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L’impresa familiare è un figlio disabile

L’impresa familiare è un figlio disabile

Una metafora forte descrive l'impresa familiare e i rischi a cui va incontro al momento di effettuare un passaggio di generazione.

Luca Marcolin

29 Aprile 2019

Famiglia e impresa sono due istituzioni fondamentali del nostro vivere sociale.

Nella famiglia nasciamo e ci formiamo, troviamo riparo e sostegno per crescere e sviluppare le nostre potenzialità. I genitori, ma anche fratelli, nonni, zii e cugini vari, sono la nostra prima esperienza di vita sociale, e ci insegnano i valori su cui fondiamo il nostro stare con gli altri. La famiglia ci definisce nella relazione che ci unisce; dalla famiglia riceviamo educazione, esperienze, cultura.

L’impresa è l’ambiente di lavoro per antonomasia. Nell’impresa mettiamo in gioco i nostri talenti, forgiamo le nostre abilità, formiamo la nostra professione. Creiamo una comunità di saperi per produrre valore sociale prima ancora che economico. Il ruolo che abbiamo al lavoro definisce gran parte della nostra identità, facciamo quello che siamo e siamo quello che facciamo.

L’impresa familiare e il problema dei cambi al vertice

Quando famiglia e impresa si intersecano diventano famiglia imprenditoriale e impresa familiare. A questo punto accade qualcosa di speciale: due sistemi che spesso hanno obiettivi in contrasto creano un ambiente unico, speciale, capace di valorizzare sia famiglia che impresa. Lo dimostrano studi italiani e internazionali: a parità di dimensione e di settore, l’impresa familiare produce risultati migliori dell’impresa manageriale. I principali motivi sono il coinvolgimento e la passione di chi la guida e una visione di lungo periodo che tiene conto in modo quasi naturale della responsabilità nei confronti della comunità in cui è inserita.

Si dice che un’impresa è familiare quando almeno due persone della stessa famiglia occupano posizioni di responsabilità al suo interno. C’è da dire però che, anche quando l’imprenditore o imprenditrice tiene l’azienda separata dalla famiglia, quest’ultima è capace di influenzarne la gestione con le sue aspettative e con il suo sostegno, con la sua propensione al rischio e le sue necessità di consumo.

Quando chi è alla guida dell’impresa non è più in grado di assicurare continuità e sviluppo si apre la stagione della transizione, del passaggio generazionale. La successione di un leader al vertice dell’azienda è delicata in qualunque realtà, anche in quelle manageriali, ma nelle imprese di famiglia diventa particolarmente cruciale, soprattutto se il terreno non è stato preparato per tempo.

Durante le interviste agli imprenditori di prima generazione (i fondatori) chiediamo spesso quanti figli hanno. La domanda introduce un piccolo gioco per dimostrare che per loro anche l’impresa è un figlio, una creatura a cui hanno dato vita, energie e cure per farla crescere. Quando abbiamo condiviso questa lettura abbiamo fatto notare che l’impresa, però, è un figlio disabile, provocando reazioni perplesse e allo stesso tempo incuriosite.

È disabile, diciamo loro, perché mentre i figli reali possono rendersi indipendenti dai genitori, l’impresa rimane profondamente vincolata alla figura di chi la guida. Se chi è al vertice non la fa crescere, l’impresa rimane completamente dipendente. Ciò accade soprattutto quando l’imprenditore è il fondatore di prima generazione: il rischio è che veda l’azienda come qualcosa di cui disporre a piacimento. “Io sono il creatore!”, ci disse una volta il fondatore di un’azienda, marcando così forte la parola creatore da domandarsi se la “c” la intendesse maiuscola.

Anche nel caso in cui siano presenti persone desiderose di mettersi in gioco e prendersi responsabilità, se l’imprenditore non lo permette non troveranno mai spazio per esprimersi, a meno che non lascino l’impresa. Se le persone più intraprendenti decidono di andarsene e l’imprenditore non prepara il terreno alla stagione che lo seguirà, l’azienda si troverà nella “trappola del fondatore” (Adizes), e sarà destinata a declinare velocemente quando non ci sarà più l’imprenditore alla sua guida.

Il lungo lavoro di preparazione al cambiamento

Il passaggio di testimone diventa, quindi, la dimostrazione di un lavoro che dura tutta una vita. Si tratta di preparare e di prepararsi alla successione, lavorando sulla maturazione delle competenze di chi è coinvolto in azienda o inserendole dall’esterno per trovare un equilibrio dinamico tra spinta imprenditoriale e struttura manageriale.

La guida dell’impresa può essere affidata a un membro della nuova generazione, a un manager cresciuto internamente o inserito dall’esterno, oppure ceduta a terzi. Lasciare il testimone alle nuove generazioni ha senso quando i figli sono in grado di gestire efficacemente l’azienda e quando l’azienda è nel progetto di realizzazione personale dei figli. Non rovinare l’azienda per i figli né i figli per l’azienda, è il nostro motto. Se non ci sono le condizioni per una serena continuità dell’impresa di famiglia, con le nuove generazioni, si può laicamente pensare a percorsi alternativi, come la delega della gestione a manager esterni alla famiglia e la cessione dell’azienda a terzi.

Ma se si vogliono preparare le condizioni perché ci sia la possibilità di una continuità d’impresa attraverso le nuove generazioni, bisogna cominciare per tempo un lavoro di avvicinamento alla responsabilità di vertice. I figli si preparano all’esperienza imprenditoriale ancora prima di entrare in azienda, quando in famiglia assorbono i valori e le esperienze che i genitori riportano a casa dal lavoro. Questa spinta imprenditoriale verrà poi maturata nelle scelte di studio e nelle prime esperienze lavorative fuori e dentro l’impresa, ma soprattutto verrà coltivata anno dopo anno, crescendo in competenze, responsabilità e maturità.

La stagione delle due generazioni (genitori e figli) presenti contemporaneamente in azienda può durare più lustri, e la differenza, nell’ottica della successione, viene fatta dall’evoluzione dei ruoli e delle responsabilità. Se questa evoluzione non c’è, ci si ritrova a distanza di anni con i senior sempre pienamente al comando e i junior incapaci di crescere, e che si ritrovano impreparati quando il tempo è maturo. Questo è il rischio della cristallizzazione.

Per evitare che succeda è fondamentale che ci siano occasioni periodiche di confronto tra generazioni rispetto alle reciproche aspettative su tempi, ruoli, impresa e famiglia. È un dialogo spesso difficile, ma che se iniziato per tempo può permettere quella continuità fondamentale per l’armonia in famiglia e i risultati in azienda.

Photo by www.greenplanner.it