Che cosa sognano i giovani emiliano-romagnoli?

Ho appena terminato la lezione. Sei ragazzi fra i 26 e i 32 anni, laureti in ingegneria e architettura, decidono di fermarsi un’ora a chiacchierare con me. Mi permettono di sbirciare tra i loro sogni e i loro timori sui concetti di orgoglio e senso di appartenenza verso le realtà imprenditoriali del nostro territorio. Questi […]

Ho appena terminato la lezione. Sei ragazzi fra i 26 e i 32 anni, laureti in ingegneria e architettura, decidono di fermarsi un’ora a chiacchierare con me. Mi permettono di sbirciare tra i loro sogni e i loro timori sui concetti di orgoglio e senso di appartenenza verso le realtà imprenditoriali del nostro territorio.

Questi ragazzi sembrerebbero uno diverso dall’altro per provenienza geografica, sesso, studi e storia personale, ma hanno in comune la scelta di vivere e lavorare in Emilia-Romagna e di frequentare un corso di alta formazione in project management nella costruzione edilizia ad alta efficienza energetica. In realtà si riscopriranno molto simili parlando dei valori in cui credono.

Tra loro c’è chi ha fatto per anni la cameriera, ma non è ancora riuscita a fare l’ingegnere perché gli studi se li è pagati con le “stagioni al mare”. C’è chi sentiva troppo stretto il paesino o troppo grande la metropoli e ha quindi trovato la giusta dimensione nella qualità di vita di Bologna. Chi dalla Sardegna è venuto a studiare in Emilia, è andato a lavorare a Parigi e poi è voluto tornare qui a Bologna, la “nostra città”, come la chiama lui. Perché dopo tanto tempo che vivi in un luogo lo senti tuo, sei parte del suo tessuto sociale, delle sue abitudini, dei suoi colori e dei suoi profumi.

Da sinistra: Federico, Giulia, Ennia Maria Paola, Martina, Giovanna e Pio, alunni del corso “tecnico esperto nella gestione di progetti di costruzione edilizia ad alta efficienza energetica” di IIPLE. Al centro Elisabetta Bracci

I giovani e il lavoro, in Emilia-Romagna ma non solo

“Ho scelto di accostare al concetto di orgoglio quello di gratificazione sociale, perché secondo me il lavoro non può essere slegato da ciò che facciamo per la comunità. Mi fa sentire orgoglioso sapere che faccio qualcosa che non è soltanto sviluppo, ma che ha a che fare con il progresso. Mi piacerebbe lavorare all’interno di un’azienda che sia lei stessa attrice del progresso e che lo percorra ogni giorno: mi sentirei parte di qualcosa di bello.”

È così che Federico rompe il ghiaccio e ci permette di lavorare su queste parole: sviluppo e progresso. Il primo concetto che emerge è successo, inteso come la capacità di far succedere le cose che desideriamo. Giovanna ci dice: “Sarei orgogliosa di far parte di un’azienda in grado di evolvere e di far succedere le cose, indipendentemente dal suo prodotto o servizio. Sarebbe bellissimo lavorare in un contesto dove si fanno anche solo piccoli passi di innovazione e miglioramento, con curiosità e visione verso il futuro”. E continua: “Un’azienda di successo è un posto in cui c’è rispetto per le persone, che non significa solo garantire la sicurezza sul posto di lavoro o pagare lo stipendio. Secondo me l’azienda è un ecosistema fatto di persone, e io voglio sentirmi una persona. Non ho ancora lavorato in contesti grandi, ma mi piacerebbe farlo e soprattutto mi piacerebbe che il management, quando mi incontra in un corridoio, mi salutasse chiamandomi per nome perché riconosce che contribuisco a dare un senso all’azienda, anche nel mio piccolo”

A questo Ennia aggiunge la sua visione di meritocrazia intesa come il “riconoscere il peso di ogni singola persona e valorizzare i suoi talenti: premiare impegno e risultati, dare opportunità a chi ha spirito di squadra e voglia di crescere”. Un altro punto importante per tutti i ragazzi è la località, ovvero la scelta del giusto territorio in cui vivere e lavorare. In Emilia-Romagna si sentono liberi di essere loro stessi e di trovare opportunità per esprimersi. Per loro Bologna è una città a misura d’uomo. Pio aggiunge: “Sono architetto e mi occupo di restauro. Trovo davvero molto stimolante restaurare un edificio del nostro contesto, perché mi sento utile alla mia comunità, sento di far del bene alla mia terra”.

