Quando pensiamo al cinema e alla Venezia Euganea, nella sua odierna accezione geografica estesa, non possiamo non pensare a Carlo Mazzacurati, il solista veneto per eccellenza, fra gli autori più rappresentativi della Settima Arte nostrana e interprete di un cinema ricco di sfumature le cui storie, dal carattere marcatamente realista, lasciano spazio a caratteri spesso […]
Spoiler – “Pendolari dentro” nel prossimo Senza Filtro
In origine era la caratteristica di tutto ciò che è pendolare. Ad esempio, di un moto. Come lo studio che Galileo Galilei intraprende nel 1581, dopo avere osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di Pisa. Col tempo, però, la parola pendolarismo ha connotato, per estensione e sempre più spesso, lo […]
In origine era la caratteristica di tutto ciò che è pendolare. Ad esempio, di un moto. Come lo studio che Galileo Galilei intraprende nel 1581, dopo avere osservato il moto di oscillazione di una lampada sospesa nella Cattedrale di Pisa. Col tempo, però, la parola pendolarismo ha connotato, per estensione e sempre più spesso, lo spostamento dei lavoratori da casa al lavoro e il comportamento di chi, nelle proprie scelte quotidiane e importanti, si appoggia a forze diverse e talvolta contrastanti. Come un vero e proprio movimento pendolare.
Fuga e rientro di cervelli, diffusione globale di idee e tendenze. Turisti vs vagabondi nella speculazione di Zygmunt Bauman. La società postmoderna è caratterizzata dal grado di mobilità, dalla libertà di scegliere dove collocarsi, e quindi dal rapporto più o meno stretto — e più o meno selettivo — con spazio e tempo. Nonostante ciò, lo spostamento ripetuto e cadenzato assume, oggi, forme sempre più complesse. Secondo un antico proverbio indiano, “Viaggiando alla scoperta dei Paesi, troverai il continente in te stesso”; ed ecco che, a fianco di chi vorrebbe rimanere ed è costretto a spostarsi, coesiste un’idea di spostamento evocativa, alla base del comportamento di persone, di pendolari dentro, che in quel movimento oscillatorio trovano uno stimolo. E partire, o tornare, diventa sempre più spesso una scelta.
Quando nel cinema si parla di pendolari, il riferimento più immediato è ai road movies, un genere che s’impone negli Stati Uniti sul finire degli anni Sessanta — e che, per certi versi, riprende i topoi del Bildungsroman, ma anche gli stilemi del genere western — e che racconta l’esperienza del viaggio come modo per materializzare un diverso modo di essere, ma anche il rifiuto netto nei confronti del conformismo imposto da certe norme sociali. Già Michel de Montaigne scrisse che: «A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco». Il viaggio smette, così, di essere mera evasione, per afferire allo scopo più alto di metafora della ricerca del sé. Come nel caso dei due biker Billy e Waytt che, diretti al carnevale di New Orleans, attraversano gli Stati Uniti a bordo dei loro chopper. In un viaggio destinato a infrangere definitivamente il sogno americano (Easy Rider, D. Hopper, 1969). O come nel caso delle le tre artiste trans Bernadette, Mitzi e Felicia che, a bordo del torpedone Priscilla, attraversano l’outback australiano alla volta di Alice Springs: per presentare il proprio spettacolo ma anche per un confronto con gli stereotipi locali e con la natura maestosa che incontreranno per strada (The Adventures of Priscilla. Queen of the Desert, S. Elliott, 1994). E come accade a Thelma e Louise che, partite dall’Arkansas per un week-end tra amiche, trasformeranno il viaggio non solo nella ricerca della propria autenticità, ma in una vera e propria fuga (Thelma & Louise, R. Scott, 1991).
