Una pizza: potremmo permettercela se conoscessimo il vero costo?

Il lavoro necessario a portare una pizza nel piatto di chi l’ha ordinata ha costi sorprendenti e filiere irte di ostacoli, come lavoro nero, caporalato e sfruttamento 4.0. Facciamo i conti in tasca alla pietanza più rappresentativa dell’Italia, dentro e fuori dal Paese

Una pizza margherita

La pizza margherita: lo stereotipo più abusato per raccontare il Paese italiano. Il basilico verde, la mozzarella bianca, il pomodoro rosso. La nostra bandiera servita su tavola, manifesto di un’eccellenza ma anche racconto scanzonato di serate tra amici e condivisione. Il sommerso di questa specialità è però tutta la filiera che l’ha prodotta, caratterizzata – quando non da sfruttamento in senso stretto – da lavoro spesso svalutato, non rispettato, irregolare e frustrante. Inizia nei campi di grano, di pomodori, negli allevamenti; prosegue nelle industrie agroalimentari e finisce nei ristoranti, oppure direttamente nelle nostre case, consegnata da un ragazzo in bicicletta. Una catena di diritti spesso negati.

Nelle città, il prezzo da menù di una margherita è quasi 10 euro; nelle pizzerie gourmet anche di più; nei paesi di provincia la si porta a casa con qualche euro in meno. Ma quanto costa il lavoro per produrre quella pizza?

Poco. Molto poco.

I settori che compongono questo piatto tipico, dalla raccolta delle materie prime fino alla preparazione e consegna, sono quelli che occupano i gradini più bassi della classifica delle retribuzioni. Al punto che, applicando mille semplificazioni, potremmo dire che a una pizzeria il costo di produzione di una pizza – indicando solo quello diretto per prepararla e consegnarla – sia di circa 1,80 euro. Questo considera l’impegno del pizzaiolo e del cameriere, ma non tiene in considerazione il lavoro dietro le materie prima acquistate: operai agricoli, agroindustriali e addetti al trasporto e alla logistica.

Immaginiamo che in questo momento tutti gli addetti coinvolti nella filiera della pizza stiano lavorando. Quanto costa un’ora del loro lavoro collettivo? Se includiamo anche l’ora di un autista trasportatore dei materiali, il costo totale del lavoro è di circa 110 euro.

Quindi quanto guadagnano tutte le persone che sono impiegate in questa filiera? Sempre poco. Partiamo dalla fine, da quello che vediamo come clienti.

Dal campo al tavolo, passando per il forno: la filiera della pizza, un centesimo alla volta

A un pizzaiolo viene applicato il contratto collettivo dei pubblici esercizi, con un salario previsto tra i 9 e i 10 euro orari. Se vogliamo proiettare il costo totale del lavoro, siamo tra i 13 e i 14 euro. Bisogna infatti ricordare che, al salario lordo di un lavoratore, vanno aggiunti i contributi formalmente a carico dell’azienda, più altre voci che formano la complessa struttura delle buste paga italiane. Per i camerieri, il salario va dai 7,50 agli 8,50 euro orari, quindi siamo tra gli 11 e i 13 euro di costo totale orario. Si cresce, però, all’aumentare della specializzazione. Nella ristorazione, il salario mediano secondo l’ISTAT è pari a 10,53 euro.

Facciamo ora un passo indietro e andiamo a vedere quanto si guadagna nella filiera agroindustriale, quella che trasforma i prodotti della terra. Qui, parlando appunto di un comparto industriale, le retribuzioni sono di poco più alte, con l’applicazione del contratto dell’industria alimentare. Nei mulini industriali, i salari orari vanno dagli 11 ai 14 euro, quindi il costo del lavoro può arrivare fino ai 20 euro orari circa. Molto simili le cifre da considerare nei caseifici e nell’industria delle conserve. Tornando al dato ISTAT, il salario mediano dell’industria alimentare è 12,29 euro.

Insomma la farina, la passata di pomodoro e la mozzarella sono pronti. Ma come sono messe, invece, le persone che hanno raccolto i prodotti della terra?

