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L'antitrust ha <em>sgamato</em> i fuffa-guru, ma esiste un sottobosco di influencer più o meno noti che sta insidiando fortemente le imprese. Un bestiario dei casi più noti e delle loro tecniche di persuasione

Guru, sette religiose, influencer nelle aziende. Quello che l'Antitrust non ha ancora visto.

Dal precariato all'illegittimità: per far fronte all'obbligo di assumere un numero congruo di professori, gli atenei online stanno ricorrendo a bandi di assunzione a regime di tempo definito, che invece dovrebbe essere frutto della libera scelta del docente. Ne parliamo con Luca Sacchi di FLP CGIL, professore universitario

I bandi fuorilegge delle università telematiche: cercasi docenti "a tempo definito"

<p>Un&#8217;indagine congiunta dell&#8217;Ispettorato Nazionale del Lavoro e dei carabinieri ha rivelato che quasi due aziende agricole su tre, dal Piemonte alla Sicilia, operano con qualche forma di illecito. Irregolare il 30% dei lavoratori</p>


Controlli anti caporalato a Saluzzo, nel cuneese: due Carabinieri e un lavoratore extracomunitario

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Caporalato, dopo Satnam Singh ecco i controlli: irregolarità al 66%

Quasi due aziende agricole su tre, dal Piemonte alla Sicilia, operano con qualche forma di illecito. Irregolare il 30% dei lavoratori.

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L'Europa bussa alle porte del Governo per il debito pubblico sempre più pressante: l'idea dell'esecutivo è di vendere ai privati una quota imprecisata di aziende statali, senza un'ombra di politica industriale. Ecco che cosa si rischia sulla base dei precedenti

Ancora privatizzazioni alla cieca: è il turno di Poste, ENI e RaiWay

Il manager e senior advisor di Ammagamma, intervistato da SenzaFiltro, sottolinea la cesura tra aziende e collaboratori in ambito di work-life balance e la parcellizzazione a cui è sottoposta l'attenzione dei professionisti: il punto è lavorare insieme, lavorare meno, e difendersi dall'invasione del lavoro attraverso il digitale

David Bevilacqua: "Nel lavoro il ritmo conta più del tempo"

<p>La morte di Satnam Singh ha provocato lo sdegno della popolazione e quello di una politica immobile da anni sul fronte del caporalato. Un&#8217;analisi del sistema di sfruttamento con l&#8217;intervista a Gurmukh Singh, presidente della comunità degli indiani del Lazio: &#8220;Lavoratori ricattati con i documenti: non possono andarsene&#8221;</p>


Braccianti nell'Agro Pontino: un lavoratore sikh con una serra sullo sfondo

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Mancini

Alessandro Mancini

Classe 1993, giornalista freelance, autore e divulgatore culturale. Laureato in Editoria e Scrittura presso l’Università La Sapienza di Roma, tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della testata online Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive su testate e settimanali nazionali sia cartacei che online. Si occupa principalmente di cultura contemporanea, lavoro, diritti civili e disuguaglianze. Dal 2022 cura un progetto social, Generazione Yolo, in cui smonta la narrazione corrente e gli stereotipi legati al mondo del lavoro. Nel 2023 ha lanciato una newsletter personale, dal titolo Dolce Far Niente, che invita a riscoprire il valore dell’ozio.

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Agro Pontino, dove i caporali coltivano la paura

Il caso di Satnam Singh evidenzia il sistema di caporalato dell'Agro Pontino: ne parliamo con il presidente della comunità indiana del Lazio.

Agro Pontino, dove i caporali coltivano la paura - Informazione senza filtro

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Secondo una pagella stilata dal fisco, più della metà degli autonomi è "inaffidabile" riguardo le sue dichiarazioni, ed evade circa il 70% dei suoi guadagni: è questa la platea a cui il Governo pensa di rivolgere una riforma fiscale che è stata definita "fuga dalle tasse"

Ma quale concordato preventivo: il 55% degli autonomi evade le tasse

Il discorso di Paola Cortellesi alla LUISS ha suscitato parecchie critiche per la parte – minoritaria – dedicata alle fiabe. Ma il problema sta altrove, e ha le radici nella stessa decisione di parlare in una simile cornice

Biancaneve l'aveva già uccisa la LUISS.

<p>Seguiti con il GPS, minacciati, sottopagati: lo sfruttamento e gli illeciti nella distribuzione dei volantini si assomigliano in tutta Italia. Un vero e proprio sistema di caporalato, scoperchiato da inchieste svolte in diverse zone del Paese. E i marchi che cosa dicono?</p>


Un lavoratore straniero imbuca volantini in una cassetta delle lettere

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REDAZIONE SF FOTO RETTANGOLARE _NUOVO SITO SF - 7

Antonio Murzio

Laureato in Sociologia, è giornalista dal 1985. Ha collaborato con testate nazionali (ANSA, Oggi, Gente, linkiesta.it) e lavorato al desk di quotidiani locali in Calabria e Basilicata. Dal 2018 a maggio 2022 è stato caporedattore di un settimanale familiare. Ha pubblicato due libri, &#8220;Educati alla violenza &#8211; storie di bullismo e baby gang&#8221;, e &#8220;La dittatura degli algoritmi&#8221;. Scrive per il quotidiano La Notizia e per il giornale online True News. Pugliese, vive a Lodi. &nbsp; E-mail: antonio.m@fiordirisorse.eu

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Volantini: tracciati come rider, pagati come braccianti

Seguiti con il GPS, minacciati, sottopagati: il caporalato dei volantini scoperchiato da inchieste svolte in diverse zone del Paese.

Volantini: tracciati come rider, pagati come braccianti - Informazione senza filtro

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Che differenze ci sono tra i nuovi tipi di carne realizzata in laboratorio? Nonostante le tecniche siano diverse, l'impatto sulla sostenibilità è chiaro. Riassumiamo le differenze tecnologiche e gli ostacoli legali di quello che potrebbe essere un alimento chiave del futuro

Carne "sintetica": a che cosa ha dichiarato guerra il Governo?

La sigla sta per "Non Playable Characters", personaggi non giocanti: si tratta soprattutto di creatrici che fingono di essere figure di videogiochi, e rispondono agli stimoli - like, messaggi e donazioni - con gesti e frasi stereotipate. Le origini e i numeri del fenomeno

NPC creator, TikTok e il trend da 7.000 dollari al giorno

<p>Massimo storico raggiunto dall&#8217;export dell&#8217;agricoltura made in Italy: si parla di 60 miliardi nell&#8217;UE e distanze accorciate nei confronti della Francia. Peccato che la competitività dell&#8217;Italia si basi su sfruttamento e salari bassi</p>


Agricoltura italiana elogiata dal presidente Mattarella all'assemblea invernale di Confagricoltura

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Perini

Bruno Perini

E&#8217; nato a Milano il 21 novembre del 1950. Laureato in Lettere e Filosofia nel 1977 all’Università Statale di Milano con una tesi su Marx e l’economia volgare è diventato giornalista professionista nel 1987. Giornalista economico finanziario e politico giudiziario, ha lavorato per circa trent’anni al quotidiano il manifesto dove ha curato la cronaca finanziaria e dal 1992 al 2000 la cronaca giudiziaria durante l’inchiesta Mani Pulite. Per 6 anni ha lavorato all’agenzia di Stampa Asca come cronista giudiziario e per due anni ha lavorato al settimanale della Rcs Il Mondo. Ha lavorato per circa 6 anni al mensile Prima Comunicazione e per due anni ha lavorato nel gruppo Sole 24 ore dove scriveva articoli sul quotidiano e contemporaneamente conduceva la rassegna stampa di Radio 24 e una trasmissione con gli ascoltatori sui temi di attualità. Per due anni ha lavorato in un’agenzia di ufficio stampa dove teneva corsi di giornalismo per coloro che tenevano i rapporti con i clienti. Da circa 5 anni collabora con Senza Filtro sui temi del lavoro e cura la rubrica &#8220;8000 battute sul lavoro&#8221;. E’ appassionato di musica rock, di letteratura, di gialli e del gioco del biliardo. Nel 2004 ha scritto un giallo dal titolo “Richiamo di sangue”, nel 2010 una biografia di Adriano Celentano “Memorie di zio Adriano” e nel 2013 un Giallo dal titolo “le figlie del diavolo”.

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Sfruttamento e salari bassi per l&#8217;agricoltura italiana da record

Massimo storico raggiunto dall'export dell'agricoltura made in Italy: si parla di 60 miliardi nell'UE e di distanze accorciate con la Francia

Sfruttamento e salari bassi per l'agricoltura italiana da record

Sfruttamento e salari bassi per l'agricoltura italiana da record - Informazione senza filtro

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A distanza di un anno i titolari dei Magazzini dal Sasso, nonostante una multa da 7.000 euro, tornano a esporre il cartello discriminatorio

Ai Magazzini dal Sasso manca il buon senso. E un buon amico.

Gli operai della fabbrica di Campi Bisenzio manifestano per i colleghi di Mondo Convenienza, in agitazione dal 30 maggio: "Chiediamo il minimo, con il massimo chiuderebbero domani". Dario Salvetti, Gkn: "Coincidenza spaventosa tra le nostre condizioni. I media mentono per far credere sia tutto risolto"

Gli ex Gkn per Mondo Convenienza: a San Lorenzo la stella cadente è il lavoro

<p>Le condizioni per fare fatturati miliardari sono due: poche regole e precarietà. Ma le istituzioni iniziano a svegliarsi: la multinazionale turca è la defezione più recente nel settore del food delivery in Italia. E non sarà l&#8217;ultima</p>


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Danzi

Osvaldo Danzi

Appassionato di Umane Risorse e tecnologie. Inizia l’attività di recruiter nel 1997 selezionando profili legati al settore alberghiero e oggi collabora con SCR Consulenza seguendo le selezioni di middle e top management. È il fondatore della Business Community FiordiRisorse nominata da Linkedin come caso di successo italiano, l’ideatore dell’unico Master italiano per manager e imprenditori definito etico, lowcost, itinerante che in otto anni è stato ospitato in oltre 150 aziende italiane. Collabora con Harvard Business Review. Tre volte speaker di TedX, è fra gli ideatori di Nobìlita, il Festival della Cultura del lavoro. &#8212; MAIL DI REDAZIONE: osvaldo.d@fiordirisorse.eu

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E anche Getir se ne va: la bolla del cibo a domicilio sta scoppiando.

Le condizioni per fare fatturati miliardari sono due: poche regole e precarietà. Ma le istituzioni iniziano a svegliarsi.

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osvaldo danzi

Il <strong>mensile 116 </strong>è un collage, un album, un archivio vivo, è <em>SenzaFiltro </em>che fa la muta dicendo grazie a ciò che è stato e a chi c’è stato. A chi ci conosce tanto o poco, offriamo <strong>il punto su ognuno dei cavalli</strong>, anno dopo anno ci siamo occupati di loro. Lo abbiamo fatto anche per ricordarci noi per primi, giornalisti e redattori, da cosa veniamo.

