La ricerca accademica di Pino Audia e Christopher Rider ha dimostrato che il mito del garage non solo è falso, ma anche fuorviante: “Il mito del garage sminuisce il ruolo delle organizzazioni precedenti nel fornire a Jobs e Wozniak fiducia, esposizione a informazioni dettagliate, conoscenza del business e accesso a legami sociali chiave”. Il vero lavoro di progettazione avveniva negli uffici della Hewlett-Packard, dove Wozniak lavorava come ingegnere.
La demolizione di questo mito non è un dettaglio marginale, ma rivela un meccanismo più profondo: la costruzione di un racconto quasi religioso attorno al marchio Apple. Gli studiosi Anja Pogačnik e Aleš Črnič hanno analizzato questo fenomeno nel loro studio iReligion: Elementi religiosi del fenomeno Apple, utilizzando la definizione durkheimiana di religione per dimostrare le dimensioni religiose della mela più famosa del mondo attraverso quattro elementi: comunità, credenze, sacralità e rituali.
La comunità di Apple basa le proprie credenze su “nozioni di individualità, creatività e controcultura”, sostenute da “una mitologia che circonda la storia di Apple e la vita di Steve Jobs”. Il marchio Apple stesso diventa “il simbolo più sacro della comunità, protetto dal tabù della critica”, mentre “i prodotti agiscono come feticci religiosi per i devoti di Apple, e gli Apple Store funzionano come templi”.
La costruzione mitologica segue archetipi narrativi classici. Il mito della creazione vede Jobs e Wozniak nel garage come una nascita miracolosa. Il mito dell’eroe eleva Jobs a fondatore leggendario. Il mito satanico trasforma IBM e Microsoft nelle incarnazioni del male. Il mito della resurrezione celebra il ritorno trionfale di Jobs come CEO nel 1997, che salva l’azienda dalla rovina.
La ricerca di Heidi Campbell e Antonio La Pastina ha analizzato come l’iPhone sia stato etichettato come “telefono di Gesù”, dimostrando “come metafore e miti religiosi possano essere appropriati nel discorso popolare e plasmare la ricezione di una tecnologia”. Appena ore dopo la presentazione di Jobs nel 2007, “l’iPhone veniva già definito online il ‘telefono di Gesù’”, trasformando un dispositivo tecnologico in un oggetto di venerazione.
Claudio Cerasa, direttore del Foglio, ha catturato questa dimensione messianica nel suo articolo “Il Cristo dei computer”, dove Jobs viene descritto come figura salvifica della tecnologia moderna. La copertina di The Economist del gennaio 2010 ha cristallizzato questa iconografia: l’illustrazione di Jon Berkeley raffigura “Steve Jobs come un moderno Mosè con un’aureola di santo”, con “una delle sue caratteristiche magliette nere che spunta attraverso la veste biblica, mentre Jobs mostra un iPad invece delle due tavole di pietra dell’Esodo”.