Ammortizzatori sociali, “cuscinetti” morbidi e amari

In Italia gli ammortizzatori sociali sono spesso utilizzati come ponte di relazione tra la disoccupazione e il raggiungimento dell’età minima per andare in pensione. Il Jobs Act 2016 ha introdotto, accanto ai sussidi sociali come la tradizionale CIG (la Cassa Integrazione Guadagni in deroga) e la CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria), nuovi strumenti per blandire […]

In Italia gli ammortizzatori sociali sono spesso utilizzati come ponte di relazione tra la disoccupazione e il raggiungimento dell’età minima per andare in pensione. Il Jobs Act 2016 ha introdotto, accanto ai sussidi sociali come la tradizionale CIG (la Cassa Integrazione Guadagni in deroga) e la CIGS (Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria), nuovi strumenti per blandire la fame di lavoro che la crisi economica ha alimentato. Le aziende sono costrette a chiudere o a ridurre la loro attività; così l’INPS, per supplire al licenziamento in tronco dei lavoratori o alla semplice sospensione temporanea involontaria, introduce misure che prevedono il versamento di un contributo economico da parte dello Stato, la cosiddetta indennità mensile di disoccupazione. La NASpI (Assicurazione Sociale per l’Impiego) ha eliminato il requisito minimo per la contribuzione, introducendo le almeno trenta giornate di effettivo lavoro conseguite negli ultimi dodici mesi; l’ASDI (Assegno di disoccupazione) invece è una misura di sostegno al reddito per i disoccupati che non hanno ancora trovato lavoro dopo aver usufruito della NASpI. Molti sono stati, nel corso degli anni, gli ausili adoperati per supportare economicamente chi perde il lavoro. (Dis-Coll, disoccupazione agricola, edile, per commercianti etc.).

Il sostegno al reddito come ponte verso la pensione

Gli strumenti sono diversi ed effettivamente un poco caotici” ammette Emmanuele Massagli, Presidente di Adapt  e docente di Pedagogia del lavoro  e di Welfare della persona presso l’Università degli Studi di Bergamo. “Il Jobs Act su questo fronte è certamente intervenuto razionalizzando e semplificando. Nel farlo ha costruito chiare e diverse discipline relative agli «strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro» e agli «strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria», definitivamente superando la Cassa Integrazione in Deroga e, più in generale, la cassa integrazione per le aziende destinate a non riprendere alcuna attività. Questa operazione comporterà una minore durata degli strumenti di sostegno al reddito. Conseguentemente, la probabilità che ci si accontenti dell’assegno (qualsiasi esso sia) invece di trovare nuova occupazione è molto bassa” commenta Massagli. Tuttavia, anche se si procede nella direzione giusta, c’è ancora molto lavoro da compiere per ammettere che, effettivamente, il lavoratore sia spronato a trovare un nuovo lavoro “perché i servizi pubblici sono ancora sonnecchianti, ma le banche dati di Regioni, INPS, Ministero del lavoro iniziano a dialogare e sarà quindi sempre più semplice individuare il disoccupato che non si attiva. A questo si aggiunga che le ‘nuove’ politiche attive dovrebbero sempre di più essere ‘condizionali’, ovvero concesse solo ai disoccupati che dimostrano di spendersi nella ricerca del lavoro o nella formazione/riqualificazione” chiosa il Presidente di Adapt.

 Gli ammortizzatori favoriscono l’esclusione sociale

Atdal Over 40 è un’associazione, fondata da Armando Rinaldi, ex dirigente di una multinazionale e costretto lui stesso a dare le “dimissioni” a 51 anni di età, con 34 anni di contributi versati, senza aver raggiunto l’età minima per la pensione. Questa nasce dalla constatazione che la società procede su un doppio binario contraddittorio; da un lato la convinzione che si possa continuare a produrre fino ai 65 anni, dall’altro lato la necessità di “liberarsi delle persone vicine ai 50 anni”, escludendole dalla possibilità di andare in pensione. Persino l’età minima per il conseguimento dell’Assegno Sociale è slittata a 65 anni e tre mesi, a causa della aumentata soglia di vita degli anziani. A ciò si aggiunge l’incognita più angosciante, ossia che l’INPS non riesca a pagare le future pensioni, rendendo il futuro ancora più incerto, con inevitabili ripercussioni negative anche sullo sviluppo di una sana vita sociale per la persona che perde il lavoro.