Numero 116 - Cavalli di battaglia


<p>La legge da sola non basta. Con un colpo a effetto lo scorso 9 dicembre, Giornata internazionale contro la corruzione, il Governo Meloni ha approvato il decreto legislativo per il <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-in-italia-soffiate-a-mezza-voce-politica-e-imprese-ancora-in-ritardo/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>recepimento</strong></a> <strong>della <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-siamo-lavoratori-clienti-o-cittadini/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">direttiva europea 2019/1937</a></strong>, mettendo sul tema <strong>whistleblowing</strong> ogni tassello legislativo al proprio posto. Sì, perché l’intervento completa il quadro previsto dalla 179 del 2017, dal modello 231 del 2001 e dalla legge 190 del 2012, provvedimenti già in vigore sul fronte anticorruzione.</p>



<p>Aspetto non irrilevante, a maggior ragione perché la direttiva UE, tra le tante novità sul tema, <strong>parifica il trattamento tra pubblica amministrazione e imprese private</strong>, oltre a considerare segnalatori anche tutti i soggetti al di fuori del normale rapporto di lavoro subordinato, i cosiddetti <strong>stakeholder</strong>. E, cosa non da poco, coinvolge tutte le organizzazioni dai cinquanta dipendenti in su. In sostanza un numero consistente di piccole e medie imprese che costellano il panorama lavorativo italiano.</p>



<p>Salto in avanti considerevole, che proietta l’Italia in una dimensione nuova. Sicuri? Nemmeno per sogno.</p>



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<h2 id="h-mille-denunce-tre-sanzioni-qualcosa-non-va-nel-whistleblowing-italiano">Mille denunce, tre sanzioni: qualcosa non va nel whistleblowing italiano</h2>



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<p>Basta guardare il report 2021 sull’indice annuale di percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica, realizzato da <strong>Transparency International</strong>, per vedere che nonostante i sensibili miglioramenti dell’ultimo decennio, l’<strong>Italia</strong> occupa ancora la mestissima posizione numero <strong>42 su 180 nel mondo</strong>. Ben lontani, quindi, dai Paesi più virtuosi, che manco a dirlo sono i soliti scandinavi, più gli outsider Nuova Zelanda e Singapore.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Whistleblowing-1.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Salvoro-Whistleblowing-1.png" alt="" class="wp-image-53442" /></a></figure></div>


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<p>Davvero sarebbe sufficiente questo elemento per sostenere che la legge da sola non basta. Poi mi viene in mente una frase di Martin Zanka, protagonista dell’ultimo libro del collettivo Wu Ming, intitolato <em>Ufo 78</em>: “In Italia dire la verità è l’unico peccato che non ti perdonano”. E calza davvero a pennello quando parliamo di denunce di illeciti, di lotta alla corruzione, dei mitologici <strong>whistleblower</strong>. Certo, nel testo il riferimento è legato agli anni Settanta, al rapimento di Aldo Moro, alla strategia della tensione e alla ragion di Stato. Un contesto diverso e distante, che però suona ancora molto attuale.</p>



<p>Prendiamo ad esempio alcuni dati forniti da <strong>ANAC</strong>, l’Autorità Nazionale Anticorruzione. Da quando l’ente ha implementato ufficialmente la sua <strong>piattaforma</strong>, nel 2015, le <strong>segnalazioni</strong> sono in effetti in costante <strong>aumento</strong>. Nel 2016, ad esempio, le segnalazioni di illeciti e le comunicazioni di misure ritorsive sono state 183, per poi lievitare nel primo quadriennio fino alle 873 del 2019. Un cambio di passo rilevante, anche se il vero problema riguarda il totale dei <strong>procedimenti sanzionatori</strong> conseguenti che, rispetto a queste cifre, è francamente irrisorio. Solo 21, nel 2020, e di questi appena <strong>tre conclusi con l’irrogazione di sanzioni</strong>. Una potenziale zona franca di impunità.</p>



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<h2 id="h-il-whistleblowing-in-italia-fa-piu-paura-a-chi-denuncia-le-farragini-di-anac">Il whistleblowing in Italia fa più paura a chi denuncia. Le farragini di ANAC</h2>



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<p>“A fronte di questi numeri, al <strong>presidente di ANAC</strong> dovrebbe rimanere una sola cosa da fare: <strong>dimettersi</strong>”. Così <strong>Carlo Bertini</strong>, whistleblower licenziato lo scorso luglio da Bankitalia, intervenuto il primo dicembre dalla platea del convegno milanese “Whistleblowing: le distanze da colmare” (<em>SenzaFiltro</em> era presente come unico media partner).</p>



<p>ANAC, dal canto suo, si difende giustificando la statistica con il lungo e approfondito <strong>iter di indagine</strong> che l’ente è chiamato a seguire. Pochi casi ma significativi, insomma, gestiti peraltro da un organico in carenza di personale.</p>



<p>Questione di punti di vista. Rimane comunque il fatto che nei casi andati a buon fine, oltre al reintegro sulla carta del whistleblower licenziato o vittima di mobbing, le <strong>sanzioni pecuniarie</strong> sono state poco più che <strong>simboliche</strong>, intorno ai cinquemila euro (la direttiva UE dà ora la possibilità ad ANAC di arrivare a 50.000, ma con i numeri elencati sopra il rischio di pagare non è al momento così elevato). D’altro canto, un amministratore delegato incontrato anni fa nella mia esperienza professionale lo ripeteva spesso: non temere se la possibile conseguenza di una scorciatoia illegale è di stampo amministrativo. <strong>Molto meglio la scorciatoia</strong>.</p>



<p>Davanti ad affermazioni così, come dovrebbe reagire un lavoratore dipendente? Denunciare è sinonimo di <strong>suicidio professionale</strong>. Quanti possono davvero permettersi di perdere il posto?</p>



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<h2 id="h-la-cultura-che-non-c-e-in-italia-il-whistleblower-e-uno-spione">La cultura che non c’è: in Italia il whistleblower è uno “spione”</h2>



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<p>Il collegamento è utile per approfondire la situazione attuale nelle <strong>imprese private</strong>. Gli elementi principali li abbiamo ben sintetizzati nel lungo reportage uscito nell’ultima edizione cartacea di <em>SenzaFiltro</em>. Vale la pena ricordarne qualcuno.</p>



<p>Secondo i dati di EQS Group Italia, raccolti su un campione di 162 aziende, ben quattro aziende su cinque hanno implementato un sistema di segnalazioni, agevolate dal modello organizzativo 231 e dalle certificazioni di sostenibilità sociale tanto in voga negli ultimi anni. Creare il contenitore, però, non equivale ad avere le competenze per gestire il contenuto. E infatti il 78% degli intervistati ammette di utilizzare, tra gli altri canali, anche la <strong>semplice mail per raccogliere le denunce</strong>, con buona pace di riservatezza e privacy. Inoltre il 40% non è in grado di stabilire delle <strong>tempistiche certe</strong> per la chiusura delle indagini. La direttiva UE, per dire, obbliga a chiudere le pratiche entro novanta giorni.</p>



<p>Esempi che mettono nero su bianco un pressapochismo tipicamente italiano. Un adeguamento di facciata, nella migliore delle ipotesi. In una delle mie interviste sul tema, l’avvocato <strong>Marco Pasquino</strong>, esperto di 231 e organismi di vigilanza, ha sintetizzato così la questione: “<strong>In Italia non esiste la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing-diventa-film-legge-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cultura del whistleblowing</a></strong>, tanto più che è soprannominato ‘programma spione’”. Un problema culturale che ha radici profonde, di natura anzitutto linguistica.</p>



<p>Sembra incredibile ma <strong>non esiste</strong>, nel nostro Paese, una <strong>traduzione</strong> con accezione <strong>positiva</strong> del termine whistleblower: talpa, delatore, spia, traditore; tolto l’asettico “segnalatore”, sono questi i sinonimi più utilizzati. Non è un caso che tra i più importanti whistleblower al mondo non se ne ricordi uno di italiano, fatta eccezione forse per <strong>Francesco Zambon</strong>, peraltro salito agli onori della cronaca grazie a un articolo del quotidiano britannico <em>The Guardian</em>, ripreso poi dalla stampa di tutti gli altri Paesi. Sì, Italia compresa.</p>



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<h2 id="h-il-whistleblowing-in-italia-oggi-un-esercizio-autoreferenziale-per-lavare-la-coscienza-delle-imprese">Il whistleblowing in Italia, oggi: un esercizio autoreferenziale per lavare la coscienza delle imprese</h2>



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<p>Eppure questa narrazione a nostro avviso non completa il ragionamento. Il numero crescente di segnalazioni ANAC, l’attività degli organismi di vigilanza nelle aziende, l’impegno civico di tante organizzazioni come The Good Lobby, Libera, Transparency International (adesso è presente anche un Osservatorio nazionale dedicato all’argomento su LinkedIn), dimostrano che forse <strong>non siamo un popolo geneticamente omertoso</strong>, come il classico luogo comune ci rappresenta. La verità è che la volontà di segnalare illeciti e corruzione c’è, abbiamo solo bisogno di maggiore informazione, maggiore comunicazione. <strong>Maggiore tutela</strong>.</p>



<p>Perché se il whistleblowing in Italia è un problema culturale, la <strong>responsabilità</strong> è principalmente della <strong>politica</strong>, della <strong>pubblica amministrazione</strong>, delle <strong>imprese</strong>. Non è un caso che all’appuntamento dello scorso primo dicembre i grandi assenti siano stati proprio loro: gli imprenditori, i direttori di risorse umane, gli amministratori. Vedere a un evento così importante solo chi da sempre è impegnato in prima linea su questa battaglia ha ridotto il tutto – a mio parere – a effimera <strong>autoreferenzialità</strong>.</p>



<p><em>Repetita iuvant</em>: il recepimento della direttiva europea rappresenta una svolta, ma <strong>la legge da sola non basta a tutelare i segnalatori</strong>. Servono uffici del personale capaci di andare oltre vuote campagne di immagine, datori di lavoro seri in grado di mettere davvero al primo posto benessere e sicurezza senza privilegiare il conto economico, una pubblica amministrazione diversa, con concreti processi di etica e competenza.</p>



<p>Utopia? Non so. In alternativa dire la verità continuerà a essere un peccato che, in Italia, nessuno è veramente disposto a perdonare.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/whistleblowing/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Whistleblowing</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



<p class="has-text-align-center"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sottoscrivi-sf/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Sottoscrivi SenzaFiltro</a></p>



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<p><strong><em>In copertina foto dal film &#8220;La Bufera&#8221;, direttore della fotografia Stefano Govi</em></strong></p>



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All&#8217;Italia fischiano le orecchie, ma i whistleblower sono soli


<p>Sono ancora oltre 19.000 gli sfollati dei <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-terremoto-siamo-noi/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">terremoti del 2016 nelle Marche</a></strong>, la Regione più colpita dalle scosse, che ha riportato oltre il 50% dei danni. Sei anni dopo è ancora piena emergenza, prorogata di anno in anno per decreto dal Governo.</p>



<p>Di questi sfollati 13.400 sono della provincia di <strong>Macerata</strong>, che è stata danneggiata per circa il 65%. A sei anni di distanza solo nel maceratese ci sono ancora <strong>3.385 persone</strong> <strong>nelle</strong> <strong>soluzioni abitative di emergenza</strong>, le casette provvisorie destinate a durare al massimo dieci anni, termine illusorio con una <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporali-cantieri-terremoto-marche-yvan-sagnet/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">ricostruzione in gran parte da realizzare</a>.</p>