Ci sono pendolari che vanno. Come Philippe, ex professore francese, che decide di trasferirsi con la sua famiglia in un paesello di poche anime sulle Alpi occitane per vivere di pastorizia. Salvo, poi, scoprire che il suo modo di essere, estremamente anticonformista, non potrà impedire il contrasto con la comunità locale (Il vento fa il suo giro, G. Diritti, 2005). E come Chris McCandless che, in fuga dal conformismo, ma anche in cerca della consapevolezza attraverso il contatto con la natura, lascia la Georgia senza un dollaro e inizia un viaggio di due anni che lo condurrà dal Sud Dakota alla California, per giungere infine nelle sterminate terre d’Alaska (Into the Wild, S. Penn, 2007). Ma ci sono anche pendolari che tornano. Come la giovane immigrata turca Sibel che, inquieta e oppressa dall’ottuso tradizionalismo della sua famiglia, sola e ripudiata per il disonore causato dal suo comportamento indipendente, parte alla volta di un’Istanbul inaspettatamente più emancipata della comunità turca in Germania (Gegen die Wand, F. Akin, 2004).
“Italia. Paese per viaggiatori” è il pay off che introduce il Piano Strategico di Sviluppo del Turismo a cura del MIBACT. Ma l’Italia è anche un Paese di viaggiatori. Da Marco Polo a Tiziano Terzani, passando per le grandi emigrazioni e le tradizionalissime “gite fuori porta”. Insomma, siamo un popolo di girovaghi e pendolari e il cinema italiano, negli anni, ha raccontato con dovizia di particolari i nostri spostamenti. Cesare Zavattini, fra i padri del Neorealismo italiano, prima ancora della spedizione lucana con Ernesto de Martino nel 1952, progetta un “viaggio in Italia” con Roberto Rossellini. Progetto che, però, resterà incompiuto. E, mentre nell’Italia contadina degli anni Cinquanta, il mangiatore di fuoco Zampanò si esibisce in tour, nelle piazze e nelle fiere di paese con l’ingenua Gelsomina (La strada, F. Fellini, 1954), nel bel mezzo di un rovente Ferragosto romano, il quarantenne Bruno coinvolge il timido Roberto in un improbabile viaggio — anche interiore — lungo le strade della Versilia e fino alla Costa Azzurra. Un viaggio che metterà definitivamente in discussione le certezze di Roberto (Il sorpasso, D. Risi, 1962). Soprattutto, come dimenticare il rocambolesco viaggio lungo l’autostrada del Sole, alla vigilia delle elezioni, di tre archetipi dell’italianità, tutti interpretati da Carlo Verdone (Bianco, rosso e Verdone, C. Verdone, 1981)? Mimmo è un ragazzone romano che accompagna la nonna (interpretata da Lella Fabrizi, aka Sora Lella) a votare; Furio Zoccano è un funzionario torinese, pignolo e nevrotico, «Socio ACI con numero di tessera 917655/UD come Udine Torino», in viaggio con la moglie Magda e i figli per compiere il proprio «dovere civico». Mentre Pasquale Amitrano è un lucano emigrato in Germania, con una moglie tedesca che non sa cucinare e che non vede l’ora di tornare al paesello per ritrovarne riti e sapori. L’infausta trasferta, però, si rivelerà un disastro per tutti: la nonna di Mimmo muore. Magda abbandona Furio per fuggire col fascinoso Raoul. E Pasquale, picchiato e derubato, si lascerà infine andare a un visionario sfogo conclusivo.
Leggi anche
Joe Buck è un seducente cowboy texano, che sbarca nella Grande Mela con l’intenzione di fare carriera come accompagnatore per ricche signore. Ma fare il gigolò non è per tutti ed è un mestiere che richiede una buona dose di resistenza. E lo sprovveduto Joe, collezionato un fiasco dietro l’altro, finirà accattone nel gelido inverno newyorkese (Midnight Cowboy, J. […]
Si racconta che Zero in condotta (Zéro de conduite, J. Vigo, 1933) altro non sia che un paziente lavoro di memoria, in cui il regista Jean Vigo ricostruisce la sua esperienza personale con il sistema scolastico del tempo. Definito dalla critica anarchico, anticonformista, smitizzante, il film di Vigo racconta la vicenda di tre ragazzi, Caussat, Colin […]