Spoiler – “È la mindfulness, bellezza” nel prossimo Senza Filtro

Cos’hanno in comune Jennifer Aniston e Martin Scorsese, George Lucas e Gwyneth Paltrow, Nicole Kidman e Jim Carrey? «Facile», penserete voi. «Sono tutti professionisti che lavorano nel mondo del cinema». E tuttavia esiste un secondo aspetto, forse meno noto, che accomuna sempre più spesso piccole e grandi celebrità del grande schermo. Nata in Oriente e […]

Cos’hanno in comune Jennifer Aniston e Martin Scorsese, George Lucas e Gwyneth Paltrow, Nicole Kidman e Jim Carrey? «Facile», penserete voi. «Sono tutti professionisti che lavorano nel mondo del cinema». E tuttavia esiste un secondo aspetto, forse meno noto, che accomuna sempre più spesso piccole e grandi celebrità del grande schermo.

Nata in Oriente e diretta discendente della tradizione vedica, la meditazione trascendentale è una tecnica meditativa introdotta in Occidente nel 1958 dal guru Maharishi Mahesh Yogi, che dopo aver dato vita a questo metodo fonderà anche un complesso movimento di contorno. Laica, spiritualmente autonoma; rigorosamente aconfessionale: la MT si basa sulla ripetizione di un mantra, che permette al soggetto praticante di raggiungere uno stato di veglia ipometabolico, una consapevolezza senza oggetto e senza pensieri, capace di rinvigorire la mente e le sue prerogative. Creatività in primis. Una tecnica che, nel tempo, attrae sempre più attori e registi, sceneggiatori e produttori cinematografici.

Jim Carrey apprende la MT sul finire degli anni Ottanta, poco prima delle riprese di Man on the Moon (id., M. Forman, 1989), il film che racconta la vita breve, sregolata ed enigmatica di Andy Kaufman, il “comico che non faceva ridere” e che, nella vita privata, coltivava una profonda vocazione Zen. Nicole Kidman utilizza un’app sul proprio cellulare, che le permette di interagire con tutte le persone che come lei, in quello stesso momento, stanno meditando. Jennifer Aniston la pratica al risveglio. George Lucas e Gwyneth Paltrow promuovono attivamente la diffusione della MT nel campo dell’istruzione; mentre Scorsese sostiene la causa dei veterani di guerra e incoraggia la pratica della MT per superare i disturbi post traumatici da stress.

Ma la celebrità che, più di ogni altra, ha portato la meditazione trascendentale all’attenzione del grande pubblico è senza dubbio David Lynch. Regista, montatore e sceneggiatore, ma anche pittore, produttore cinematografico e fondatore nel 2015 della David Lynch Foundation, l’organizzazione che promuove e sostiene la diffusione della MT all’interno di scuole ed enti pubblici, università e aziende private.

La vicenda personale di Lynch, d’altro canto, è strettamente connessa alla pratica assidua e rigorosa di questa tecnica: «La meditazione trascendentale mi ha dato la forza di reagire a Hollywood», ha dichiarato il regista nel corso di un’intervista. Dal visionario Eraserhead (id., D. Lynch, 1977), definito dallo stesso Lynch “un sogno di cose oscure e inquietanti”, alle contorte circonvoluzioni della psiche di Mulholland Drive (id., D. Lynch, 2001), che mettono in scena il sommerso, il rimosso e l’inconscio. Dal labirintico e sofisticato – e, per certi critici, junghianoInland Empire (id., D. Lynch, 2006) alle più palesi gesta dell’agente speciale Dale Cooper che, giunto a Twin Peaks per indagare sull’omicidio di Laura Palmer, si interessa di misticismo e mitologia, pratica yoga e meditazione e si serve di un bizzarro metodo Zen per restringere la cerchia dei sospettati (Twin Peaks, M. Frost, D. Lynch, 1991).

Ma accanto alla meditazione trascendentale coesiste una tecnica, questa volta di matrice più prettamente psicologica e che oggi prende sempre più piede in quel di Hollywood.

Ispirata alla meditazione buddhista, la mindfulness si propone di spostare l’attenzione del soggetto praticante verso il momento presente, in maniera non giudicante e in un percorso mirato alla consapevolezza. Con miglioramenti evidenti a livello fisico e soprattutto mentale. L’attore Bill Murray, il comico Russel Brand, il regista e rapper Adam Yauch sono solo alcune fra le star del grande schermo che praticano con costanza questa tecnica di meditazione che è capace, fra le altre cose, di migliorare l’attenzione e la creatività, ma anche di incrementare le proprie capacità di automonitoraggio e metacognizione.

Sulla mindfulness è stato girato anche un film documentario, che attraverso la ricostruzione della vicenda di Thich Nhat Hanh, il monaco buddhista candidato nel 1967 al Nobel per la Pace e noto anche come “il padre della consapevolezza”, conduce lo spettatore all’interno di un monastero Zen del XXI secolo, in cui un gruppo di occidentali, proveniente dalle esperienze più disparate, ha scelto di ricominciare a vivere, impostando la propria esistenza su valori diversi (Walk With Me, M. Francis, M. Pugh, 2017).

Ma Walk With Me non è il solo docu-film che tratta di meditazione.

Nel 2002 arriva sul grande schermo Ayurveda: l’arte di Essere, il documentario che rivela come l’ayurveda, la disciplina olistica indiana basata su antiche tecniche, può essere applicata anche in quest’era fondata sul nucleare e sul ricorso sempre più massiccio alle moderne tecnologie (Ayurveda: Art of Being, P. Nalin, 2002). Mentre nel 2014, le documentariste Paola di Florio e Lisa Leeman – entrambe praticanti di Hatha Yoga – realizzano il biopic Il sentiero della felicità, che racconta la vita e il messaggio spirituale dello swami Paramahansa Yogananda, portavoce della tradizione yogica in Occidente e autore del best seller Autobiografia di uno Yogi (Awake, the Life of Yogananda, P. di Florio, L. Leeman, 2014).

E nel frattempo, anche il cinema di finzione si è popolato di racconti incredibili e qualche volta visionari.

Dalla fiaba moderna del piccolo Jesse, destinato a diventare il tulku, la reincarnazione del Lama Dorje morto otto anni prima (Little Buddha, B. Bertolucci, 1993) alla vicenda del piccolo Lahmo, reincarnazione umana del Buddha della Compassione (Kundun, M. Scorsese, 1997) alle indagini su un misterioso omicidio in un tempio Zen (Zen Noir, Marc Rosenbush, 2004).

Fiabe o non fiabe, in tutti i casi l’annosa domanda è la stessa: è realmente possibile liberarsi dalle sofferenze e rintracciare una felicità durevole?

La risposta, su questi schermi.

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