<p>Ci sono ancora <strong>262 persone nei container</strong>; attualmente il campo container più grande è quello di Tolentino, dove vivono ancora 127 persone. Il loro costo ammonta a una cifra compresa tra i 13 e i 15 milioni di euro secondo i dati dell’amministrazione comunale, prima per l’affitto, poi per l’acquisto del terreno e il riscatto dei container e la loro manutenzione. Il campo sarà chiuso a fine dicembre e diventerà un centro per la Protezione civile locale.</p>



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<h2 id="h-terremoto-nelle-marche-tra-macerata-e-macerie-c-e-poca-differenza-colpa-dell-incuria">Terremoto nelle Marche, tra Macerata e macerie c’è poca differenza: colpa dell’incuria</h2>



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<p>Per le soluzioni abitative di emergenza la Protezione civile nazionale, consapevole dell’alto rischio sismico dell’Italia, aveva pronto un appalto preventivo che però non è stato indenne da criticità. Le <strong>soluzioni abitative prefabbricate</strong> hanno mostrato i loro <strong>limiti</strong>: si sono dovuti rifare pavimenti e tetti, e sono sottoposte a una <strong>manutenzione continua</strong>; in diversi centri hanno dato luogo a problemi di muffa.</p>



<p>Nel cratere marchigiano resistono solide le <strong>casette di legno</strong> destinate agli sfollati del <strong>terremoto del 1997</strong>, che colpì duro tra Marche e Umbria, provocando solo un quinto dei danni rispetto al 2016, nelle Marche. Sono solide e in tanti hanno scelto di acquistarle e viverci: le distese ordinate dei villaggi in legno si trovano soprattutto a <strong>Serravalle di Chienti</strong> (Macerata), il Comune che fu praticamente raso al suolo, ma che è rinato come una fenice grazie a una ricostruzione da tutti indicata come un modello, gestita congiuntamente dal Centro operativo misto, che comprendeva Regione ed enti locali.</p>



<p>Le case ricostruite dopo il 1997 hanno resistito perfettamente a Serravalle di Chienti, mentre in altri centri si sono danneggiate di nuovo le stesse strutture del terremoto precedente. È un percorso a ostacoli, la <strong>vita dei terremotati</strong>, schiacciati dalla <strong>burocrazia</strong> imperante. Una volta l’anno devono presentare i documenti che attestano il mantenimento dei requisiti per continuare a stare nelle SAE o a percepire il contributo di autonoma sistemazione; devono attendere le peripezie parlamentari dei decreti governativi per sapere se le rate dei loro mutui relativi a case e attività inagibili saranno sospese per un altro anno; nel 2022 la proroga è arrivata in leggero ritardo e alcune banche dal primo gennaio hanno fatto scattare l’addebito della rata, salvo poi essere costrette a tornare sui loro passi da un decreto.</p>



<p>Persino le <strong>macerie</strong> da portare via <strong>non sono ancora terminate</strong>. Tanti borghi, paesi e frazioni devastati dalle scosse sono un fermo immagine di quanto accaduto quei terribili giorni dell’autunno del 2016. Cresce solo l’erba tra le crepe, imperversano ancora zone rosse, silenzio e distruzione. Il programma da <strong>5 milioni di euro di demolizioni</strong> che interessa centinaia di edifici nei centri tra i più colpiti delle Marche, con ben 17 interventi distinti tra <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/arquata-del-tronto-dopo-il-sisma-il-turismo-che-non-cera/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Arquata del Tronto</a>, Castelsantangelo Sul Nera, Visso, Ussita e Pieve Torina, sarebbe dovuto partire con il grosso degli interventi entro l’autunno. Di fatto è ancora in piena fase burocratica, con le gare in corso per affidare i lavori.</p>



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<h2 id="h-l-italia-delle-emergenze-ancora-in-corso-si-lavora-ancora-sui-terremoti-di-un-secolo-fa">L’Italia delle emergenze ancora in corso: si lavora ancora sui terremoti di un secolo fa</h2>



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<p>Le <strong>case ricostruite</strong> secondo i dati al 30 settembre scorso erano 4.937, pari all’<strong>11% degli edifici danneggiati</strong>. Sino a quella data sono state presentate 13.089 richieste di contributo, pari al 29% del totale degli edifici danneggiati, per una cifra che ammonta a 5,6 miliardi. I contributi concessi dall’ufficio speciale ricostruzione sono 3,2 miliardi. I danni di tutto il cratere del sisma del centro Italia ammontano a oltre 27 miliardi di euro; sino ad oggi ne sono stati spesi circa 4,8.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Orazi.png"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Orazi.png" alt="" class="wp-image-53454" /></a></figure></div>


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<p>A causa dei terremoti, tra il 1962 e il 2018 <strong>sono morte 5.018 persone</strong>. Secondo i dati forniti dal commissario <strong>Giovanni Legnini</strong> a un seminario tecnico, ogni anno si spendono 3 miliardi di euro per ricostruire quelle zone d’Italia devastate dalle scosse, per un totale di 191 miliardi di euro di danni a prezzi correnti, dal terremoto del Belice in Sicilia nel 1968 sino ad oggi.</p>



<p>Attualmente, ha stimato Legnini, sono <strong>sette le ricostruzioni in corso</strong>, oltre al sisma del 2016-2017: la ricostruzione post sisma 2009 all’Aquila, quella di Ischia del 2017, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-terremoto-in-emilia-non-ha-spezzato-le-imprese/">dell’Emilia-Romagna del 2012</a>, e inoltre in Molise, Mugello e Catania. A ogni terremoto le sue procedure e le sue regole.</p>



<p>È tuttora aperta, con ventimila pratiche pendenti presso la Regione, la ricostruzione post terremoto dell’<strong>Irpinia</strong>: a oltre quarant’anni di distanza, per completarla sono stati stanziati dalla Campania 120 milioni di euro; fino al 1991, anno della commissione di inchiesta guidata da Oscar Luigi Scalfaro, erano stati spesi 25,8 miliardi di euro.</p>



<p>A <strong>Messina</strong> è terminata un anno fa la demolizione delle baracche dove vivevano ancora circa 2.000 persone, eredità del terremoto del 1908.</p>



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<h2 id="h-la-corresponsabilita-dei-morti-nei-terremoti">La “corresponsabilità” dei morti nei terremoti</h2>



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<p>Tra i processi e le condanne conseguiti a queste vicende non è mai accaduto che le <strong>vittime</strong> abbiano tenuto un comportamento che le rende <strong>corresponsabili della loro stessa morte</strong>. Questo fino a pochi mesi fa.</p>



<p>Non più tardi dello scorso ottobre la giudice Monica Corsi del tribunale dell’Aquila, nella richiesta di risarcimento per un palazzo il cui crollo provocò 24 morti, ha avuto il coraggio di scriverlo testualmente nella sentenza. “È fondata l’eccezione di <strong>concorso di colpa delle vittime</strong>, costituendo una condotta incauta quella di trattenersi a dormire nonostante il notorio verificarsi di due scosse nella serata del 5 aprile e poco dopo la mezzanotte del sei aprile”, si legge nel testo, che stima un concorso di colpa del 30%.</p>



<p>Alle prime scosse, quindi, è il caso di precipitarsi fuori, perché se tutto crolla, chi rimane dentro sarà ritenuto responsabile dei danni e anche in parte della propria morte, secondo l’interpretazione che ha fatto indignare tante persone.</p>



<p>Questo gioco alla <strong>deresponsabilizzazione</strong>, il non stabilire mai le colpe, condanna l’Italia a rincorrere nel tempo un <strong>susseguirsi di emergenze</strong>, che in mancanza di una chiara cornice normativa permettono di derogare alle leggi ordinarie e dirottare fiumi di denaro per ottenere obiettivi urgenti, che spesso non sono risolutivi in un’ottica a lungo termine.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Foto-di-Angelo-Giordano-da-Pixabay-2.jpg"><img width="1024" height="681" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Foto-di-Angelo-Giordano-da-Pixabay-2-1024x681.jpg" alt="" class="wp-image-53250" /></a></figure>



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<h2 id="h-la-sicurezza-scolastica-la-sicurezza-di-tutti-ma-nessuno-pensa-a-prevenire">La sicurezza scolastica, la sicurezza di tutti. Ma nessuno pensa a prevenire</h2>



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<p>L’ipocrisia che grida vendetta è quella legata alla tragedia di <strong>San Giuliano di Puglia</strong>, dove una scossa di magnitudo 5.7 fece crollare il tetto della scuola elementare, alle 11.32 del 31 ottobre 2002. Morirono 27 bambini e la loro maestra, vittime della criminale noncuranza di chi costruì l’edificio, senza rispettare le minime norme di sicurezza.</p>



<p>Per quei bambini e per la loro maestra, sulla <strong>sicurezza scolastica</strong>, purtroppo non scorrono ancora i titoli di coda. Secondo i dati di Cittadinanzattiva non si conosce l’anno di costruzione del 26% delle scuole; il 42% è stato costruito prima del 1976; più della metà non ha l’agibilità (quasi il 58%) e nemmeno il certificato di prevenzione incendi (54%). In teoria gli edifici senza collaudo statico non si possono utilizzare, ma oltre il 41% delle scuole ne è sprovvisto.</p>



<p>La parola <strong>manutenzione</strong> è stata per anni una sconosciuta per gli enti locali; per decenni non si è mai investito per garantire la sicurezza del patrimonio edilizio scolastico. Nel 2021 i lavori di ristrutturazione hanno riguardato solo il 7% delle scuole esistenti. Migliaia e migliaia di cittadini sono inconsapevoli dei rischi che corrono e ignorano di vivere vicino a una bomba a orologeria.</p>



<p>Anche se non si può prevedere il momento in cui ci sarà un’emergenza da calamità naturale, <strong>prevenire investendo sui fattori strutturali</strong> del territorio di riferimento potrebbe essere una strada percorribile.</p>



<p>In questo senso <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/sisma-marche-la-politica-ha-fatto-utili-con-le-macerie/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">la <strong>politica</strong> è gravemente miope</a>. Lo dimostra la gestione del <strong>fondo per la prevenzione del rischio sismico</strong>, istituito con la legge 77 del 2009, costituito presso il ministero dell’Economia e delle Finanze e destinato a coprire gli interventi per la <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/i-bonus-e-il-peccato-originale-delledilizia-italiana/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">prevenzione del rischio sismico</a> su tutto il territorio nazionale. La prima parte, di 965 milioni di euro, ha coperto solo l’1% del fabbisogno totale per la messa in sicurezza degli edifici. Lo si legge nella sezione dedicata, sul sito della Protezione civile nazionale: “La spesa autorizzata è di 44 milioni di euro per l’anno 2010, di 145,1 milioni di euro per il 2011, di 195,6 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, di 145,1 milioni di euro per l&#8217;anno 2015 e di 44 milioni di euro per il 2016. L’attuazione dell’art.11 è affidata al Dipartimento della Protezione Civile e regolata attraverso ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri. La cifra complessiva, che ammonta a 965 milioni di euro, pur se cospicua rispetto al passato, rappresenta solo una minima percentuale, forse inferiore all’1%, del fabbisogno necessario al completo adeguamento sismico di tutte le costruzioni, pubbliche e private, e delle opere infrastrutturali strategiche. Tuttavia, questa operazione consentirà la messa in sicurezza di altre strutture pubbliche proseguendo nei programmi già avviati dopo il terremoto di S. Giuliano di Puglia e potrà favorire un deciso passo avanti nella crescita di una cultura della prevenzione sismica da parte della popolazione e degli amministratori pubblici”.</p>



