Volantini: tracciati come rider, pagati come braccianti

Seguiti con il GPS, minacciati, sottopagati: lo sfruttamento e gli illeciti nella distribuzione dei volantini si assomigliano in tutta Italia. Un vero e proprio sistema di caporalato, scoperchiato da inchieste svolte in diverse zone del Paese. E i marchi che cosa dicono?

19.01.2024
Un lavoratore straniero imbuca volantini in una cassetta delle lettere

Nella settimana tra Natale e Capodanno la procura di Novara ha chiesto il rinvio a giudizio per diciotto persone coinvolte a vario titolo in un giro di sfruttamento di pakistani senza permesso di soggiorno, utilizzati per distribuire volantini di catene commerciali.

L’inchiesta era partita nel 2021. Si era scoperto che l’organizzazione aveva incassato ben quattro milioni di euro in nero, grazie alle numerose commesse, ma ai migranti che mettevano i volantini nelle cassette postali veniva corrisposta una paga oraria di due euro. Il turno di lavoro durava anche dodici ore al giorno, e dal compenso gli “schiavi dei volantini” – come sono state ribattezzate le vittime dello sfruttamento – dovevano sottrarre una quota da lasciare all’organizzazione per un giaciglio in un capannone dismesso in una zona industriale, dove vivevano ammassati e in condizioni igieniche precarie.

Tracciamento via GPS, paghe e condizioni di vita misere: come funziona il caporalato dei volantini

La vicenda di Novara è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno diffuso in tutta Italia – a certificarlo sono le numerose inchieste della magistratura – che è sotto gli occhi di tutti, ma a cui non prestiamo attenzione. Gli uomini che entrano negli androni delle nostre case, carichi di volantini con le offerte dei supermercati, li consideriamo invisibili, o a volte intrusi fastidiosi che ci riempiranno la buca della corrispondenza di materiale pubblicitario indesiderato. Basta vedere il moltiplicarsi dei cartelli condominiali che invitano a non lasciare pubblicità.

Lo ignoriamo, ma in quel momento stiamo arrecando un ulteriore danno agli sventurati, portati sul luogo della distribuzione in vecchi furgoni da caporali che li scaricano in base alla zona assegnata e passano a riprenderli quando hanno finito il giro di consegne.

Li danneggiamo anche perché sono monitorati attraverso un sistema GPS. A scoprirlo sono stati i militari del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Pesaro e Urbino durante un’indagine. I militari hanno seguito gli spostamenti di settanta tra pakistani e afgani, richiedenti protezione internazionale, che venivano condotti per la distribuzione dei volantini anche nelle province di Rimini e Ancona. Erano “affidati” al controllo di un caposquadra, venivano monitorati tramite sistemi GPS, erano impiegati anche per più di undici, dodici ore di lavoro al giorno (per cinque, sei giorni alla settimana), violando ripetutamente la normativa in materia di orario di lavoro e riposo. Il tutto ricevendo una retribuzione di 30 euro al giorno, rigorosamente in nero.

Con la crisi, anche molti italiani espulsi dal mercato del lavoro – soprattutto per questioni anagrafiche che ne rendono quasi impossibile la ricollocazione – accettano di riciclarsi in “postini” della pubblicità. La sostanza, però, non cambia: stesse ore di lavoro, stessa misera paga in nero. Stesse modalità di sfruttamento.

Alto Adige, sequestri di documenti e minacce contro 41 lavoratori

La più grande inchiesta giudiziaria sul fenomeno degli schiavi dei volantini è stata condotta in Alto Adige: ha scoperchiato un sistema nel quale anche la criminalità organizzata, fiutando il business, sta cercando di entrare. Le indagini erano state coordinate dalla Procura della Repubblica di Vicenza.

Il meccanismo dello sfruttamento era stato spiegato dal colonnello Gabriele Procucci, comandante della Guardia di Finanza di Bolzano: “L’aspetto sconvolgente di questa vicenda è che l’organizzazione aveva messo in piedi una sorveglianza degli spostamenti e delle consegne con GPS applicati alle biciclette, senza che il lavoratori ne fossero a conoscenza”.

L’organizzazione che sovrintendeva alla distribuzione utilizzava 41 lavoratori stranieri, prevalentemente pakistani, indiani e algerini, tutti senza contratto di lavoro, che ogni giorno venivano trasportati e lasciati in diverse aree e Comuni della Bassa Atesina, tra Bolzano e Trento, con il compito di infilare in decine di migliaia di buche delle lettere pubblicità di supermercati, centri commerciali, market dedicati al bricolage.

