Ci accoglie il vicedirettore del CAS, Ianik. Veniamo accompagnati verso l’area allestita per l’occasione: una stanza luminosa, piena di specchi e porte finestre. Lunghi tavoli e panche di legno, resti di cibo sul pavimento e un odore acre, prima grande differenza tra il mondo fuori e la vita all’interno.
Ci accomodiamo e Tiziana si presenta a 17 uomini seduti soprattutto negli ultimi posti. Sono di età diverse, dai 19 ai 50 anni. Vengono da Tunisia, Marocco ed Egitto. Indossano vestiti sportivi: jeans corti, pantaloni della tuta, scarpe da ginnastica, alcuni portano cappello e occhiali da sole in testa. Si conoscono: ridono e scherzano, si zittiscono e si provocano. Quasi tutti parlano l’italiano. Inizia la proiezione di un video sul funzionamento del lavoro regolare e sull’importanza del contratto come strumento per proteggersi dallo sfruttamento e rivendicare i propri diritti.
«Prima di tutto, a cosa pensate se usiamo la parola sfruttamento?»
Le risposte più frequenti sono incongruenza tra lo stipendio concordato e quello recepito e contratti troppo brevi o instabili. Solo una persona si riferisce all’assenza di diritti. Tiziana prova a far cenno al diritto primario di «dire quando le cose non vanno bene». Un uomo di 47 anni ride e, con il tono di chi in Italia c’è da abbastanza tempo da sapere come vanno le cose; dice «eh, e come si fa?». Tutti si scaldano ed emerge un commento deluso: «Noi siamo stranieri! Queste leggi che proteggono esistono solo per gli italiani!»
Sempre più persone si avvicinano interessate, occupando i posti in prima fila. Dai vari aneddoti emerge che nessuno di loro ha un contratto e la maggior parte svolge lavori manuali nell’edilizia, mentre alcuni si rivolgono alle cooperative accettando lavori a chiamata. Nessuno sente di potersi difendere o di poter scegliere un lavoro regolare. Tiziana fa notare però che, in quanto ospiti del CAS, possiedono documenti temporanei con cui poter pretendere un contratto. Parla poi del curriculum come strumento per inserirsi nel mercato del lavoro legale e dell’importanza della lingua e di laboratori per acquisire abilità pratiche.
Tiziana è bravissima a farsi capire: pur essendo accompagnata da una mediatrice usa qualche parola in arabo, e ciò, oltre a far divertire tutti, li spinge a prestare attenzione. «Cosa significa adesso lo sfruttamento con le informazioni che vi abbiamo dato?». Le risposte sono vaghe. Yassin, un ragazzo di 24 anni, afferma: «Sappiamo che si tratta di sfruttamento, ma alla fine lo cerchiamo, perché almeno con quel lavoro possiamo mandare qualcosa alle nostre famiglie. Non possiamo stare ad aspettare, è meglio sacrificare qualche diritto».