<p>Il fondo è stato rifinanziato con 50 milioni di euro per il 2019, briciole rispetto alla necessità di rendere più forti contro le scosse edifici pubblici e privati: meglio spendere tre miliardi l’anno per ricostruire in decenni dopo un terremoto che investire risorse per aumentare la sicurezza degli edifici e salvare le vite della gente.</p>



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<h2 id="h-i-regolamenti-comuni-per-le-ricostruzioni-restano-lettera-morta-nel-cassetto-del-governo">I regolamenti comuni per le ricostruzioni restano lettera morta nel cassetto del Governo</h2>



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<p>Un tentativo di dettare <strong>regole comuni per ricostruire</strong> è stato attuato per il cratere sismico del Centro Italia. Giovanni Legnini ha adottato il <strong>testo unico sulla ricostruzione privata</strong>, firmandolo il 15 dicembre 2022 e consegnando negli ultimi mesi del suo mandato anche la delega al Governo per scrivere il codice unico della ricostruzione, di cui finora non si vedono tracce nelle attività parlamentari.</p>



<p>A ogni<strong> emergenza</strong> <strong>in Italia</strong> c’è una certezza: <strong>si ricomincia da capo</strong>. Si piangono i morti, si attiva la Protezione civile, sfilano in passerella mediatica politici dei diversi schieramenti, si promettono provvedimenti mai attuati. E le tragedie si rinnovano, in una sorta di coazione a ripetere, determinata non dal fato o dall’ineffabile destino, ma dalla noncuranza umana, che a volte sfocia in omissioni criminali.</p>



<p>Ne sono un esempio due delle tragedie più recenti, le alluvioni a <strong>Senigallia</strong> e a <strong>Ischia</strong>, dove sono morte persone travolte dal fango.</p>



<p>Era il maggio 2014 quando il Misa, il fiume che scorre nel cuore di Senigallia inondò la città. Si parlò di realizzare una cassa di espansione in località Brugnetto, ma nulla è stato fatto e la tragedia, allora più contenuta con il conto di soli tre morti, si è ripetuta di fronte all’imprevedibilità di un nubifragio eccezionale.</p>



<p>Stesso film a Ischia: si stacca dal fronte della montagna un fiume di fango e travolge una trentina di case, dodici le vittime. Già un secolo fa, il 24 ottobre 1910, il Comune di Casamicciola fu colpito da un’alluvione, con il fango nato dal monte Epomeo, che causò tredici vittime. Un territorio di origine vulcanica fragile, su cui nonostante le conoscenze avanzate di quest’epoca si è continuato a costruire come se nulla fosse. Episodi che dimostrano come la collettività non impari quasi mai nulla dalle tragedie, per prevenire eventuali calamità e disastri nel futuro.</p>



<p>Eppure il <strong>dissesto idrogeologico</strong> non è un’ipotesi remota in Italia, ma interessa secondo l’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione dell’Ambiente) oltre il 93% dei Comuni italiani, con <strong>1.300.000 persone</strong> che rischiano di essere coinvolte nelle <strong>frane</strong> (pari a 548.000 famiglie), e <strong>6.800.000 persone</strong> (pari a 2.900.000 famiglie) sono sotto la spada di Damocle delle <strong>alluvioni</strong>, secondo i dati del Rapporto ISPRA sul dissesto idrogeologico in Italia del 2021. Sono 565.000 gli edifici che si trovano in una zona molto pericolosa per frana, mentre sono un milione e mezzo quelli che rischiano di essere coinvolti in alluvioni.</p>



<p>Quante altre tragedie servono prima che cominciamo a prendere provvedimenti prima che i disastri siano avvenuti?</p>



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<p><strong><em>In copertina e dentro l&#8217;articolo, foto di Angelo Giordano da Pixabay </em></strong></p>



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Emergenze, non sappiamo ricostruire altro che l&#8217;ipocrisia: qui stanno in piedi solo i crolli

<p>Nei paesi rurali del Sud stanno in piazza o bazzicano tra le baracche dei ghetti; nelle città a più alto valore aggiunto del Centro-Nord hanno uffici ben attrezzati, magari in zona centro o in un hub direzionale tutto vetri e specchi. Sempre di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/siamo-uomini-o-caporali/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>caporali</strong></a> si tratta: di persone che facilitano l’incontro illecito tra domanda e offerta di lavoro, che lucrano sul <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporalato-800000-lavoratori-sottopagati-per-lo-piu-italiani/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">lavoro sottopagato di altri</a>, che partecipano alla filiera dello <strong>sfruttamento</strong> che contempla anche la riduzione in <strong>schiavitù</strong>.</p>
<p>È fuori discussione che il fenomeno riguardi prevalentemente l’<strong>agricoltura</strong> e, in questo comparto, le Regioni del <strong>Sud Italia</strong>, come conferma da ultimo un rapporto dell’Osservatorio Placido Rizzotto della FLAI CGIL: sugli oltre 650.000 lavoratori irregolari censiti in Italia, il 34%, pari a 175.000 uomini e 55.000 donne, è sfruttato e malpagato nei campi, soprattutto in quelli di <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/puglia-caporalato-fondi-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Puglia</a>, Sicilia, Campania, <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-lavoro-in-calabria-ha-fatto-goel/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Calabria</a> e Lazio; sono circa 300.000 gli occupati in agricoltura che alimentano il fenomeno del cosiddetto “lavoro povero”, con un’incidenza tripla rispetto alla media degli altri comparti. Segmentando l’analisi e prendendo a misura la sola comunità dei <strong>lavoratori migranti</strong> – comunitari e non – quelle percentuali, in sostanza, raddoppiano.</p>
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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Di-Bari-New.png"><img loading="lazy" decoding="async" width="834" height="623" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/12/Di-Bari-New.png" alt="" class="wp-image-53451" /></a></figure>
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<h2 id="h-ci-sono-caporali-e-caporali-ma-l-obiettivo-e-sempre-accrescere-il-margine-di-guadagno">Ci sono caporali e caporali, ma l’obiettivo è sempre accrescere il margine di guadagno</h2>
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<p><strong>Sfruttamento</strong> e <strong>lavoro povero</strong>, anche questo è acclarato, non sono radicati e diffusi solo nelle aree marginali dell’Italia agricola. Queste prassi, sostengono gli osservatori della FLAI CGIL, riguardano anche i distretti agricoli d’eccellenza e la coltivazione, raccolta e trasformazione di prodotti tra i più identitari ed emblematici del sovranismo made in Italy. Riguardano settori di produzione in cui i caporali hanno assunto una <strong>funzione strategica per il reclutamento di personale</strong> utile a conservare o incrementare <strong>margini di guadagno</strong> altrimenti erosi dall’inefficienza organizzativa, dall’incremento dei costi di produzione, dalla riduzione delle aree di mercato.</p>
<p>A conti fatti, le ore annue di lavoro irregolare ammontano a 300 milioni sul totale di 820 milioni dell’intero comparto agricolo. E il restante <strong>66% di lavoratori irregolari</strong>? Sono sfruttati nei <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporali-cantieri-terremoto-marche-yvan-sagnet/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">cantieri</a>, nelle <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-parlamentare-zan-grafica-veneta-non-stampo-con-chi-sfrutta-i-lavoratori-editori-niente-da-dire/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">fabbrichette</a>, nella logistica, nei call center, nei servizi di cura, nella ristorazione e, da ultimo, anche nelle strutture sanitarie. In tutti questi settori si assiste all’<strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/il-caporalato-in-italia-sfrutta-pure-whatsapp/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">evoluzione della forma del caporalato</a></strong>: lo spregiudicato mercante di braccia che guida uno scassato pulmino, picchia gli uomini e molesta le donne è sostituito dal più forbito e non meno spregiudicato titolare di un’<strong>impresa</strong> o di un’<strong>agenzia di servizi</strong>, o ancora dal presidente di una <strong>cooperativa</strong> che si offre come intermediatore di mano d’opera.</p>
<p>I <strong>contratti</strong> stipulati con il soggetto che media sono formalmente dei part-time o co.co.co. o altro tipo di precariato, mentre le <strong>prestazioni effettive</strong> sono normalmente a <strong>tempo pieno</strong>. Applicando con sapienza gli strumenti del “<strong>caporalato industriale</strong>”, come lo hanno definito i ricercatori dell’Osservatorio Placido Rizzotto, si arriva ad abbattere il costo del lavoro anche del 40%, realizzando un ottimo margine anche in termini di evasione fiscale e contributiva.</p>
<p>Sono le braccia e le menti di queste lavoratrici e questi lavoratori che alimentano la filiera dell’economia sommersa, il cui valore, nel 2020, ha superato i 157 miliardi di euro, che equivalgono a poco meno del 10% del Prodotto Interno Lordo. Beni e servizi ceduti al consumatore finale a un <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/passato-prossimo-se-la-polpa-di-pomodoro-strozza-il-futuro/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">prezzo più basso di quello di mercato</a></strong>, in molti casi tanto più basso da essere inferiore al costo di produzione legale di un bene o di un servizio analogo, così da generare una recessiva corsa al ribasso.</p>
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<h2 id="h-come-si-contrasta-il-caporalato-yvan-sagnet-nocap-e-lo-sbocco-nella-gdo">Come si contrasta il caporalato: Yvan Sagnet, NoCap e lo sbocco nella GDO</h2>
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<p>Sulle pagine di <em>SenzaFiltro</em> e sul palco di Nobìlita abbiamo spesso scritto e parlato del <strong>caporalato</strong>, tanto per denunciarne le <strong>nefandezze</strong> ai danni di persone deboli e marginali quanto per far emergere <strong>azioni positive</strong> di riscatto e modelli economici sostenibili.</p>
<p>È la ragione per cui, ad esempio, alla pirotecnica ascesa e lacrimosa caduta di <strong>Aboubakar Soumahoro</strong> abbiamo preferito la silente operosità di <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/yvan-sagnet-nocap-al-nord-il-50-del-caporalato/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Yvan Sagnet</a></strong> e dell’associazione <strong>NoCap</strong>. Entrambi conoscono i ghetti della Puglia, della Calabria e della Sicilia: l’uno li ha utilizzati come palcoscenico della sua ascesa social-politica senza mutare nulla della pessima condizione di nessuno tra quanti hanno condiviso le lotte che ha usurpato ad altri; l’altro ha offerto a decine di donne e uomini l’opportunità di prestare il proprio lavoro nel pieno rispetto della legge e guadagnando ciò che prevedono gli accordi sindacali, così come di non abitare più in una baracca che ogni giorno rischia di andare a fuoco.</p>
<p>Perché, in fin dei conti, il caporalato è un fenomeno criminale, talvolta organizzato a livello internazionale, come hanno dimostrato le inchieste della magistratura e acclarato le sentenze dei tribunali, ed è anche uno dei <strong>fattori distorsivi</strong> della corretta dinamica del <strong>mercato del lavoro</strong>. E, per conseguenza, della libera <strong>concorrenza</strong> tra imprese.</p>
<p>Limitare la sua definizione – anche legislativa – al solo primo elemento depotenzia l’elaborazione e la promozione del suo contrasto sul piano delle dinamiche economiche, che pure – è il caso di NoCap e degli <strong>accordi con la media e</strong> <strong>grande distribuzione alimentare</strong> – si stanno avviando e strutturando proprio nelle campagne del Sud. Lì sono migliaia le donne e gli uomini che ancora lottano per ottenere il riconoscimento sostanziale e non formale della piena soggettività di lavoratrici e lavoratori.</p>
<p>Un’evoluzione positiva che sarà limitata a una nicchia produttiva e di consumo, fino a quando l’Italia e l’Unione europea preserveranno l’attuale sistema di regolazione e contrasto dei flussi migratori e Governo e Regioni non riusciranno a costruire un sistema ordinato e organico di gestione dell’accoglienza e dei migranti, capace di liberarci tutti dal giogo materiale e politico dell’emergenza continua.</p>
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<p><strong><em>In copertina</em></strong> <strong><em>Yvan Sagnet sul palco di Nobìlita</em></strong></p>
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Gianni di Bari