Alcuni dei lavoratori, sottoposti a interrogatorio dalla Guardia di Finanza, hanno rivelato le condizioni nelle quali erano costretti a operare: in sella a vecchie biciclette, venivano sfruttati fino a tarda sera anche per 13-15 ore al giorno, sottoposti al controllo di un caposquadra e a costanti minacce di essere licenziati o malmenati qualora si fossero anche solo sognati di denunciare alle Forze dell’Ordine i soprusi subiti.

L’organizzazione, si legge nelle cronache dei quotidiani locali, era composta da cinque persone di nazionalità indiana e da due italiani. Per loro sono stati formalizzati i capi di imputazione di associazione per delinquere, illecita intermediazione e sfruttamento del lavoro, violazioni delle norme di sicurezza ed evasione fiscale.

Di nazionalità indiana l’uomo che aveva messo in piedi il sistema di volantinaggio in nero, fondato su una società con sede a Vicenza e regolarmente registrata, articolata poi in altre quattro ditte individuali e altrettante società per gestire al meglio la ramificazione dello sfruttamento in Trentino e nella parte meridionale della provincia autonoma di Bolzano.

La maggioranza degli schiavi dei volantini è risultata senza fissa dimora, senza legami famigliari in Italia e spesso costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie precarie. I “postini” venivano reclutati e spostati alla stregua di pacchi postali in varie zone del Nord Italia a seconda dei servizi di distribuzione che dovevano essere effettuati. Si è scoperto che i caporali sequestravano i documenti e utilizzavano la minaccia di rispedire i malcapitati al loro Paese quando qualcuno si azzardava a fare anche una minima rimostranza.

Emilia-Romagna, la catena di subappalto dei “volantinari”

Anche a Cesena la Guardia di Finanza ha scoperto un’organizzazione sospettata di sfruttare lavoratori, di nazionalità per lo più pakistana, che distribuiva volantini pubblicitari in diverse province dell’Emilia-Romagna. Anche qui i lavoratori erano in nero, la paga di 5 euro ogni mille volantini distribuiti, le condizioni di lavoro molto precarie. Il tutto era stato messo in piedi di tre individui di nazionalità pakistana, che avevano costituito delle società individuali di comodo.

A monte dell’organizzazione c’era una serie di imprese del riminese che ottenevano le commesse dai grandi marchi e poi subappaltavano il lavoro alle ditte individuali dei pachistani. I lavoratori sfruttati erano costretti a vivere in pessime condizioni igienico-sanitarie, in un’abitazione locata dai “caporali” per la quale pagavano tra i 100 e i 200 euro al mese a persona. Come i lavoratori sfruttati in Trentino-Alto Adige, anche quelli di Cesena erano sottoposti illecitamente a continua sorveglianza attraverso sistemi di localizzazione satellitare, che ne monitoravano tutti gli spostamenti.

A Formigine, in provincia di Modena, è stata invece la Polizia Locale a scoprire una ventina di richiedenti asilo provenienti da Senegal, Pakistan, Gambia e Burkina Faso: venivano utilizzati per distribuire volantini porta a porta dietro un pagamento medio al giorno di 15 euro. Il copione era sempre lo stesso: l’arruolamento da parte dei caporali, l’accompagnamento nelle zone di distribuzione con un furgone, dove erano pure caricate le biciclette assegnate. Il tutto condito da condizioni di vita molto penalizzanti, assenza di fissa dimora, malnutrizione, carenza di relazioni sociali.

La catena dei volantini, dalla grafica alla distribuzione: e i marchi che cosa dicono?

Non esistono dati ufficiali sullo sfruttamento di lavoratori nel volantinaggio perché il settore non è mai stato oggetto di studi. Anche se il volantino, come mezzo pubblicitario, è considerato da molti obsoleto, continua a essere molto utilizzato soprattutto per le promozioni.

Di solito esistono agenzie che offrono ilpacchetto completo”, dallo studio grafico, alla stampa, alla distribuzione. È in quest’ultima fase che spesso il materiale viene affidato a società terze, spesso senza scrupoli, che sfruttano i postini.

La domanda da farsi, a questo punto, è: i grandi marchi sapevano chi distribuiva i loro materiali pubblicitari? E nel caso non ne fossero a conoscenza, a seguito delle inchieste che hanno scoperchiato il sistema di sfruttamento diffuso in tutta Italia, hanno preso iniziative per scongiurarlo, o preferiscono scaricare la responsabilità su chi si trova in fondo alla catena dei subappalti?

 

 

 

Photo credits: marsicalive.it

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