L’inerzia di settembre

Qual è la forza più intensa conosciuta in natura? L’interazione ‘forte’, che tra le altre cose tiene insieme i nuclei degli atomi. I protoni che vi abitano, infatti, hanno carica elettrica uguale e positiva: si respingerebbero, non fosse per l’interazione forte. D’altra parte, le bombe nucleari si generano proprio andando a mettere le mani nel […]

Qual è la forza più intensa conosciuta in natura? L’interazione ‘forte’, che tra le altre cose tiene insieme i nuclei degli atomi. I protoni che vi abitano, infatti, hanno carica elettrica uguale e positiva: si respingerebbero, non fosse per l’interazione forte. D’altra parte, le bombe nucleari si generano proprio andando a mettere le mani nel cuore degli atomi.

Esiste però un’altra forza dagli effetti dirompenti: quella d’inerzia. Isaac Newton ne dà una definizione bellissima: «il potere di resistere attraverso il quale, ogni corpo, in qualunque condizione si trovi, si sforza di perseverare nel suo stato corrente». In altre parole, è la forza che si oppone ai cambiamenti ed è con questa che dobbiamo fare i conti, quando rientriamo al lavoro dopo la pausa estiva. Lo ‘stato corrente’ in cui ci hanno collocato le vacanze è fatto di orari allungati la sera, dormite al mattino, giacche e tailleur chiusi negli armadi, internet frequentata solo per cercare informazioni turistiche o cazzeggiare.

Ora si deve cambiare. Tornano le scarpe serie, il pendolarismo – breve o corto che sia – gli incastri magici tra orari di lavoro e orari scolastici (quest’ultima, naturalmente, vale per chi ha figli. Chi non li ha o ne ha uno solo, provveda o si penta: almeno così mi pare chieda la campagna del Ministero della Salute per il Fertility Day).

La bicicletta lo insegna: ci vuole un piccolo slancio, prima di mettere i piedi sui pedali. Tornare al regime produttivo è la stessa cosa, a parte il fatto che in questo caso la spinta dev’essere molto intensa. Per produrla, questa spinta, possiamo agire su due componenti: quello che facciamo noi, in prima persona, e quello che fanno gli altri, vale a dire i colleghi e altri soggetti che entrano nella nostra quotidianità.

Sulla prima componente il trucco potrebbe essere questo: guardare avanti, almeno sino a ottobre. Bisogna pensare a ottobre come al mese in cui le cose andranno, se non in discesa, quanto meno in pianura. Assurdo? Dipende da come ci giochiamo settembre. L’idea è di fare una lista di cose da risolvere entro la fine del mese in cui comincia l’autunno: riallacciare relazioni con colleghi con cui ci si parla a stento, chiudere delle questioni noiose o proprio balorde, insomma, togliersi di mezzo le grane. Potrebbe essere utile definire bene i conflitti, latenti o manifesti, in cui ci troviamo. Decidiamo che entro il 30 settembre li abbiamo almeno analizzati bene, abbiamo capito chi ne è davvero coinvolto, cosa c’è in ballo e quali sono le conseguenze se non li risolviamo.

«Vabbè – potreste dirmi – ci stai proponendo un settembre infernale». Settembre, in quanto mese del rientro, è infernale a prescindere. Cosa c’è da perdere se lo trasformiamo da mese del faticoso riavvio in mese delle sfide?

C’è ancora la seconda componente, quello che fanno gli altri. Vorremmo che i colleghi ci coinvolgessero nelle loro discussioni. Che non arrivassero all’ultimo dicendoci «scusa, emergenza! Ho bisogno assolutamente che mi fai questa cosa entro cinque secondi». Che ci domandassero «come stai?» e poi ascoltassero la nostra risposta davvero, invece di pensare alle cose di lavoro che stanno per chiederci. Vorremmo che le persone intorno a noi ci sorridessero di più.

C’è un sistema ragionevolmente efficace per far sì che ciò accada: facciamole noi, queste cose. Da bambini ci è stato detto di «non fare agli altri quello che non vuoi facciano a te». Precetto dalle conseguenze nefaste, perché apre la strada al «vivi e lascia vivere» che è sintesi dell’individualismo sfrenato del nostro tempo. Proviamo a comportarci con gli altri come vorremmo facessero con noi, non una volta sola, ma più volte. A chi pensa che questo sia ‘buonismo’, e che in quanto tale sia perdente in partenza, rispondo che questa roba si chiama ‘influenzamento’ e che sembra funzionare spesso e volentieri. Alla peggio, se non va bene, ci saremo divertiti nel vedere le reazioni sorprese dei nostri interlocutori.

Naturalmente c’è un’alternativa a tutto questo. Tenere la testa bassa, la schiena contro il muro, parlare piano e contare i giorni che mancano al ponte di Ognissanti, che cade di martedì (già fatto: a partire dal 12 settembre sono 40 giorni, sabato e domenica esclusi) e poi quelli che mancano alle vacanze di Natale (non lo fate! quest’anno il 25 dicembre cade di domenica… comunque sono 81, e ancora grazie che l’Immacolata viene di giovedì). Spingersi oltre potrebbe essere davvero pericoloso, perché nel 2017 la Pasqua si farà attendere parecchio. Doveste scegliere questa opzione, fate solo attenzione a una cosa: lo ‘stato corrente in attesa delle prossime vacanze’ pare abbia un’inerzia molto ridotta.

In altre parole, dovreste faticare parecchio per rimanerci dentro.

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