Ho speso 34 dei miei quasi 58 anni ad occuparmi di comunicazione. Ho iniziato come giornalista, pubblicista dal ‘92 e professionista dal ’97, per testate locali, regionali e nazionali. Sono passato alla comunicazione per le aziende e per le istituzioni, che pratico tutt’oggi. L&#8217;interesse professionale si è focalizzato sulla promozione delle produzioni agroalimentari italiane, anche facendo leva sulle connessioni tra cibo e cultura, e su azioni di marketing territoriale orientate all&#8217;incremento dei flussi turistici, anche attraverso la valorizzazione delle forme d&#8217;arte tradizionali. Nel mentre ho fatto parte del gruppo di progettazione e organizzazione del Gargano Film Festival, prima rassegna cinematografica estiva realizzata nel territorio garganico, e del concorso Sud in Corto, realizzato in collaborazione con la Warner Bros. Ho presieduto il Circolo Arci Bellamì, luogo di promozione della cultura teatrale e musicale di base, e gestito la vineria Anime Brille, nel centro storico di Foggia, dove organizzo rassegne teatrali, musicali e librarie. Il tempo del mio volontariato lo dedico all&#8217;organizzazione e alla comunicazione di eventi culturali e comunitari per l’associazione Casa Di Vittorio. MOTTO Sono senza filtro perché condividere un’opinione diversa fa bene a chi legge &#8212; MAIL DI REDAZIONE: gianni.db@fiordirisorse.eu Città di origine: Foggia Città di adozione: Quella dove trascorrerò la vecchiaia in riva al mare Titolo di studio: Diploma di maturità scientifica Il mio lavoro: È prevalente l’attività di comunicazione istituzionale e assistenza legislativa. Poi organizzo eventi ed elaboro progetti di marketing territoriale mentre collaboro a Senza Filtro Per SenzaFiltro scrivo di: Attualità e politica Film preferito: C’era una volta in America (Sergio Leone), però ho pianto al termine di The rise of Skywalker (ultimo capitolo della saga di Star Wars 40 anni dopo il primo visto al cinema) Disco preferito: “Harvest”, Neil Young (solo perché è stata la mia porta d’accesso al rock ‘n ‘roll) Libro preferito: Tutto ciò che hanno scritto Borges e Calvino

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Uomini, senza caporali: a Soumahoro preferiamo Sagnet

Il recente caso di cronaca sui famigliari di Aboubakar Soumahoro ha riacceso i riflettori sul tema del caporalato e sui metodi per combatterlo nel concreto. SenzaFiltro è stato tra i primi a chiamare in causa chi ci è riuscito davvero.

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<p>Ansia, attacchi di panico, presentismo, paura di restare senza soldi. E ancora: burnout, dipendenza dal lavoro, sbalzi di umore e insonnia, che spesso compromettono la vita privata riducendo i rapporti con gli altri al minimo. Per non parlare del tempo libero, praticamente inesistente perché “si è indietro”, “il cliente ha bisogno di me” e così via, a lavorare in ogni momento e dovunque: sui mezzi pubblici, mentre si è a cena con amici, o addirittura ricoverati in ospedale.</p>



<p>Le<strong> partite IVA in Italia</strong> oggi sono anche questo. Dietro al mito del “posso organizzarmi quando voglio”, che ovviamente in parte è vero (e chi scrive lo sa bene), ci sono tanti<strong> disturbi mentali </strong>di cui si parla ancora troppo poco. Situazioni di disagio, a volte causate dal lavoro stesso, che compromettono tutta l’esistenza. E a questo si aggiunge che per chi è libero professionista le tutele in caso di malattia sono davvero scarse o assenti.</p>



<p><em>SenzaFiltro</em> ha raccolto le storie di <strong>cinque freelance</strong>. Ecco cosa ci hanno raccontato.</p>



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<h2 id="h-beatrice-mi-caricavo-di-lavoro-per-non-pensare-alla-mancata-maternita">Beatrice: “Mi caricavo di lavoro per non pensare alla mancata maternità”</h2>



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<p><strong>Beatrice Verga</strong> ha 35 anni, è web writer e ghostwriter freelance ed è un vulcano. Lo si sente in ogni parola che pronuncia tra una poppata e l’altra alla sua bambina, Azzurra, di quattro mesi, dalla sua casa in Brianza.</p>



<p>Ma per lei, milanese d’origine trasferitasi per amore, avere una figlia non è stato facile: ha dovuto sottoporsi a diversi trattamenti di PMA, sigla che sta per Procreazione Medicalmente Assistita. Ha iniziato nel 2019 fino a che quest’anno non ha dato alla luce sua figlia. In mezzo una<strong> dipendenza eccessiva dal lavoro</strong> che si è tramutata in burnout per “<strong>essermi caricata come un mulo per non pensare</strong>. A causa dei tanti transfer (<em>di embrioni</em>, <em>N.d.R.</em>) non andati a buon fine ho accumulato fallimenti su fallimenti. Inoltre, ho avuto una gravidanza biochimica (<em>aborto molto precoce</em>, <em>N.d.R.</em>) nel luglio 2019. Nella mia testa esistevano solo la gravidanza e l’aborto. E così ho iniziato ad accumulare lavoro su lavoro. Lavoro che mi ‘arrivava’, ma che ero anche io stessa a cercare: se c’erano degli annunci rispondevo”.</p>



<p>Beatrice occupava ogni momento per portare avanti le sue attività, senza fermarsi a pensare. “Dovevo trovarmi con gli amici a fare un aperitivo alle 18.30? Fino alle 18.29 lavoravo dal bar. Una volta ero al <strong>compleanno di un’amica</strong>, e mentre gli altri erano a bere io ero fuori dal locale a fare <strong>una riunione su Skype</strong>. Non esserci per me voleva dire perdere il controllo della situazione. E poi, <strong>se non finivo quello che dovevo fare</strong>,<strong> era la morte</strong>”.</p>



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<h2 id="h-presentismo-e-fomo-le-malattie-dei-freelance">Presentismo e FOMO: le “malattie” dei freelance</h2>



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<p>Qualcuno la chiama FOMO, ossia Fear of Missing Out,<strong> paura</strong> cioè di<strong> perdersi dei pezzi</strong>, che all’estremo porta al <strong>presentismo</strong>, tipico dei liberi professionisti che devono e vogliono esserci per clienti, colleghi, collaboratori, in ogni momento. Beatrice ha persino<strong> lavorato dall’ospedale</strong> dopo il secondo pick-up, che prevede il prelievo chirurgico degli ovociti dopo una stimolazione ormonale.</p>



<p>“Una volta tornata in camera, nonostante fossi affaticata e con bassa sedazione, ho corretto un articolo a suon di messaggi vocali. La persona con cui interagivo mi ha detto ‘rispetto alla prima volta ti sento sofferente’”.</p>



<p>Un primo cambiamento per lei c’è stato nel settembre 2020: “La pandemia non aveva avuto un grosso impatto sulla mole di lavoro. Io però <strong>cominciavo a sentirmi poco bene</strong>, inoltre mi ero legata a persone con cui condividevo solo il lavoro o il modo di approcciarsi: single e senza figli, super avvocati che venivano chiamati di continuo durante le cene. Finché non mi sono confrontata con una psicoterapeuta e business coach, che mi ha detto che avevo sviluppato una vera e propria <strong>dipendenza dal lavoro</strong>. Grazie a lei e all’aiuto di un’altra dottoressa, oltre che di mio marito e mia sorella, ho cominciato pian piano a riprendermi, anche se nel giugno 2021 ho avuto una ricaduta. Ho preso a fare colazione, cosa che non facevo, ad allenarmi e a darmi delle regole. E, mentre pensavo all’adozione e alla fecondazione eterologa, nel novembre 2021 la prima ecografia ha confermato la bella notizia che la PMA era andata a buon fine”.</p>



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<h2 id="h-dalla-bulimia-lavorativa-al-burnout-a-soli-27-anni-la-storia-di-jessica">Dalla bulimia lavorativa al burnout a soli 27 anni: la storia di Jessica</h2>



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<p>Di <strong>bulimia lavorativa </strong>tramutatasi in <strong>burnout </strong>ha sofferto anche <strong>Jessica</strong>, oggi ventinovenne, digital strategist freelance romana. E questo a causa del rapporto con i soldi: “Sono nata povera, figlia di operai, e ho dovuto lavorare per pagarmi gli studi; avevo un impiego full time e studiavo di notte o la mattina presto. E nonostante questo mi sono laureata prima di quanto avessi pensato”.</p>



<p>Una volta ottenuto il titolo, Jessica inizia a fare il lavoro che voleva, dopo aver provato a fare la giornalista: “Ho deciso di coniugare il mio interesse per la vendita con il marketing, pensando inizialmente di non poterci vivere. D’altronde ero figlia della narrativa di chi in questo settore viene pagato poco”.</p>



<p>E invece per lei è tutto il contrario:<strong> guadagna fin da subito</strong> fino a che, nel 2019, sviluppa una vera e propria<strong> dipendenza dal lavoro</strong>: “Mi ero accorta che per me guadagnare con la mia professione non era così difficile, avevo capito come organizzarmi al meglio, e così ho cominciato a <strong>prendere clienti su clienti,</strong> inebriata dal fatturato, dai soldi, dalla crescita. Quando nasci povera e cominci a vedere 3-4.000 euro netti al mese la vita ti cambia. Io mi svegliavo la mattina, guardavo su LinkedIn e cercavo clienti che, comunque, arrivavano anche da soli. Facevo call su call pensando di avere bisogno di nuove aziende, ma in realtà non era così: <strong>rincorrevo qualcosa che non mi serviva</strong> sentendo che dovevo alzare l’asticella. Ero convinta che potesse finire da un momento all’altro e mi sembrava impossibile che io, a 27 anni, fossi riuscita a costruirmi una fortuna”.</p>



<p>Jessica lavora dalle <strong>8 del mattino </strong>alle <strong>11 di sera</strong>,<strong> 7 giorni su 7</strong>, e arriva addirittura a pensare che stare a casa senza fare nulla voglia dire perdere tempo. “Mi dicevo: perché stare qui a vedere una serie TV quando posso guadagnare 300 euro facendo delle cose?”.</p>



<p>Una dipendenza tale che<strong> l’allontana da tutto e tutti</strong>: fidanzato, amici, famiglia. “Le persone non mi riconoscevano più, mi dicevano ‘cosa sei diventata?’. Ma io negavo dicendo che non era vero, era solo un momento. In fondo pensavo: se non lo faccio adesso, quando? Ero perfino arrivata a valutare la bravura di un professionista in base a quanto guadagnasse”.</p>



