Quello che ci aspettiamo gli altri dicano e facciano

“Walk the talk” è quasi un’immagine oltre che un concetto ma anche “predicare bene e razzolare male”, in termini professionali, potremmo definirlo “coerenza tra agito e dichiarato”. E’ un tema antico in realtà, a tal punto che Esopo nel VI sec a.c. gli aveva dedicato una delle sue rinomate favole: “La volpe e il taglialegna”. […]

“Walk the talk” è quasi un’immagine oltre che un concetto ma anche “predicare bene e razzolare male”, in termini professionali, potremmo definirlo “coerenza tra agito e dichiarato”.

E’ un tema antico in realtà, a tal punto che Esopo nel VI sec a.c. gli aveva dedicato una delle sue rinomate favole: “La volpe e il taglialegna”. Si narra che una volpe inseguita da cacciatori si imbattesse in un taglialegna e gli chiedesse di essere nascosta. Il taglialegna le indicò la propria capanna come nascondiglio. Giunti i cacciatori, però, il taglialegna dichiarò a parole di non aver visto la volpe e, gesticolando con le mani, indicò il nascondiglio. Fortuna volle che i cacciatori non badassero ai gesti ma si concentrassero solo sulle parole, mentre la volpe, salva ed indispettita dalla mancanza di coerenza del taglialegna, notò tutto e, andandosene indignata, si rifiutò di mostrare gratitudine al taglialegna.

Tema antico quindi e anche affascinante al punto che, inserendo su google la frase, compare una lunga lista di aforismi.

A differenza di quanto si potrebbe presumere, non tutti inneggiano alla coerenza come ad una virtù.

Oscar Wilde definisce la coerenza come “l’ultimo rifugio delle persone prive di immaginazione”.

Sul versante opposto, un aforisma fatto risalire a Buddha recita “l’unico vero fallimento nella vita è non agire in coerenza con i propri valori”.

Due piccole citazioni per aprire un vaso di pandora dal quale può uscire una miriade di indicazioni di segno opposto ma, cosa che mi ha personalmente colpita, se letti in chiave critica e costruttiva, descrivono ugualmente bene aspetti dell’animo umano e dell’agire umano.

Coerenza in azienda: valore o disvalore?

Da qui sorge spontanea una domanda: la coerenza è un valore o un disvalore? Esprime linearità di principi e di comportamenti o rigidità di pensiero?

Calando il tema a livello aziendale, tornano alla mente le innumerevoli “survey” sul clima aziendale che con cadenza annuale, come le influenze, infettano le mail dei dipendenti con un numero variabile di domande, dalle più generiche riferite alla strategia dell’azienda ai più prosaici temi di retribuzione.

Nella mia personale statistica, costruita su anni di epidemie di survey, ho raccolto una casistica nella quale fra le tematiche che più stanno a cuore ai dipendenti, la coerenza fra agito e dichiarato non solo non manca ma si posiziona sempre fra le “top ten”. Dunque, a livello aziendale, le persone si aspettano coerenza.

Se ne deduce che in questo ambito la coerenza è percepita come un valore e la pratica del cambio di strategie, cambio di direzione, spesso appare come schizofrenia dei vertici aziendali che corrono dietro ad un mercato impazzito, generando un vortice di cambiamenti.

Proprio come in un vortice, il cambiamento risucchia con la sua velocità tutta la comunicazione e l’irreparabile accade: gli avvenimenti sono più veloci del processo aziendale deputato a comunicarli. Le persone non trovano più la coerenza fra le strategie – che erano state divulgate, spesso con grande dispendio di energia organizzativa e fondi economici – e l’agito, figlio di un cambio di rotta che non si è fatto in tempo a comunicare.

Impressioni di settembre

In questo vortice di avvenimenti si arriva così al mese di settembre che, per chiunque viva nella giungla aziendale, è sinonimo di bilanci dell’anno che volge al termine e di riflessioni strategiche per il nuovo anno. L’immancabile survey viene lanciata dai colleghi delle Risorse Umane ed il risultato è sempre quello: dove sono finite le strategie lanciate a inizio anno? Com’è potuto accadere che l’agito si sia discostato in modo così significativo rispetto al dichiarato?

Un’interessante spunto sul tema ci viene anche da uno dei maestri della leadership, Stephen Covey, in un suo libro del 2005, L’ottava regola: dall’efficacia all’eccellenza. In questo scritto propone la propria chiave di lettura relativamente alle problematiche che affliggono le organizzazioni aziendali contemporanee e propone un proprio percorso per trovare una leadership che tenga conto del risultato e delle risorse. Nella sua disamina più volte si focalizza sulla coerenza. La lega all’onestà, al promettere e al mantenere le promesse, alla coscienza.

L a coerenza è anche quella che si manifesta all’interno delle normali conversazioni, quella che ci fa apparire distonico un discorso improntato alla gioia se raccontato con un tono di voce tristemente dimesso; è la coerenza fra linguaggio – corpo – emozione, che tutti noi intuitivamente percepiamo nel discorrere con interlocutori più o meno conosciuti. E’ qualcosa che ognuno di noi coglie senza la necessità di rifletterci sopra. Possiamo quindi sostenere che, da questo punto di vista, la coerenza sia percepibile al di là delle dichiarazioni.

E che ne è della coerenza di noi, persone, quando agiamo nell’universo lavorativo? Che passaggio intercorre dalla coerenza individuale a quella organizzativa e viceversa?

In qualità di dipendenti ci aspettiamo che la nostra azienda sia coerente. A dichiarazioni di principio vogliamo che seguano fatti che siano in linea con le sopramenzionate dichiarazioni.

La coerenza del singolo

E noi? Come siamo disposti ad agire il nostro essere coerenti in ambito professionale?

Nella vita di tutti i giorni siamo abituati a scegliere, in linea con i nostri desiderata e con i nostri principi: se il personal trainer non ci soddisfa ne scegliamo un altro, se il ristorante ci delude non prenoteremo più un tavolo in quel posto, se non amiamo più il fidanzato lo lasciamo.

E se non condividiamo più i valori aziendali, che si fa fa?

Chiediamoci se siamo disposti a venire allo scoperto. Se siamo disposti a dichiararlo nelle opportune sedi assumendoci la nostra responsabilità. E, soprattutto, fino a che punto siamo disposti a spingerci in virtù della coerenza coi nostri principi.

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