Non bastano le lingue per andare all’estero

“Pronto” “Pronto, Kathleen, ciao! Stai bene? Senti, stavamo pensando, qui in ditta: tu che conosci un sacco di gente straniera e hai una rete proprio internazionale, ci potresti dare una mano per vendere i nostri mobili all’estero? “Euh, beh, sì, se volete. Cosa posso fare per voi? “Eh, diccelo tu. L’importante è che vendiamo fuori […]

“Pronto”
“Pronto, Kathleen, ciao! Stai bene? Senti, stavamo pensando, qui in ditta: tu che conosci un sacco di gente straniera e hai una rete proprio internazionale, ci potresti dare una mano per vendere i nostri mobili all’estero?
“Euh, beh, sì, se volete. Cosa posso fare per voi?
“Eh, diccelo tu. L’importante è che vendiamo fuori dall’Italia”.

Me ne sono arrivate diverse di queste telefonate negli ultimi anni. Gli oggetti da vendere variavano tra salumi, pavimenti Made in Italy, olio, pasta o più semplicemente vino. Come se la mia famiglia belga avesse tra i suoi componenti grossisti alimentari, architetti di fama, enoteche di grido e, perché no, qualche buyer di una catena di supermercati. Eh, no. Purtroppo no. La mia famiglia di appartenenza conta sì e no venti componenti, bisnonna inclusa, e questi professionisti non sono proprio presenti nel mio albero genealogico.

Perché allora – agli occhi di qualche imprenditore locale – sembro essere la persona perfetta per costruire la sua rete commerciale estera? Perché loro sono pronti a darmi carta bianca anche quando gli confermo che io di mobili o di salsicce artigianali alla fine non me ne intendo poi più di tanto? Sono così disperati gli imprenditori italiani per pensare che basti una persona che sappia le lingue per caricarsi della speranza di poter conquistare il così tanto desiderato “mercato estero”? Delle volte, mi è sembrato proprio di sì.

L’estero attira perché gli stranieri i soldi li hanno e spesso pagano pure subito. Poi loro amano tanto l’Italia, amano le cose belle, quelle particolari, amano il nostro vino (che poi, ammettiamolo, è davvero il migliore del mondo, no?), per cui alla fine non dovrebbe essere così tanto difficile convincerli questi stranieri a comprare il vero “Made in Italy”.

Invece a me personalmente non sembra così facile. Anche perché l’acquirente straniero ha le sue esigenze e noi italiani dobbiamo pure essere in grado di venire incontro a queste. Per nominarne alcune: in primis dovremmo essere in grado di poter comunicare in qualche lingua straniera con questi potenziali contatti esteri. Perché spiegare con entusiasmo nel dialetto locale la propria storia di famiglia, la passione per il lavoro e tutti i sacrifici vissuti fa sicuramente folclore e poesia, ma il danese medio avrebbe bisogno dello stesso racconto in inglese, non pensate? Avere un’interprete a disposizione aiuta sicuramente ma, per quanto professionista, non trasmetterà mai la stessa grinta di quella che trasferisce l’imprenditore o l’artigiano stesso.

Poi dovremmo avere una conoscenza minima – ripeto minima – della cultura del paese a cui ci vorremmo rivolgere. Del loro modo di vivere, di mangiare, di interloquire con gli altri, insomma del loro modo di essere. Senza avere queste nozioni, uno rischia di non raccapezzarsi più e magari – nella peggiore delle ipotesi – di offendere l’altro. Inutile voler imporre al cliente belga di fare infissi piccoli nella sua casa delle vacanze italiana perché qui in estate fa tanto caldo. Il Belga viene appositamente in Italia per il caldo e per la luce perché si vuole guarire dalla sua leggera depressione che dura 9 mesi all’anno a causa dell’onnipresente grigio in cielo. E dunque gli infissi della sua casa dei sogni, signori, li vuole grandi!

Ci sarebbe anche da pensare al marketing e alla comunicazione per il mercato da “aggredire”. Probabilmente il tutto va fatto in modo diverso da quanto fatto finora per poter vendere i propri prodotti intorno a casa. La strategia va studiata, non inventata. Va chiesto probabilmente l’aiuto ad un professionista con esperienza nella promozione del tuo prodotto in paesi esteri. È chiaro che ogni vignaiolo è straconvinto di fare il miglior vino e questa sua passione e convinzione gli fa davvero onore, ma il mondo è grande, e di bravi contadini ce ne sono tanti. Devi fare dunque in modo che il cliente straniero noti te e non gli altri. Se poi il prodotto è di qualità, sei già un passo avanti.

Fare affari con l’estero significa andarci. Prendere l’aereo, il treno, la propria macchina ed andare. Fare chilometri di autostrada, oltrepassare confini, perdersi in città sconosciute, prendere multe perché non avevi capito le scritte sul cartello stradale, pause in autogrill, discorsi filosofici alle 5.00 del mattino pur di tenere sveglio il proprio compagno di viaggio e continuare a macinare chilometri. Devi andare sul posto, partecipare a fiere ed eventi, organizzare degustazioni in enoteche del posto, spedire campioni gratis, fare telefonate internazionali, farti vedere. Conviene dunque prevedere in anticipo un budget per tutto questo girare. Giusto per non trovarsi a secco dopo appena tre viaggi fatti.

Di conseguenza dovresti saper accogliere i nuovi amici stranieri presso la tua azienda, cantina o bottega. Perché durante le loro vacanze italiane magari vorranno fare un giro proprio da te. Accogliamoli come si deve, facciamo un po’ di ordine intorno casa, lasciamo i figli piccoli dalla babysitter e facciamo sentire gli ospiti a casa. Senz’altro verrai aiutato dal bellissimo territorio intorno a te per far esaltare ancora di più i prodotti che realizzi con così tanta cura.

Se poi alla fine riesci pure a rispondere in tempi brevi alle email che arrivano, preparare i documenti internazionali per il trasporto e fare un servizio post vendita come Dio comanda, sei proprio a cavallo con questo estero. Sì, avrai la soddisfazione di poter trovare le tue scarpe camminando per le strade di Londra, il tuo olio sul tavolo di un ristorante con qualche stella Michelin ed i tuoi mobili nell’ultimo albergo di grido ad Abu Dhabi. E, perché no, con pagamento a 15 giorni dalla consegna.  Ci piacerebbe, vero?

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