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<h2 id="h-ho-perso-15-kg-e-pensavo-che-mangiare-fosse-una-perdita-di-tempo">“Ho perso 15 kg e pensavo che mangiare fosse una perdita di tempo”</h2>



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<p>Fino a che il corpo non le dà i primi segnali: “Ho cominciato a svegliarmi la notte con dei pesi sullo stomaco, mi è sparito il ciclo e<strong> sono dimagrita di 15 kg</strong>. Non mangiavo, nella mia testa era una <strong>perdita di tempo</strong>, non bevevo, non parlavo con nessuno. Ho smesso anche di chiamare mia madre. Poi ho iniziato a perdere interesse per il lavoro. Mi sentivo risucchiata, e allora mi sono detta ‘facciamo finta che voglio dire basta’, e così ho iniziato a cercare aiuto, prima su internet, e poi su consiglio del medico di base sono andata in terapia per un anno. Grazie a questo e a un ansiolitico ne sono uscita. Ma soprattutto sono riuscita a riconoscere che <strong>avevo un problema</strong>: non volevo vivere la mia vita perché non ce l’avevo, volevo guadagnare per riempire degli spazi, pensavo di essere programmata per il dovere. Mi sentivo rifiutata da piccola perché povera e non volevo che fosse ancora così”.</p>



<p>Oggi Jessica, che convive con un’altra persona, ha imparato a riconoscere i segnali: “Se mi balla la palpebra vuol dire che devo fermarmi. Non lavoro mai più di otto ore, interrompo qualsiasi cosa stia facendo. Ora riesco a riposarmi anche per due-tre giorni di seguito e ho cominciato ad andare in vacanza. Il burnout mi è servito per <strong>capire quali sono i miei limiti e chi sono davvero adesso</strong>”.</p>



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<h2 id="h-quegli-attacchi-di-panico-che-mi-prendono-durante-le-call-la-storia-di-luisa">“Quegli attacchi di panico che mi prendono durante le call”: la storia di Luisa</h2>



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<p><strong>Luisa Fassino</strong>, 39 anni, webmaster della provincia di Asti, soffre di <strong>attacchi di panico dalle elementari</strong>, ma “finché non avevo chissà che responsabilità, li gestivo in maniera diversa. Prima facevo un lavoro in ufficio, stavo dietro le quinte, non avevo contatti con il pubblico. <strong>Aprire la partita IVA</strong> per me è stata una sfida. Sono avvantaggiata dal fatto che lavoro da casa, sebbene anche qui mi prendano gli attacchi di panico. Sono <strong>abbastanza invalidanti</strong>, quando succede mi gira la testa, non mi reggo in piedi, ho la sensazione fisica di cadere per terra, e questo anche se sono seduta”.</p>



<p>Per chi non lo sapesse, un attacco di panico è un episodio di improvvisa paura o di rapida escalation dell’ansia che può essere accompagnato da vertigini, sensazioni di soffocamento, palpitazioni, nausea, e “condito” dal timore di morire o di impazzire.</p>



<p>Come ricorda Luisa, può avvenire “<strong>senza un fattore scatenante</strong>, anche quando potenzialmente potrei essere tranquilla. A me è capitato diverse volte prima o durante le call: mi prende un affanno intenso, mi manca la voce, è come se mi accasciassi sulla scrivania. È una sensazione bruttissima, se posso spengo la telecamera dicendo che ho problemi di connessione o è suonato il campanello. Mi succede in particolare quando ho riunioni l’una di seguito all’altra o quando arrivo da fuori e ho una call già fissata. Quello che devo fare è prendere dei tempi tra una cosa e l’altra, ma non sempre ci riesco”.</p>



<p>Episodi simili a Luisa capitano anche fuori casa: “Specie se sto tanto in piedi, anche se devo dire che tutte le persone con cui interagisco sono sempre comprensive. Io non dico ‘ho un attacco di panico’, cerco di mascherare la causa dicendo che mi gira la testa e mi devo sedere. Purtroppo in quel momento ho <strong>la sensazione di morire.</strong> In passato mi duravano anche ore, ora li so gestire meglio. Sono stata in cura da una psicologa, ora vado da un neurologo, ogni tanto”.</p>



<p>Nonostante gli attacchi di panico, Luisa tende sempre a sfidarsi: “Voglio vivere la mia vita, ecco perché provo a fare anche cose che mi provocano disagio confidando nel fatto che ‘non morirò’. Paradossalmente, se la giornata è frenetica e ho poco tempo per pensare sto meglio, mi preparo prima; il problema è quando lo diventa in itinere. In realtà è una <strong>paura della paura</strong>. Penso: ‘Devo fare questa cosa, e se non stessi bene che cosa succederebbe?’. È come se l’autoalimentassi”.</p>



<p>Quando le chiedo se sa da che cosa hanno origine gli attacchi di panico, Luisa ci pensa un attimo e poi risponde: “Credo sia dovuto al fatto che dalle elementari alle superiori sono stata vittima di bullismo, e da lì è come se nella mia testa il problema fossi io. Ma sto lavorando per risolverlo”.</p>



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<h2 id="h-fatico-ad-alzarmi-e-penso-oggi-non-ce-la-faro-giacomo-e-la-sua-ansia-dentro-e-fuori-dal-lavoro">Fatico ad alzarmi e penso “oggi non ce la farò”: Giacomo e la sua ansia dentro e fuori dal lavoro</h2>



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<p>Anche per <strong>Giacomo</strong> (nome di fantasia), 50 anni, consulente informatico, le <strong>situazioni di ansia sono una costante</strong>. Il suo è un lavoro da partita IVA atipica, perché ha un unico cliente con cui lavora da tanti anni e con cui ha un buon rapporto. Ma nonostante tutto non sta attraversando un bel momento.</p>



<p>“Dal secondo lockdown ho avuto problemi di<strong> depressione</strong> e <strong>ansia</strong>, che un po’ fa parte anche del mio carattere, sono stato anche ricoverato. Credo sia dovuto al fatto di avere vissuto un periodo stressante, tra problemi al lavoro, la ristrutturazione della casa, il COVID-19, il bambino piccolo e altre situazioni famigliari che mi hanno portato a un <strong>carico che non sono riuscito a sostenere</strong>. Pensando solo al lavoro, a volte credo sia una causa, altre un effetto; per me è come se fosse uno spauracchio”.</p>



<p>E in effetti a Giacomo l’ansia comincia a venire la domenica sera, quando sa che il giorno dopo dovrà andare in ufficio o lavorare in smart. “Poi invece parto e sto bene. Però devo ammettere che <strong>al mattino per me è difficile alzarmi</strong>, ho dei tremori, mi sento carente di energia, vorrei restare a dormire perché mi alzo con un pensiero fisso: ‘<strong>Oggi non ce la farò</strong>’. 99 volte su 100 riesco a superarlo; quella volta in cui non ce la faccio lo dico. In azienda mi hanno sempre aiutato, ho avuto dei colleghi che mi hanno supportato e ho potuto essere sincero senza avere ripercussioni”.</p>



<p>L’ansia di Giacomo ha comunque una ricaduta sul lavoro: “Essendo un’azienda molto piccola a volte ci troviamo ad affrontare situazioni che vanno oltre quello che potremmo, e questo mi genera molto stress. Ma anche vivere situazioni nuove mi spaventa, mi crea una sorta di <strong>ansia anticipatoria</strong> che a volte può minare il mio lavoro e quello con i colleghi. Devo dire che per una partita IVA non è semplice e perdere le giornate, può compromettere la reputazione che ti sei costruito nel tempo. Allo stesso tempo ho imparato che <strong>raccontare quello che sta succedendo ti aiuta</strong>. Perché lo facciamo per le malattie e non per i problemi psicologici? Tutte le volte in cui l’ho fatto mi sono sentito meglio, non giudicato e soprattutto aiutato”.</p>



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<h2 id="h-ansia-di-trovare-clienti-e-di-dover-essere-sempre-originali-il-lavoro-di-un-freelance-e-anche-questo">Ansia di trovare clienti e di dover essere sempre originali: il lavoro di un freelance è anche questo</h2>



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<p>Un continuo sali e scendi di emozioni, ansia che fa svegliare nel cuore della notte, il peso di dover prendere delle decisioni da soli, perdita di concentrazione, sono situazioni apparentemente più leggere di quelle appena descritte, ma che rischiano ugualmente di compromettere la vita di un freelance.</p>



<p>Per <strong>Sabrina</strong>, 50 anni, travel blogger e web writer, spesso è così: “Sono attanagliata dall’ansia di proporre dei contenuti originali, mi sveglio con i pensieri di quello che devo fare, ho una vera e propria<strong> ansia da prestazione lavorativa</strong>. Oltre a quella di <strong>non trovare clienti</strong>. Ci sono momenti come ora in cui sono meno sotto pressione, ma in generale questo stato d’animo rimane. E spesso si traduce in giorni – a volte due o tre – in cui non riesco a portare avanti quello che ho iniziato, e per noi partite IVA, come sai, non lavorare incide sui guadagni. Momenti che a volte mi mettono così<strong> tanto in crisi da farmi piangere e arrabbiare</strong>. Arrivo pure a non sopportare i rumori esterni!”.</p>



<p>“Pian piano sto imparando a organizzare il mio lavoro in base a come mi sento e a cercare di lasciar andare, ma lotto con il fatto di voler portare a termine le cose a tutti i costi. Ho fatto tanti anni da dipendente, e anche se ho lavorato con persone con disabilità devo dire che avevo l’indennità di malattia, e in quel caso c’è sempre qualcuno che pensa per te. Per il libero professionista non è così: è tutto sulle sue spalle.”</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/salute/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Salute</a></strong>.</em></p>



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<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



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<p><em><strong>In copertina </strong></em><strong><em>foto di StockSnap da Pixabay</em></strong></p>


Ansia, presentismo, disturbi mentali? Siete affetti da partita IVA


<p>Scrivo questo pezzo durante l’ultimo giorno del G20 di Bali. In tutti i servizi che ho ascoltato nei telegiornali e in radio ho sentito dire la stessa cosa, uno, due, tre volte: <strong>Giorgia Meloni, unica donna presente al vertice</strong>. È vero, abbiamo solo lei come rappresentazione femminile di un capo di governo; già i dati ci dicono che le donne ai vertici sono molte meno e soprattutto molto meno rappresentate dai media rispetto agli uomini. E lei si fa chiamare “<strong>il presidente</strong>”. Come influisce questo atteggiamento sulle giovani che potrebbero essere ai vertici domani e sulla scelta delle loro carriere?</p>



<p>Ad esempio, la visibilità delle <strong>donne STEM</strong> nei media è ancora bassa. Il termine STEM è un acronimo formato con l’iniziale inglese di quattro diverse discipline, Science, Technology, Engineering e Mathematics, ed è utilizzato per indicare l’insieme delle materie scientifiche. La percentuale di donne intervistate è del 25-29%, con un tasso di citazione che è la metà rispetto agli uomini, anche nel giornalismo scientifico (fonte: Sara Reardon, Nature, 2021). Quali sono le conseguenze di questo <strong>atteggiamento mediatico</strong>?</p>



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<h2 id="h-il-sociologo-giovanni-boccia-artieri-non-rappresentare-le-donne-stem-significa-togliere-modelli-di-riferimento">Il sociologo Giovanni Boccia Artieri: “Non rappresentare le donne STEM significa togliere modelli di riferimento”</h2>



