Stranieri al lavoro: almeno i numeri non sono razzisti

Quando si parla di stranieri in Italia sono tanti gli stereotipi e i luoghi comuni. Lo straniero è molte volte associato al termine “profugo”, tra l’altro spesso usato in modo improprio; è etichettato come una persona povera, che chiede l’elemosina per la strada o vende libri e braccialetti; alle volte, complici anche i media, è […]

Quando si parla di stranieri in Italia sono tanti gli stereotipi e i luoghi comuni. Lo straniero è molte volte associato al termine “profugo”, tra l’altro spesso usato in modo improprio; è etichettato come una persona povera, che chiede l’elemosina per la strada o vende libri e braccialetti; alle volte, complici anche i media, è associato ai malviventi. Ma non solo. Spesso gli stranieri sono identificati con la bassa manovalanza (per esempio badanti), sono considerati privi di titoli di studio e visti come coloro che “rubanoil lavoro agli italiani. Forse però lo stereotipo più importante è il fatto stesso di definire una persona “straniera”. Ha senso definire un uomo o una donna “stranieri” in una società sempre più multiculturale? Certo, ci sono i profughi, e ci possono essere esempi negativi fra gli stranieri, ma anche fra gli italiani. Quasi nessuno però racconta le storie di chi ce l’ha fatta. Quasi nessuno racconta con i numeri la realtà.

Il lavoro degli stranieri: più laureati e pagati di meno rispetto agli italiani

Spesso andando in giro si sentono voci che accusano gli stranieri di aver rubato lavoro agli italiani. Quello che però non si vede o non si vuole vedere è il fatto che molte persone in Italia – stranieri o meno che siano – si alzano presto alla mattina e lavorano fino a tarda sera. Gli stranieri però sono pagati di meno rispetto agli italiani e spesso hanno un’istruzione maggiore rispetto alla mansione svolta.

Secondo i dati forniti dal settimo rapporto annuale Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia (2017, a cura della Direzione Generale dell’immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali), imprenditori, lavoratori in proprio e liberi professionisti stranieri hanno una laurea in percentuale maggiore rispetto agli italiani. Nello specifico, il 28,3% degli imprenditori stranieri, il 67% dei liberi professionisti e il 9,4% dei lavoratori in proprio è laureato contro rispettivamente il 19,8%, il 64,6% e il 7,9% degli italiani; il 38,7% degli impiegati stranieri ha una laurea contro il 28,8% degli impiegati italiani; infine, il 6,5% degli operai stranieri ha una laurea (contro l’1,6% degli operai italiani) e il 42,6% ha un diploma (contro il 40,9% degli italiani).

È dunque innegabile che ci sia in media una sovraistruzione da parte degli stranieri rispetto alle loro mansioni; eppure sono pagati di meno. Nel 2016 si stima una retribuzione media netta mensile degli occupati dipendenti full time pari a 1.501 euro per gli italiani, di 1.203 euro dei comunitari e di 1.124 euro per gli extracomunitari; mediamente quindi i comunitari percepiscono il 19,9% e gli extracomunitari il 25,2% in meno rispetto alla retribuzione media dei lavoratori nativi. Se si guardano i titoli di studio, poi, si nota come gli extracomunitari laureati percepiscano il 31,1% in meno rispetto ai laureati italiani, mentre i diplomati extracomunitari percepiscono il 23% in meno rispetto ai diplomati nativi. Confrontando poi la nota semestrale del medesimo rapporto si nota come nel II trimestre 2017 è stato registrato un aumento sia degli occupati italiani (+0,6%) sia degli occupati stranieri UE (1,1%) ed Extra UE (+0,8%). Insomma, la crisi c’è per tutti; ma forse sarebbe il momento di sfatare i falsi miti negativi che spesso si sentono circolare.

