di champagne Naturally. Da Favini erano già pronti e quindi, in poco tempo, realizzarono il cartoncino che ha una percentuale del 25% di vinacce e il processo di produzione sostenibile è diventato un elemento di comunicazione esso stesso visto che le casa francese ha descritto tutto su un lato dell’imballaggio stesso, usando un’infografica per il processo di produzione del cartoncino. Il contenitore, o il supporto, in questo caso diventa un veicolo di comunicazione per la sostenibilità.

Non è una cosa da poco, ma la sfida nel riuso dell’azienda non si ferma qui. Achille Monegato, Responsabile della Ricerca e Sviluppo di Favini, infatti, studiando la fibra del cuoio ha notato delle analogie con quella della carta e così è nata la prima carta al mondo fatta, anche, di cuoio. La Remake è un prodotto unico nel suo genere: una carta che per il 25%, ossia un quarto, utilizza una fibra derivata da sottoprodotti della lavorazione del cuoio, espandendo così le potenzialità di riuso dei materiali di scarto e facendo fare all’utilizzo di questi materiali un vero e proprio salto di qualità. Di fatto si sono incontrate due filiere produttive differenti, quella della carta e quella della pelletteria. «La nuova carta è prodotta da un mix innovativo tra fibre vegetali e fibre di collagene che rappresenta ciò che noi chiamiamo upcycling, ossia il riuso creativo dei materiali di scarto», prosegue Eger. «Ed è il primo punto d’arrivo della nostra costante ricerca e sperimentazione nell’utilizzo dei sottoprodotti di scarto ottenuti nei processi industriali diversi da quello cartario».

Il cuoio nella carta? Eh, sì.

Per la fabbricazione di Remake si utilizzano le rasature e gli sfridi della lavorazione del cuoio, a concia rigorosamente vegetale per non avere residui di metalli pesanti e cromo – cosa che potrebbe incentivare l’industria della pelle ad adottare processi più ecologici e meno inquinanti – e si ottiene una carta di alto valore adatta anche all’imballaggio di pregio. «Si tratta di un passo importante per noi che ha coinvolto anche il processo produttivo», rincara Eger. «Nel cuoio si trova una fibra che deve “legare” con quella del legno e non fare da riempitivo come nel caso della farina da alghe o scarti alimentari. Per questo motivo il cuoio non deve essere micronizzato, ma sfibrato, e da qui deriva la maggiore difficoltà che abbiamo incontrato nel definire al meglio il processo di produzione».

La nuova carta è riciclabile e compostabile al 100%, aspetto derivato anche dalla scelta dello “scarto” solo ed esclusivamente tra quello trattato con la concia vegetale, mentre il contenuto è derivato al 25% dalla lavorazione del cuoio; il restante 75% è diviso tra il 30% di fibra di cellulosa da riciclo e il 45% vergine, entrambe certificate Fsc. «Dire che Remake è fatta con cuoio è riduttivo sotto il profilo della R&S. Questa carta, infatti, è fatta con il collagene, che è una fibra dalla struttura quaternaria, formata da intrecci di fibre, della quale esistono una trentina di tipi diversi. Si tratta di fibre che hanno una morfologia assolutamente simile a quella della cellulosa e quest’esperienza, secondo me, aprirà la strada ad altri tipi d’accoppiamento tra fibre», specifica Monegato.

 

Risorse Umane vere, non di carta

E se il successo delle carte è frutto delle tecnologie e della ricerca, una buona parte del successo dell’azienda è dovuto anche a una particolare attenzione verso il lavoro. Dal 2009 l’azienda ha adottato un codice etico sia nei rapporti verso l’esterno sia in quelli tra i dipendenti nel quale si legge: «Le risorse umane sono un elemento fondamentale per l’esistenza, lo sviluppo e il successo di un’impresa. Per questo motivo l’azienda tutela e promuove la valorizzazione delle risorse umane allo scopo di migliorare e accrescere le competenze possedute da ciascun collaboratore […], offre pari opportunità a tutti i dipendenti sulla base delle loro qualifiche professionali e delle capacità individuali, senza alcuna discriminazione di religione, età, razza, credo politico, appartenenza sindacale o di sesso».

La specificità dell’azienda l’ha portata a fare scelte nette anche in termini di risorse umane. «Per quanto riguarda gli aspetti specifici green, in linea di massima adottiamo un processo interno di conversione delle risorse che non crea maggiore occupazione», ci dice Jurij Valvassori, Responsabile del personale di Favini. «Si tratta di aspetti per i quali sono diversi i modi di lavorare che portiamo avanti con le risorse interne e con la formazione dedicata».

Il settore cartario ha non poche specializzazioni e ogni cartiera ha la sua specificità con tecnologie proprie, per questo la chiave è la formazione interna. «Ecco perché pianifichiamo in anticipo la sostituzione di coloro che vanno in pensione con l’inserimento di persone che provengono anche da altri settori, con percorsi abbastanza lunghi d’inserimento e di formazione mediante un affiancamento», prosegue Valvassori. Favini fa parte dell’AFC (Associazione per la Formazione professionale Cartaria) ed è legata alla Scuola Interregionale Cartaria San Zeno di Verona alla quale manda ogni anno alcuni suoi dipendenti per la formazione, con una specie di alternanza tra la fase di aula e quella di lavoro in produzione. «Oltre a ciò, abbiamo connessioni con Istituti superiori della zona che ci danno la possibilità di conoscere i neodiplomati nel settore chimico biologico, aspetto che ci interessa in termini di controllo qualità e conduzione dell’impianto di depurazione», continua Valvassori.

Favini è un’azienda dal turnover molto basso, sotto l’1%, ci tiene a specificare Valvassori. «A Rossano le persone non rimangono in cartiera perché la provincia di Vicenza è piena di alternative occupazionali», prosegue. «E la fidelizzazione non è dovuta solo all’aspetto economico ma anche alla formazione, allo sviluppo di carriera, al welfare e al clima e al benessere organizzativo. Si tratta di aspetti che vengono gestiti tutti con grande cura e che sembrano essere vincenti». E poi in azienda sono stati introdotti criteri di ricerca e selezione che danno valore alle soft skill trasversali, posto che un livello minimo tecnico di competenze tecniche in funzione della mansione ci deve sempre essere. «Si tratta di dare peso a valori come la capacità di lavorare con gli altri, la trasparenza, la leadership e la capacità di comunicazione. Ci interessa quasi di più avere delle brave persone che tecnici molto bravi. Sulle brave persone si può costruire tutto», conclude Valvassori.

 

Photo credits: Archivio Favini

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