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<p><strong>Giovanni Boccia Artieri</strong>, sociologo e professore di Scienze della Comunicazione presso l&#8217;Università degli Studi di Urbino, ha un’opinione molto ferma a riguardo.</p>



<p>“Il fatto che <strong>le donne STEM non vengano rappresentate</strong> è un grave problema, perché significa che <strong>mancano i modelli di riferimento</strong> che possano invogliare le ragazze a scegliere questo tipo di percorso. In Italia in realtà c’è un numero abbastanza alto di ragazze interessate alla scienza, che però non pensano di poter avere gli stessi risultati del collega uomo. Anche quando seguono questi percorsi sentono di avere meno possibilità, proprio perché manca la rappresentazione sociale e mediatica di donne di successo in queste materie. Le ragazze hanno spesso la percezione che quel mestiere sia solo maschile.”</p>



<p>Alla base del problema ci sono ragioni storiche che hanno a che fare con le discriminazioni di genere in diversi ambiti, del dettaglio in quelli più avanzati e nel mondo universitario. Proviamo a pensare, ad esempio, al numero di rettori donne in Italia. Però qualcosa sta cambiando.</p>



<p>“Nella nostra università – spiega il professore – c’è una direttiva che non ti permette di accedere ai finanziamenti europei se non presenti un <strong>piano di consapevolezza di genere</strong> che ti obbliga a dichiarare quello che fai per combattere la discriminazione. Questo piano però è obbligatorio solo dall’anno scorso. La normativa si sta adattando, ma il percorso è lungo e in Italia il patriarcato ha delle radici storiche forti (e parlo della funzione pubblica in generale), tanto è vero che abbiamo la prima donna Presidente del Consiglio dei ministri che si fa chiamare ‘il presidente’. Che esempio è?”</p>



<p>Me lo sono chiesta anche io e ho trovato abbastanza ridicolo il tweet uscito pochi giorni fa: “<strong>Il presidente</strong> Gorgia Meloni ha incontrato <strong>la presidente</strong> Roberta Metsola e <strong>la presidente</strong> Ursula von der Leyen”.</p>



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<figure class="aligncenter size-full"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/meloni-metsola.jpg"><img width="285" height="349" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/meloni-metsola.jpg" alt="" class="wp-image-52554" /></a></figure></div>


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<h2 id="h-la-nuova-prospettiva-su-donne-e-stem-passa-per-i-media-tradizionali">La nuova prospettiva su donne e STEM passa per i media tradizionali</h2>



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<p>Ma la politica non è l’unico tasto dolente. Pensiamo all’esperienza della pandemia, i <strong>virologi</strong> che andavano in televisione erano <strong>per l’80% maschi</strong>. Forse ricordate solo Ilaria Capua come rappresentante femminile.</p>



<p>Artieri è convinto che sia necessario <strong>aumentare la notorietà delle donne STEM</strong> attraverso i <strong>media tradizionali</strong>.</p>



<p>“Ad esempio, le <strong>giornaliste</strong> sono ben rappresentate, e dovrebbero essere le prime ad avere questa attenzione e capire che in determinati temi le donne possono esprimere il loro parere come gli uomini. L’equilibrio di genere deve essere rappresentato. A proposito: sarebbe importante quando si cerca una figura di riferimento come un virologo, cercarne almeno due, un uomo e una donna, e alternarli. Lo stesso principio vale per le conferenze universitarie. Se a un convegno sul palco ci sono solo uomini si offre un’immagine molto forte dal punto di vista simbolico, e molto scoraggiante della rappresentazione pubblica. Ma il bilanciamento di genere non viene naturale, a meno che uno lo imponga. Molti sono contrari alle <strong>quote rosa</strong>, ma se non passiamo da quelle la strada sarà ancora più lunga. La ricerca <em>European girls in STEM</em> indica che le ragazze in Italia iniziano a interessarsi alle discipline scientifiche a 11 anni, ma la passione si affievolisce verso i 17 anni proprio perché mancano i modelli di riferimento rispetto a quello che vedono in tv e nel mondo, e questo contribuisce a non farle sentire adatte. È importante trovare il modo di alimentare la loro passione tra le medie e le superiori.”</p>



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<h2 id="h-stem-passion-la-mostra-sulle-donne-con-carriere-scientifiche-la-coautrice-claudia-cagliano-sottorappresentate-ma-vitali"><em>STEM Passion</em>, la mostra sulle donne con carriere scientifiche. La coautrice Claudia Cagliano: “Sottorappresentate, ma vitali”</h2>



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<p><strong>Claudia Cagliano</strong> ed <strong>Elisabetta Citterio</strong> hanno ben presente il problema, e proprio per colmare la lacuna mediatica e per incoraggiare le giovani studentesse hanno ideato la <strong>mostra fotografica <em>STEM Passion</em></strong> dedicata alle donne della scienza. La mostra, curata da COSP Verona, è stata inaugurata il 4 novembre e sarà esposta fino al 31 dicembre nella sede della Camera di commercio di Verona.</p>



<p>Elisabetta, autrice della mostra,&nbsp;è una biologa molecolare, oltre che fotografa; Claudia è coautrice della mostra, oltre che docente e consulente di comunicazione. Entrambe, amiche dall’infanzia e madri di figlie femmine, sentivano la necessità di colmare attraverso la fotografia un gap di genere evidente non solo nel nostro Paese, ma anche a livello globale.</p>



<p>“Le donne sono spesso raffigurate in modo stereotipato nell’ambito dei media, tradizionali e digitali, non solo in Italia, e sono sottorappresentate nelle discipline scientifiche, anche se sono una forza motrice vitale del progresso scientifico e una risorsa immensa nell’area STEM, come è emerso chiaramente durante la pandemia”, spiega Claudia Cagliano. “Con questo progetto multimediale itinerante vogliamo aiutare le nuove generazioni di donne a crescere in un contesto più paritario e incoraggiarle ad appassionarsi alla scienza e a diventare protagoniste attive del progresso scientifico. è necessario superare gli stereotipi di genere che sono sia di natura esterna, che interna. <strong>E la responsabilità è di tutti</strong> perché <strong>a volte siamo noi donne che ci precludiamo delle possibilità.</strong> A volte c’è la paura di non farcela e questo timore limita a priori, a livello inconscio, la possibilità di scelta”.</p>



<p></p>



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<h2 id="h-donne-che-abitano-la-scienza-non-modelli-irraggiungibili">Donne che abitano la scienza, non modelli irraggiungibili</h2>



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<p>La mostra colpisce nel segno tutte queste problematiche, e offre degli esempi da seguire in maniera costruttiva. Per questo tra i suoi primi sostenitori c’è <strong>COSP Verona</strong>, (Comitato provinciale per l&#8217;Orientamento Scolastico e Professionale). <strong>Lisa Conforto</strong>, direttrice del COSP, sa che il mercato del lavoro renderà necessari nuovi percorsi formativi e ha voluto portare la mostra a Verona per far riflettere sull’ambito STEM, perché anche se le ragazze sono brave e capaci spesso si fermano e rinunciano a certe carriere.</p>



<p>“Servono esempi che permettano ai ragazzi di fare scelte consapevoli, e nelle prossime settimane ospiteremo alla mostra più di 1.200 studenti tra scuole medie e superiori. Poi per questi studenti organizzeremo anche degli interventi a scuola con imprenditori, imprenditrici e ricercatori e ricercatrici che raccontino la loro esperienza STEM. <strong>La mostra deve far scattare una scintilla</strong>.”</p>



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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/Ionica_Smeets_STEMpassion_.jpg"><img width="1024" height="676" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/Ionica_Smeets_STEMpassion_-1024x676.jpg" alt="Leida, 2020. Ionica Smeets, PhD in Matematica Pura, è professore ordinario di Comunicazione scientifica presso l'Università di Leida, Paesi Bassi. La mostra STEM Passion sarà esposta fino al 31 dicembre nella sede della Camera di Commercio di Verona" class="wp-image-52555" /></a><figcaption class="wp-element-caption">Leida, 2020. Ionica Smeets, PhD in Matematica Pura, è professore ordinario di Comunicazione scientifica presso l&#8217;Università di Leida, Paesi Bassi. La mostra <em>STEM Passion</em> sarà esposta fino al 31 dicembre nella sede della Camera di Commercio di Verona</figcaption></figure></div>


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<p>“STEM PASSION &#8211; spiega Elisabetta Citterio &#8211;&nbsp;nasce dal desiderio di mettere in luce le protagoniste femminili del mondo della scienza, il cui contributo al progresso rischia di rimanere in ombra. Vogliamo contribuire ad ampliare l’idea di scienziato presente a livello di immaginario collettivo, partendo dal presupposto che non c&#8217;è una formula prestabilita per diventare ed essere scienziati”.</p>



<p>Il messaggio che Claudia, Elisabetta e Lisa vogliono trasmettere è che la scienza è bella, che la ricerca è un’attività che implica creatività e lavoro di gruppo e confronto anche a livello internazionale, al di là dello stereotipo dello scienziato chiuso in laboratorio. <strong>La scienza connette&nbsp;persone, discipline, interessi, nasce dalla curiosità e dal desiderio di conoscenza</strong><strong>,</strong>&nbsp;per questo Elisabetta ha voluto&nbsp;ritrarre le scienziate all’esterno, nel loro mondo al di fuori del laboratorio all’interno di vite complete e gratificanti. Le 39 fotografie in mostra vogliono restituire immagini di normalità, di naturalità.</p>



<p>Ci sono scienziate, ricercatrici, dirigenti, e la testimonianza di tanti percorsi diversi di carriera. Donne che hanno&nbsp;mantenuto la passione per la scienza, anche evolvendo dall’ambito della ricerca a quelli della comunicazione della scienza, dell’editoria scientifica, della gestione dei finanziamenti, conciliando il loro lavoro con la famiglia, i figli e gli interessi personali.</p>



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<p><strong>Non ci sono volti di superdonne irraggiungibili</strong>; semmai determinate. Al di là del caso di <strong>Carlotta Rossignoli</strong>, influencer e laureata con lode in Medicina a soli 23 anni che con il suo completo rosso ha infiammato la rete in questi giorni, quello che le due autrici vogliono dimostrare è che lo studio e la ricerca non devono essere una corsa, ma possono essere scelte che richiedono tempo, che devono essere maturate consapevolmente e che possono portare molto lontano.</p>



<p>Quindi l’appello non è solo rivolto alle giovani studentesse, ma anche ai loro <strong>colleghi maschi</strong>: andate a riflettere sulla mostra, non solo perché è interessante, non solo perché è gratis, ma soprattutto perché può cambiare le vostre prospettive. E un cambio di prospettiva è necessario per tutti.</p>



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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/discriminazioni/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Discriminazioni</a></strong>.</em></p>



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<div class="is-layout-flow wp-block-group"><div class="wp-block-group__inner-container">
<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>



<hr class="wp-block-separator has-text-color has-black-color has-css-opacity has-black-background-color has-background is-style-wide" />



<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>



<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>



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<p><em>In copertina: Museumplein – 2019 Amsterdam. Danielle Hulsman è Senior Research Technician presso il Netherlands Cancer Institute di Amsterdam. Danielle svolge ricerche sui meccanismi epigenetici alla base dello sviluppo del cancro, compresi i tumori cerebrali e polmonari. Foto di Elisabetta Citterio tratta dalla mostra STEM Passion.</em></p>