Non è semplice stabilire quanto guadagnano gli operai agricoli in Italia, perché la struttura del contratto collettivo è articolata su due livelli: esiste un salario minimo nazionale, ma poi in ogni provincia questo viene integrato con un accordo territoriale. Per la categoria considerata, alla fascia più bassa il salario mensile previsto è di appena 991 euro. Secondo il decreto direttoriale del ministero del Lavoro, che quantifica le retribuzioni medie degli operai agricoli, nel 2024 la media per giornata era pari a 63,06 euro. È comunque un dato assai difficile da stimare per via di questa differenza su base provinciale.

Bisogna però ricordare che proprio il settore della raccolta pomodori è stato al centro di numerose inchieste sul caporalato negli scorsi decenni, come ha raccontato con precisione Alessandro Leogrande nel suo libro Uomini e caporali, uscito nel 2008 con Mondadori. Negli ultimi anni le imprese agricole hanno spiegato che oggi il settore è invece in gran parte automatizzato, quindi meno esposto al rischio di sfruttamento.

Quanto costa il lavoro dietro una pizza

Proviamo ora a compiere un esperimento: immaginiamo che in questo momento tutti gli addetti coinvolti nella filiera della pizza stiano lavorando. Quanto costa un’ora del loro lavoro collettivo?

Se includiamo anche l’ora di un autista trasportatore dei materiali, il costo totale del lavoro è di circa 110 euro. Sette persone al lavoro: un bracciante, tre operai dell’industria alimentare impegnati rispettivamente in aziende di farina, mozzarella e passata di pomodoro; poi il trasportatore, il pizzaiolo che stende la massa e farcisce e infine il cameriere che sorride ai clienti e posa la pizza sul tavolo.

Se invece la pizza la ordiniamo a casa, la questione si fa più complessa: al posto dei camerieri subentrano i fattorini, o meglio, i rider, una delle categorie più vessate del mondo del lavoro. Perché, a parte Just Eat, le maggiori piattaforme di food delivery – Glovo e Deliveroo – inquadrano i rider come autonomi, quindi li pagano a consegna e non con salari orari. Il contratto che hanno firmato con l’UGL – dichiarato illegittimo da svariate pronunce giudiziarie – prevede una forma di pagamento molto particolare: 10 euro all’ora, ma parliamo di ora effettiva, non sessanta minuti di orologio. Chiariamo meglio: se un rider, tra le 21 e le 22.30 compie due consegne da mezz’ora l’una, guadagnerà minimo 10 euro. Quindi, anche se il tempo in cui si è reso disponibile è di un’ora e mezza, guadagnerà il corrispettivo di un’ora di lavoro.

I settori che accompagnano la nascita di una pizza, in ogni caso, restano ai piani più alti delle classifiche sul lavoro irregolare.

In agricoltura le pratiche per aggirare le norme sono ben collaudate, e i controlli, con gli enti ispettivi sotto organico, riescono a scoprirne solo una piccola parte. Considerando che nei campi si lavora “a giornata”, i datori meno onesti sono soliti dichiarare meno giornate di quelle effettivamente svolte, per risparmiare su una parte dei contributi.

Un meccanismo simile avviene nella ristorazione, con il fenomeno del “fuori busta”: il contratto firmato è part time, ma nella pratica è un full time. Così facendo, metà della busta paga è regolare, mentre l’altra metà è in contanti, quindi anche qui il titolare non paga i contributi e gli altri oneri previsti. Va ricordato, tra l’altro, che l’agricoltura e la ristorazione sono tra i settori che più si sono lamentati, negli scorsi anni, dell’esistenza del Reddito di Cittadinanza. Non è un caso che lo abbiano fatto loro, che offrono retribuzioni che subiscono la concorrenza persino di un sussidio da poche centinaia di euro al mese.

Ma la pizza a questo punto è pronta, la mozzarella è ancora a temperatura lavica, quindi bisogna farla raffreddare. A qualcuno piace la napoletana, con il cornicione alto; altri preferiscono la romana, quasi scrocchiarella. In Italia è buona ovunque, a parte in quelle orribili trappole per turisti che vediamo attorno ai luoghi più visitati del nostro Paese. Ecco un controsenso: spesso la mangi meglio in un locale austero di periferia che a due passi da un monumento.

Ma il vero paradosso di questo Paese rischia di restare sempre lo stesso: se della pizza – e di altri piatti tipici della nostra cucina – facciamo motivo di vanto a livello internazionale, perché ci curiamo così poco delle condizioni di lavoro, a partire da quelle salariali, di chi ha contribuito a realizzarla?

 

 

 

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Photo credits: marcobianchi.blog

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