L’ultima spiaggia per i sindacati

Sebbene gli ammortizzatori sociali coprano un arco temporale abbastanza variabile, prima o poi la possibilità di usufruirne è destinata a terminare. Nel frattempo i disoccupati devono trovare un’alternativa che consenta di cambiare il loro “status”, uscendo dalla condizione di povertà verso cui, altrimenti, sarebbero proiettati. Il rischio è che queste forme di ammortamento rappresentino, per chi effettivamente perde il lavoro (e rischia di non trovare una nuova occupazione), una semplice protezione per smorzare l’immediata necessità di sostentamento, senza guardare ad una prospettiva previdenziale futura. “La CIG e CIGS rappresentano due strumenti difensivi (e per alcuni versi discriminatori verso le realtà che non ne possono usufruire) ai quali ricorre il sindacato quale ultima spiaggia per evitare che i lavoratori si trovino senza lavoro e senza reddito” afferma Rinaldi.

Non è solo colpa delle parti sociali

“Indubbiamente esiste una responsabilità del sindacato che, non avendo compreso per tempo quanto stava avvenendo nel mondo del lavoro, non ha saputo elaborare nuove strategie alternative alle dilaganti ricette neoliberiste e si è quindi arroccato su posizioni difensive per loro stessa natura perdenti (vedi pensioni, cancellazione dei diritti, sterilizzazione art. 18)” incalza Rinaldi. “Però è troppo facile cercare responsabilità in capri espiatori di comodo ad uso e consumo dei Governi degli ultimi 20 anni (nessuno escluso e Renzi incluso) che non hanno saputo partorire uno straccio di politica economica/industriale e che hanno favorito ogni forma di delocalizzazione concentrando l’attenzione su qualche grande opera ad uso e consumo dei tangentisti” tuona l’ex dirigente.

Nonostante il Jobs Act, qualcosa non funziona 

Gli ultimi dati Istat, usciti ad inizio novembre, rivelano elementi discordanti: da un lato la sostanziale stabilità degli occupati (+11 mila), dall’altro lato la lieve crescita dei disoccupati (+0,2%, pari a +5 mila), a fronte però di un calo degli inattivi (-45 mila nell’ultimo trimestre), cioè di coloro che, rassegnati, rinunciano a cercare un lavoro, trovandosi in enormi difficoltà, in quanto non avranno versato i contributi necessari per andare in pensione. Nonostante gli interventi di welfare interessino per l’84% le persone anziane, questi sono inferiori rispetto a paesi come Francia e Germania. È il segnale che, nonostante il Jobs Act, qualcosa non funziona nel meccanismo di assegnazione degli ammortizzatori sociali. Il vero problema in Italia è culturale, in quanto si intravede nel sostegno al reddito una tutela assistenzialistica a lungo termine, e non una breve parentesi durante la quale rimettersi in gioco per potenziare le proprie competenze o acquisirne delle nuove. Per i giovani è sicuramente più facile reinventarsi, ma la situazione diventa complessa, quando si perde il lavoro a ridosso della pensione (come nel caso degli esodati), e non si hanno più le forze, fisiche e mentali, per trovare una nuova occupazione.