Donne STEM, i modelli di cui abbiamo bisogno non si laureano in anticipo

<p>“Per contrastare il <strong>caporalato</strong> serve la tracciabilità del lavoro: su questo la politica è la grande assente, ha più strumenti rispetto a noi della società civile, perché legifera, perché ha un sistema di controllo economico importante. <strong>La politica purtroppo latita</strong>, e gli interventi che fanno spesso sono interventi spot, quando servirebbero risposte strutturali rispetto a fenomeni strutturali. Purtroppo gli interventi ai quali assistiamo spesso sono messi in campo per dimostrare che si fa qualcosa, ma poi alla fine non si hanno risultati”.</p>
<p>Parole di <strong>Yvan Sagnet</strong>, fondatore di <strong>No Cap</strong>, che organizzando lo sciopero dei braccianti alla masseria Boncuri di Nardò (Lecce), nella calda estate del 2011, ha dato il via a quel movimento che ha poi portato all’introduzione del reato di caporalato nell’ordinamento italiano, per poi inventare con l’associazione il bollino etico e la filiera certificata, che garantiscono il giusto prezzo ai produttori agricoli.</p>
<p>Sagnet è intervenuto a Macerata lo scorso 17 novembre, in occasione della presentazione del docufilm <strong><em>Tra le macerie – sfruttamento lavorativo ed infiltrazioni criminali nei cantieri SAE</em></strong>, girato dagli studenti dell’università di Macerata, che hanno vinto un bando della Fondazione Falcone per la legalità. Tema del <strong>cortometraggio</strong> il caporalato e gli appalti illeciti avvenuti nel 2017, durante la fase della costruzione delle soluzioni abitative di emergenza, le cosiddette casette, destinate a chi aveva perso la casa dopo i terremoti del 2016 nel Centro Italia.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/sagnet-macerata-2.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2022/11/sagnet-macerata-2-1024x768.jpg" alt="" class="wp-image-52581" /></a><figcaption class="wp-element-caption">Yvan Sagnet durante la conferenza all&#8217;Università di Macerata del 17 novembre, tra la docente Lina Caraceni e il rettore John McCourt.</figcaption></figure>
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<h2 id="h-tracciabilita-del-lavoro-trasparenza-della-narrazione-il-modello-no-cap-riguarda-anche-edilizia-e-giornalismo">Tracciabilità del lavoro, trasparenza della narrazione: il modello No Cap riguarda anche edilizia e giornalismo</h2>
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<p>Nei piccoli centri delle Marche – Visso, Arquata del Tronto, Ussita, Castelraimondo, Camerino – in tutti <strong>cantieri pubblici per la costruzione delle SAE</strong>, per dare risposte all’emergenza abitativa dopo la devastazione pressoché totale di intere zone, sono state <strong>impiegate in modo illecito diverse persone</strong>: sono circa <strong>130</strong> i lavoratori coinvolti. Truffa, abuso d’ufficio, falso, lavori affidati a ditte senza certificazione antimafia sono i reati contestati dalla Procura di Ancona, per cui lo scorso ottobre c’è stato il rinvio a giudizio di 19 persone e 15 ditte, tra cui i vertici della Protezione civile regionale delle Marche. L’inchiesta è partita da alcuni lavoratori, che appoggiati dalla FILLEA CGIL, hanno avuto il coraggio di denunciare.</p>
<p>Nelle immagini del docufilm il racconto del caporalato: sette giorni su sette di lavoro per undici ore al giorno, dalle sei di mattina alle otto di sera, ma questi lavoratori reclutati da un caporale non avevano i soldi per pagare l’affitto e venivano privati dei documenti; malattia e ferie non esistevano. Se si avvicinavano le forze dell’ordine ai cantieri, i lavoratori venivano mandati via. È accaduto anche nella costruzione dello studentato donato dalle Province di Trento e Bolzano all’Università di Camerino.</p>
<p>I lavoratori erano <strong>alloggiati in piccoli container</strong>, con un bagno solo per quattro persone, <strong>il riscaldamento solo un’ora di notte</strong>, in zone dove la temperatura nei mesi più freddi può arrivare anche a dieci gradi sotto zero. I lavori, tramite gli strumenti della rete d’impresa e del subappalto, erano stati affidati a una serie di imprese che non erano iscritte né alla white list – la lista delle imprese tenuta da ciascuna prefettura per rendere più agevoli i controlli antimafia – né all’anagrafe antimafia.</p>
<p>Sagnet, che come ama dire è passato dalla protesta alla proposta, chiede anche per il settore edile un’operazione “trasparenza” che permetta di tracciare il lavoro, e invita i giornalisti ad approfondire le questioni nel merito: “<strong>Il modello No Cap è applicabile anche all&#8217;edilizia</strong>, lo possiamo applicare a tutti gli altri settori economici come la logistica e il settore turistico. Serve <strong>tracciabilità</strong>, sia del lavoro che della filiera. In edilizia c’è un sistema di appalti e subappalti, ma tracciare il lavoro si può. Per ribaltare la narrazione occorre raccontare la verità sempre, entrare nel merito delle situazioni come giornalisti. Ci sono spesso confusione e interpretazioni diverse, quindi il giornalista deve iniziare a dirimere le questioni per far emergere la verità delle cose”.</p>
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<h2 id="h-yvan-sagnet-ora-il-reato-di-caporalato-punisce-tutta-la-filiera">Yvan Sagnet: “Ora il reato di caporalato punisce tutta la filiera”</h2>
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<p>Sagnet ha fondato l’associazione No Cap per ribaltare la prospettiva dello sfruttamento lavorativo nel mondo agricolo. Da <strong>studente di Ingegneria delle telecomunicazioni al Politecnico di Torino</strong> si era ritrovato <strong>bracciante agricolo in Puglia</strong>, grazie al passaparola, perché aveva perso la borsa di studio e per mantenersi agli studi era stato costretto a cercare un lavoro.</p>
<p>“Non conoscevo la Puglia, ma avevo necessità di lavorare e ho scoperto la brutta realtà del caporalato, una realtà che non mi aspettavo. Eravamo isolati dal centro abitato. Mi sono chiesto, siamo ancora in Italia o in un Paese del terzo mondo? Nemmeno nella mia Africa avevo mai visto cose di questa natura, gli esseri umani vivevano in una sorta di degrado estremo senza acqua né gas. C’è una <strong>legge parallela dello Stato portata avanti dai caporali</strong>. Non tutti i lavoratori percepiscono di essere sfruttati e di trovarsi in una situazione di profonda illegalità. Grazie agli strumenti culturali che avevo ho capito di essere in un contesto anomalo, ma ho dovuto arrivare all’estremo anch’io per capire che qui si parla di schiavitù”.</p>
<p>La battaglia ha portato ad ottenere l’<strong>articolo 203 bis </strong>che prevede il <strong>reato</strong> <strong>di caporalato</strong>, racconta Sagnet: “Cinque anni dopo il reato è stato completato grazie alla battaglia di tutti, la CGIL ha fatto da avanguardia per la modifica. L’articolo si limitava solo al caporale: è arrivata la legge organica che ha individuato le <strong>responsabilità degli altri componenti della filiera</strong>. Mi sono detto: <strong>se ci sono i caporali, ci sono anche i generali</strong>, e sono andato a ritroso a cercarli, perché il caporalato è solo un effetto di un sistema, che regge un modello economico, un reato commesso con la finalità del massimo profitto. Chi fa il caporale lo fa per tornaconto economico, di cui beneficia tutta la filiera”.</p>
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<h2 id="h-dai-caporali-ai-generali-la-gdo">Dai caporali ai generali: la GDO</h2>
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<p>Per quanto riguarda il sistema agricolo, Sagnet individua il mandante nella <strong>Grande Distribuzione Organizzata</strong>: “La GDO impone i prezzi ai produttori, cifre bassissime che non consentono di reggere i costi. I prezzi pagati agli imprenditori sono 9 centesimi per un chilo di pomodori o 7 centesimi per un chilo di arance; gli imprenditori agricoli non ce la fanno ad affrontare più una serie di costi e non hanno potere contrattuale. Se l’imprenditore non accetta il prezzo imposto, la GDO si rivolge a un altro”.</p>
<p>Con cinquemila euro dati ad un caporale “ci si toglie il pensiero” di dover trovare e gestire il personale, spiega l’attivista di No Cap: “Il tema riguarda chi compra, ma il <strong>prezzo</strong> deve essere <strong>determinato da chi produce</strong>, <strong>non da chi compra</strong>. La Grande Distribuzione Organizzata ha messo in atto un meccanismo perverso che si ripercuote sull’anello più debole, i lavoratori. Le aziende hanno costi fissi, eccetto quello del lavoro”.</p>
<p>Sagnet ha spiegato che l’impostazione di No Cap è stata quella di intercettare tutti gli attori della filiera e <strong>proporre un modello di sostenibilità economica</strong>: “Partiamo dai generali dei supermercati, chiediamo di <strong>comprare i prodotti a prezzi giusti</strong> per cambiare le regole del mercato. Ci sono supermercati che riconoscono l’etica del lavoro, incontriamo anche produttori che non hanno più alibi e possono pagare normalmente i braccianti”.</p>
<p>“Abbiamo messo in campo una filiera sostenibile per tutti, ma un ruolo essenziale ce l’ha il consumatore. Per cercare di sensibilizzarlo abbiamo inventato il bollino etico, che ha la funzione di individuare i prodotti della filiera etica che vanno nei supermercati, che hanno aderito alla rete. Bisogna avere consapevolezza nei nostri acquisti, dietro una passata di pomodoro e arance ci sono volti e vite. Anche qui la narrazione va capovolta. <strong>I prodotti non possono venire prima dell’essere umano</strong>: prima vengono le persone con i loro diritti”.</p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi gli altri articoli a tema <strong><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/caporalato/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Caporalato</a></strong>.</em></p>
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<p class="has-text-align-right"><em>Leggi il mensile 116, &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-116/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Cavalli di battaglia</strong></a>&#8220;, e il reportage &#8220;<a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/reportage/112-reportage-sua-sanita-pnrr/" target="_blank" rel="noreferrer noopener"><strong>Sua Sanità PNRR</strong></a>&#8220;.</em></p>
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<p><em>L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.</em></p>
<p><em>Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro.&nbsp;</em></p>
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<p><em>In copertina, l&#8217;intervento di Yvan Sagnet al <a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/numero-78/" target="_blank" rel="noreferrer noopener">Nobìlita Festival 2019</a>.</em></p>


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Orazi

Monia Orazi

Classe 1976, è una giornalista freelance che vive e lavora nelle Marche dove approfondisce temi di attualità imprenditoriale legati alle dinamiche economiche e ambientali del territorio di riferimento. Collabora con Corriere Adriatico e Cronache Maceratesi. Il suo motto è &#8220;memento audere semper&#8221;.

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Yvan Sagnet e il caporalato tra le macerie: Marche, 130 gli irregolari sfruttati nei cantieri del terremoto

Il fondatore di No Cap, durante una conferenza all&#8217;Università di Macerata, spiega come contrastare il fenomeno del caporalato in vari settori: tracciabilità del lavoro e trasparenza della narrazione. Se la politica collabora.

Yvan Sagnet e il caporalato tra le macerie: Marche, 130 gli irregolari sfruttati nei cantieri del terremoto - Informazione senza filtro

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