Le imprese straniere sfiorano la quota 600.000

Così come è da sfatare lo stereotipo che vede gli stranieri tutti in povertà e tutti impegnati in lavori di bassa manovalanza. Certo, girando per le strade di Milano (ma non solo) si vedono extracomunitari che chiedono elemosina, o che si improvvisano venditori ambulanti, o ancora che sono in fila per fare una doccia davanti alle associazioni specifiche. Così come è vero che molti stranieri sono impiegati come braccianti agricoli, addetti all’assistenza personale, collaboratori domestici, camerieri o facchini.

Però bisogna raccontare anche che le imprese di stranieri sono in aumento. A dirlo anche in questo caso sono i dati. Secondo il report di Unioncamere e Infocamere, nel 2017 le imprese costituite da cittadini stranieri sono aumentate del 3,4% (tasso di crescita) arrivando a rappresentare il 42% di tutto l’aumento delle imprese registrato nel 2017, sfiorando quota 600.000 (587.499). I settori in termini di valore assoluto in cui le imprese straniere sono maggiormente presenti sono il commercio al dettaglio (162.170, pari al 19% delle aziende del settore), i lavori di costruzione specializzati (108.909, il 21% del totale), i servizi di ristorazione (circa 43.474, pari all’11%).

Geograficamente la regione più attrattiva è la Lombardia (114 mila unità), seguita dal Lazio (77 mila) e dalla Toscana (55 mila). Il paese più rappresentato è il Marocco (68.259 imprese alla fine dello scorso anno), seguito da Cina (52.075 imprese) e Romania (49.317). Per quanto riguarda Milano, l’Egitto concentra a Milano e provincia il 44,7% delle sue imprese in Italia, quasi la metà; anche l’imprenditoria cinese è stabile a Milano, con l’11% di tutta la sua rappresentanza italiana. Di esempi positivi, insomma, ce ne sono. Basta guardarsi attorno.

Jacopo Storni

Jacopo Storni: “Raccontiamo le storie di successo per combattere gli stereotipi”

Va detto che il fenomeno dell’immigrazione in Italia è recente, come sottolinea il giornalista e autore del libro L’Italia siamo noi (Castelvecchi) Jacopo Storni: “In Italia c’è un ritardo storico, non dovuto a motivi culturali e sociali. In Italia l’immigrato fa più clamore perché siamo meno abituati storicamente”.

Questa però non può essere considerata una giustificazione. Ora va messo in atto un mutamento di direzione, a partire dalla politica e dal giornalismo, attori fondamentali del cambiamento. “Finché almeno una parte della classe politica e i giornalisti racconteranno gli immigrati sempre allo stesso modo, è chiaro che verranno visti sempre allo stesso modo – prosegue Jacopo Storni – contribuendo a stereotipizzare l’immigrato. Per evitare questo tipo di omologazione standardizzata, che crea pregiudizio e paura, credo sia importante raccontare anche l’altro volto dell’immigrazione: bisogna far capire che l’immigrato non è solo il profugo o il povero, e neanche solo la bassa manovalanza. È tanto altro, ma nessuno ne parla. È importante, invece, raccontare le storie di successo per far sì che l’immigrato non sia più percepito solo come pericolo e minaccia ma soprattutto come risorsa e opportunità”. Ed è quello che ha provato a fare Jacopo nel suo libro, dove ha raccontato storie di immigrati di successo. “Io sono fiducioso: credo che l’Italia abbia molto da insegnare sulla società multietnica. Il futuro si costruisce con le nuove generazioni e i banchi sono ora multiculturali. Le classi di oggi sono il Paese di domani, e quindi ci sarà una convivenza migliore”.

 

Il reportage continua con i seguenti articoli:

Dal Cairo all’Italia: “Sono imprenditore ma lavoro con spirito da operaio”

Dall’Albania all’Italia: “La cultura non sfama, ma cura”

Dalla Siria all’Italia: “Ho tre lauree, sono giornalista, faccio la barista”

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