Il disoccupato non ha fiducia in se stesso e nello Stato

Emmanuele Massagli non crede che oggi le misure di sostegno al reddito siano un “cuscinetto” su cui adagiarsi. “I sindacati sanno bene che la stagione delle lunghe, generose e improduttive casse integrazioni facili è finita. Sarà impossibile vedere in futuro lavoratori pagati dalla Cassa Integrazione per 14 o 15 anni (il riferimento è a casi reali, ancora in essere). Si consideri inoltre che il sistema contributivo connette l’assegno pensionistico a quanto si è versato: lunghi periodi di bassi versamenti sono quindi problematici. Un effetto disincentivante del genere descritto in domanda si potrebbe avere solo in caso di approvazione di una qualche forma di reddito di cittadinanza di natura universalistica e non assicurativa. Ma il bilancio italiano (per fortuna) non può permetterselo”, avalla Massagli. Il disoccupato oggi si accontenta di quello che riesce ad ottenere dallo Stato “perché non crede di essere ricollocabile”. E quindi aggiunge “C’è bisogno di qualcuno che glielo spieghi e di uno Stato che scommetta davvero su politiche attive e formazione continua. Finché questi pilastri del moderno mercato del lavoro non saranno edificati, la volontà di attivazione del disoccupato (quando c’è) non troverà chi possa valorizzarla, con il risultato che la persona finirà per scoraggiarsi e quindi sedersi, accontentandosi del poco che ha e che riceve”, conclude.

Si sceglie la via più facile senza guardare alla futura pensione

Questo circuito vizioso ha alimentato una cultura economica che guarda all’imminente presente, cercando di porre un freno all’emorragia della disoccupazione con cure palliative, come la grande varietà di aiuti economici che è stata introdotta con le varie riforme. “Gli aiuti non intervengono a favore dei disoccupati maturi di lunga durata per i quali si prevedono solo programmi di formazione e riqualificazione professionale a lungo termine i cui risultati, misurati nel corso dell’ultimo decennio, portano solo lucrosi introiti per i corsifici e le società di consulenza”, afferma Rinaldi. Secondo lui, gli ammortizzatori sociali non sono finalizzati al reale reinserimento lavorativo dei disoccupati; piuttosto alimentano una cultura rinunciataria nei confronti della ricerca di un nuovo lavoro, e si accompagnano ad una serie di misure e di incentivi inefficaci che favoriscono l’occupazione solo per chi organizza, per citare un esempio, l’apprendistato per i lavoratori in mobilità.

Tra rinuncia e rassegnazione: serve una svolta. Gli over50 tremano.

“Nell’applicazione della CIG e CIGS, esistono situazioni paradossali di lavoratori che stazionano anni in questo limbo (esempi: in passato FIAT ne ha usufruito alla grande, poi IBM e Alitalia solo per citarne alcuni) ma se questi lavoratori godono di tale privilegio non si può dimenticare che ancora una volta la responsabilità principale sta sempre in capo a chi ci governa e, per risolvere un problema, sceglie la via più facile. Questi lavoratori si ‘adagiano’ perché qualcuno li ha messi nella condizione di adagiarsi rinunciando a svolgere il suo ruolo prioritario. Non basta sentirsi spronati, bisogna che il sistema a cui mi rivolgo sia in grado di proporre  alternative e opzioni di lavoro praticabili” afferma il fondatore di Atdal over 40. “Per anni la CIG e la CIGS è stata accordata alle medie e grandi imprese escludendo il mondo delle piccole imprese con conseguenze disastrose per molti lavoratori licenziati. Non solo, ci è capitato spessissimo di rilevare che quando venivano varati dei programmi pubblici a sostegno della ricollocazione di lavoratori in difficoltà, la priorità andava sempre alle liste dei cassintegrati. Qualche esempio della realtà milanese: presso il Tribunale di Milano sono stati impiegati lavoratori selezionati dalle liste dei cassintegrati, lo stesso è avvenuto in parte per l’Expo. Il reimpiego dei lavoratori in difficoltà veniva deciso a seguito di accordi tra la PA e il sindacato. In tempi più recenti questa tendenza è stata parzialmente corretta ma io non posso non tenere conto di tanti lavoratori maturi ai quali sono state negate delle opportunità. Purtroppo quando un 50enne perde il lavoro se le misure a suo sostegno tardano ad arrivare le sue possibilità di reintegro (ammesso ve ne siano) si riducono man mano che aumenta la sua età. anagrafica” conclude Rinaldi. E naturalmente si assottigliano le possibilità che riesca a trovare un nuovo lavoro che gli garantisca la continuità contributiva fino al raggiungimento dell’età minima pensionabile.

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