Affrontiamo poi un tema “scomodo”: si può essere orgogliosi di lavorare in un contesto dove non veniamo pagati? Dopo un primo momento di silenzio e qualche sguardo quasi imbarazzato, i ragazzi rispondono con alcuni no e qualche forse. Pio ci spiega il suo punto di vista: “Questa scelta è un bilancio legato a un momento particolare della nostra vita professionale: se mi fanno davvero crescere, se mi danno una buona formazione e investono su di me per tenermi in azienda, allora posso accettare un periodo senza retribuzione e non mi pesa emotivamente. Ci deve essere però sempre una compensazione, perché se vengo usato come una macchina, per svolgere compiti senza valore, non imparo niente. Quindi per me manca la fiducia”.

A questo Martina aggiunge che “quando hai la possibilità e il gusto di lavorare con le altre persone, la crescita è bidirezionale: chi è più esperto insegna, mentre chi è nuovo offre un punto di vista diverso e innovativo. Ho sempre lavorato in studi di architettura, dove ho imparato tanto dal gruppo e ho dato il mio massimo. Lavorare in team non significa lavorare-per, ma lavorare-con. Ecco perché secondo me è importante aggiungere il concetto di riconoscenza: è grazie al gruppo che si va avanti passo dopo passo e si cresce realmente. Non c’è orgoglio senza riconoscenza, che significa sentirsi parte di qualcosa e capirne il valore”.

 

Ambizioni e compromessi secondo i giovani emiliano-romagnoli

I ragazzi parlano e si confrontano, mettendo sul piatto le loro esperienze, i loro desideri e soprattutto i loro timori. Emergono chiari i concetti di coerenza e concretezza dei valori aziendali. Se le aziende elencano i loro valori su siti che sembrano spesso fotocopie gli uni degli altri, come si può capire se è solo marketing oppure se i valori vengono messi in pratica realmente? D’altronde viviamo nell’epoca in cui siamo abituati a giudicare servizi, prodotti ed esperienze tramite la concretezza delle fotografie e le testimonianze di altri utenti. Ecco quindi che i ragazzi ricercano la concretezza di concetti come la sostenibilità, tramite le testimonianze di certificazioni, efficientamento degli stabilimenti industriali e impegni di riqualificazione sul territorio. Altrimenti zero fiducia nell’azienda.

Prima di chiudere questa chiacchierata, chiedo al gruppo se ha senso accettare un lavoro distante dal proprio corso di studi, pur di appartenere a un contesto lavorativo di cui sentirsi orgogliosi. Le parole di Giulia riassumono benissimo il pensiero del gruppo: “Se mollassi la ricerca di un posto di lavoro da ingegnere, forse rischierei di buttare al vento anni di sacrifici. Penso però che, se mi rendessi conto di non riuscire a raggiungere il mio sogno per come l’ho immaginato, dovrei allora capire cosa fare per avere un impego che mi dia soddisfazione, soprattutto dal punto di vista umano. Orgoglio e soddisfazione sono per me due concetti molto affini. Mio padre ad esempio lavora da una vita in un’azienda del nostro territorio che produce infissi, in cui mi ha detto che si applicano davvero i valori del rispetto, dell’innovazione e della meritocrazia. Vedo mio babbo alzarsi ogni mattina contento di andare a lavorare. Ecco, io lì ci andrei subito pur di sentirmi orgogliosa e felice! Accetterei anche di svolgere un mestiere molto distante rispetto ai miei studi”.

Questa chiacchierata ricalca in ampia parte una ricerca pubblicata un paio di mesi fa e realizzata dall’Osservatorio Generazione Z, Millennials, lavoro e welfare aziendale (promosso da Edenred e Orienta) in cui a un campione di oltre 5.000 ragazzi sono state sottoposte domande per creare l’identikit dell’azienda ideale. Il valore del merito è in assoluto al primo posto: l’81,5% degli intervistati afferma che l’azienda ideale è quella che valorizza le potenzialità dei dipendenti, facendoli crescere in un contesto meritocratico. Per il 75% è molto importante avere prospettive di carriera e solo per il 58% una buona retribuzione fa la differenza. È molto sentito anche il valore dato al welfare aziendale, punto nodale dell’azienda perfetta per l’83,52% del campione, che sale al 95% quando si parla di bonus economici e servizi di welfare che facilitano la realizzazione di una famiglia. Questa ed altre ricerche (come ad esempio quella dell’Istituto Toniolo) indicano infatti che l’insicurezza e le difficoltà economiche sono l’impedimento principale rispetto alla creazione di una famiglia con figli.

I giovani emiliano-romagnoli hanno un livello di scolarizzazione in crescita e spesso al di sopra della media italiana (ricerca Giovani 15-29 anni e mercato del lavoro in Emilia-Romagna – 2017), sono orgogliosi di lavorare in aziende che li facciano sentire persone, sviluppando il talento secondo i piani della crescita e della meritocrazia e permettendo di sostentare se stessi e dare vita ad un nucleo familiare con figli. Sta a noi favorire il proliferare di realtà lavorative che rispettino questi valori e sta ai più giovani farle progredire, affinché domani questo sia il modo più diffuso di fare impresa.

 

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